Recensione goemon regia di Kazuaki Kiriya Giappone 2009
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Recensione goemon (2009)

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locandina del film GOEMON

Immagine tratta dal film GOEMON

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Immagine tratta dal film GOEMON
 

Giappone, 1582. Ishikawa Goemon, famoso ladro e shinobi, s'impadronisce durante un furto di una preziosa scatola in cui sono conservate le prove del complotto che, anni prima, portò all'assassinio di Nobunaga Oda, potente signore della guerra. Toyotomi Hideyoshi, suo successore nonché artefice della congiura, cercherà con tutti i mezzi di sbarazzarsi di Goemon e di recuperare le prove, mentre quest'ultimo, per motivi che scopriremo solo in seguito, giurerà di vendicare la morte di Nobunaga. Intanto Goemon incontrerà sul suo cammino Saizo, suo amico d'infanzia, ora al servizio di Toyotomi, e Chacha Asai, la ragazza che amava, la quale sta per diventare la sua concubina.

Ishikawa Goemon è una sorta di semileggendario Robin Hood nipponico che visse nella seconda metà del XVI secolo, un fuorilegge che rubava ai ricchi per dare ai poveri il quale, dopo il fallito assassinio del daimyo Toyotomi Hideyoshi, fu condannato ad essere immerso in un calderone d'olio bollente. Il personaggio è al centro di numerose opere di teatro kabuki, videogame e della serie di film degli anni '60 "Shinobi no Mono", per tacere del suo discendente, Goemon Ishikawa XIII, che fa la sua comparsa in "Lupin III".

Nobunaga Oda e Toyotomi Hideyoshi furono invece i primi signori della guerra ad inseguire il sogno dell'unificazione del Giappone. Nobunaga fu astuto stratega e leader crudele (ebbe l'abitudine di bruciare vivi i suoi nemici), mentre Toyotomi fu il suo generale più fidato, e prese il potere alla scomparsa di quest'ultimo. Entrambi non si fecero scrupoli ad eliminare i loro stessi familiari per conservare il potere. Nobunaga, in una sorta di ironico contrappasso, scomparve in un incendio durante una congiura di palazzo, mentre Toyotomi, più fortunato, morì di malattia nel 1598.

Ishikawa Goemon è il protagonista dell'ultimo delirio visuale di Kazuaki Kiriya, fotografo e regista di video musicali, già autore del controverso "Kyashan – La rinascita". Liquidato con sufficienza da gran parte della critica e frettolosamente catalogato nell'ormai nutrita categoria dei film-videogame, "Goemon" è ancora più oltranzista del suo predecessore. Gli attori sono ininfluenti, risucchiati e annullati nel vortice del maelström digitale. La macchina da presa deraglia avvitandosi in configurazioni impossibili, descrivendo, forse, l'allucinato medioevo sognato da un computer.
Presupposto irrinunciabile, portare stili, colori, iconografie, fino al punto di non ritorno. Armature, costumi, architetture, fondono oriente e occidente, delineando un universo in cui tutto ciò che importa è la sinuosità della linea. L'assonanza più congruente è con lo stile rococò, che dissolse il barocco nella grazia frivola e spossata dell'arabesco, tessendo le lodi, con William Hogarth, della linea serpentinata. Un rococò aggiornato ai tempi, che non ha timore di triturare manga, anime ed estetica alla "Final Fantasy" per restituire un mondo forse autistico e autoreferenziale, ma affascinante. Schivando l'equivoco del realismo, gli effetti CGI rigettano gli attori, indigeribile corpo estraneo. E allora poco importa che in questa storia archetipica di vendette e tradimenti i caratteri sfiorino l'inconsistenza: l'indistruttibile Goemon e Saizo, Chacha e Toyotomi non vantano certo tenitura drammatica, sono sfarzose silhouette il cui unico compito è permettere a Kiriya di saturare la retina dello spettatore con il prossimo rendering, con il prossimo effetto speciale.

Il sovraccarico sensoriale è dietro l'angolo, e tanta incontrollata magniloquenza rischia di spossare, tanto più che al regista sembra spesso sfuggire il polso della situazione. Kiriya (anche direttore della fotografia e montatore) non ha certo doti di narratore, e già lo si era capito con "Kyashan", ma di visionario, ipertrofico e incontinente "metteur en scène", tutte qualità apprezzabili ma che, da sole, gli impediscono di sfornare opere davvero memorabili. Solo eccentrici, decorativi, sinuosi esperimenti che accedono a quella particolare sfera del sublime riservata agli oggetti orgogliosamente inutili.

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Recensione a cura di Nicola Picchi - aggiornata al 20/11/2009

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