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Arrivato sui nostri schermi con due anni di ritardo rispetto all'uscita americana e colpevolmente mal distrubuito nelle sale, "Harsh Times", opera prima del regista David Ayer, elucubra, con inquietante realismo, il "male oscuro" delle generazioni post- Iraq, così come "Taxi Driver" o "Il cacciatore" elucubravano quello della generazione post-Vietnam.
Il film è soprattutto un crudo ritratto dei giovani reduci americani vittime degli effetti provocati da quell'assurda guerra, che cercano di reinserirsi nella vita civile e che scoprendosi inadeguati, e non riuscendo a dimenticarne gli orrori, trovano rifugio nell'alcool, nella droga, nell'alienazione, nell'incapacità di distinguere il confine tra ciò che è bene e ciò che è male.
Il film è però anche un duro affondo nella realtà quotidiana dei quartieri ghetto della Los Angeles sporca e degradata (che Ayer conosce in prima persona), dove la vita è fatta di piccola e grande criminalità, la sopavvivenza è legata alla supremazia nel gruppo, dove ci si lascia andare alla deriva e alla frustrazione crescente, in un mix esplosivo fatto di sesso, alcool, droga, risse, traffici illeciti.
Il dramma del reduce disadattato e indurito che subisce sulla propria pelle il trauma del reinserimento è stato uno dei temi preferiti della cinematografia americana, forse perchè il militarismo e la guerra, giusta o sbagliata che sia, legittima o illegittima (ma esistono poi guerre giuste o legittime?) fanno parte del loro genoma, fanno parte del loro vissuto e della loro cultura, e cineasti illuminati (Scorsese, De Palma, Cimino, Coppola, ecc) hanno cercato e cercano in questo modo di esorcizzarne i fantasmi, mostrandone gli orrori, le ingiustizie, le devastanti conseguenze.
David Ayer lo fa mostrando lo straniamento di Jim Davis, un individuo apparentemente normale in cui, progressivamente, nel vuoto dell'incertezza, emergono tratti di follia autolesionista.
Jim Davis è un reduce della guerra mediorientale, combattuta nelle truppe d'assalto, che non riesce a cancellare il logorante passato e non riesce a reinserirsi nella realtà della vita civile.
Segnato dall'esperienza bellica, accennata nella scena iniziale, soffre di ricorrenti incubi notturni che lo fanno ripiombare nell'orrore della guerra e delle azioni militari e che lo tengono sveglio durante la notte rendendolo psicologicamente instabile.
L'unica ancora di salvezza per uscire da questa difficile condizione potrebbe e dovrebbe essere la sua ragazza, Marta, una ragazza messicana che vive al di là del confine in attesa di poter sposare il proprio ragazzo ed ottenere così la cittadinananza americana.
Per riuscire nel suo intento, Jim chiede di entrare a far parte della LAPD (la polizia di Los Angeles).
Dotato di un fisico robusto e muscoloso ed addestrato alla vita militare, Jim ritiene che la sua richiesta possa essere facilmente accolta dalle autorità dipartimentali, che invece la rigettano; tale rifiuto lo precipita ancora di più in una situazione di profondo disagio fisico e comportamentale.
Insieme al suo amico Mike, anch'egli felicemente nullafacente e disinvoltamente mantenuto dalla rampante compagna, una giovane avvocatessa, si dà quindi al libero sfogo dei suoi istinti più profondi e oscuri, annidati nei meandri più profondi della sua mente disturbata.
Tra risse, droga, alcool, sesso, prostituzione e traffici di armi rubate con la complicità di vecchi amici poliziotti corrotti, i due trascorrono le giornate impegnati in logorroici discorsi infarciti di volgarità ed espressioni gergali, precipitando sempre più in un vortice di violenza e di abruttimento psicologico e fisico nel quale Jim trascina anche il più fragile Mike, che finirà per assecondare in tutto il comportamento squilibrato e violento dell'amico, non riuscendone a contenere la rabbia e l'odio profondo che lo logorano.
Questo stato dura fino a quando Mike non viene scelto per un lavoro decente in una grande società e Jim non viene arruolato dall'FBI per una missione nella Colombia dei narcotrafficanti che lo terrà lontano per molto tempo dal suo ambiente e, forse, lo porterà a perdere l'amore della sua donna.
Ma ormai è troppo tardi: il "demone" è ormai dentro di lui, i ricordi dell'esperienza di guerra affiorano implacabili e sfociano in atti di violenza incrollolata e crisi di panico debilitanti e culminano nell'ultima, tragica scena, quando finalmente troverà le risposte alle tante, troppe domande che da lungo tempo lo assillavano.
Dan Ayer, già brillante sceneggiatore di "Training Day", realizza la sua opera prima con un film bellissimo ed inquietante, un grido di dolore antimilitarista e un'impietosa critica verso il fallimento della politica mediorientale americana.
Conoscitore sia della realtà losangelina (o dei suoi quartieri più malfamati) quando era un giovane di belle speranze, alla ricerca ancora della sua strada e della sua ispiarazione, sia di quella militare (ex marine congedato con onore), Ayer dirige la storia (non nuova per la verità) di un veterano un po' pazzo che fa una strage, di un perdente devastato dalla rabbia, senza però emettere sentenze nè invocare alibi per il suo protagonista, ma anche senza alterarne la veridicità o renderla cinematograficamente credibile.
Eccezionale l'uso dei primi piani che ci permettono di penetrare nella psiche del personaggio, facilitati in ciò anche dalla superlativa prova di Christian Bale (non nuovo al ruolo del psicotico violento e instabile), che quì ci regala l'ulteriore prova di bravura di un artista capace di recitare sia con l'espressività del volto che con la fisicità del corpo, con i quali riesce ad esplicitare l'isteria e direi anche la rabbia del personaggio.
Molto ben calibrato anche Freddy Rodriguez nel ruolo dell'amico Mike Alonso, facilmente influenzabile, fragile, devoto, complementare alla psicologia dell'amico fraterno (stesso comportamento, stesso linguaggio, stessa arroganza maschilista), tanto da risultare incapace di contenerne gli scatti d'ira e di violenza distuttiva. Rivelazione del piccolo schermo ("Six Feet Under"), Rodriguez è uno di quei giovani attori da ricordare e tenere d'occhio.
In un ruolo di contorno Eva Longoria (è Sylvia, la fidanzata di Mike) che cerca di far dimenticare l'immagine sexy costruitasi con il serial TV "Desperate Housewives".
"Harsh Times", il primo vero film sul disagio post-iraq è davvero un fim ben girato e ottimamente interpretato, con alcune sequenze che shockano e un montaggio volutamente frammentario che contribuisce a valorizzare momenti di altissima tensione. Il tutto avvolto da un'atmosfera vivida e sporca che accresce il disagio dello spettatore per la vicenda di un bad guy americano che una società e un'ideologia hanno contribuito a rendere tale.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 29/10/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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