Voto Visitatori: | 6,73 / 10 (243 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 8,50 / 10 | ||
Il film narra le vicende di tre persone, Marie LeLay (Cécile de France), George Lonegan (Matt Damon), Marcus (Frankie McLaren), imbattutesi nel corso della loro vita rispettivamente in una morte apparente per l'onda dello tsunami, una grave encefalite infantile (che sarà causa permanente di disagi psichici e fenomeni sensitivi), un lutto patologico per la morte dell'amato fratellino finito contro una grossa auto mentre sfuggiva a un tentativo di rapina.
I tre, in modi inconsueti, entrano in relazione con la morte avvertendone, su un piano di esperienze paranormali, tutta la sua forza suggestiva-straniante.
George Lonegan è un proletario di San Francisco che in certe circostanze riesce a trasmettere, a chi glielo chiede, messaggi dal mondo dei morti: pensieri e immagini appaiono nella sua mente provenienti da entità spirituali non ben figurate, originati da un al di là che sullo sfondo appare indicibile, misterioso e oscuro. Le sue doti di medium-sensitivo sono eccezionali, chiare, provate dalle corrispondenze tra i racconti dei defunti e la realtà ricordata dai vivi.
Egli è richiesto soprattutto dalle persone che hanno avuto lutti sconvolgenti, annichilenti la sfera psico-affettiva, ma questi poteri sono vissuti male da George, è come se si sentisse parte di uno spettacolo da circo e avesse il solo compito di stupire senza alcun potere di intervento sui fatti evocati.
Il ragazzo per le sedute non vuole soldi, è autosufficiente, vive solo, non ha la fidanzata, le donne quando vengono a conoscenza dei suoi poteri lo evitano, forse perché pensano che sia un emarginato o un asociale. Il suo desiderio più impellente è di smettere con il paranormale e rientrare nella normalità.
Marie è una bella e giovane giornalista di Parigi sopravvissuta ad uno tsunami quando ormai era data per morta dai suoi soccorritori, prodigatisi a lungo nella respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco. Gli sono rimaste impresse per sempre le immagini createsi nella sua mente quando non respirava più e il cuore si era fermato.
Questa esperienza, nonostante le riconquistate sane apparenze, la farà piombare in uno stato depressivo subdolo, emergente in un secondo tempo, che le creerà problemi non da poco sul lavoro, allontanandola sempre più dal cinico mondo dei media e dalle relazioni, prima dell'incidente vincenti, con gli uomini di quel sistema indorato.
Marie finirà per scrivere un libro quasi del tutto privo, nella distribuzione, di un lancio di marketing professionale, forse fuori da ogni logica di mercato, il cui titolo "Hereafther" richiama la morte e l'aldilà.
Marcus è un bambino di Londra con una madre assente perché tossicodipendente; dopo la morte del fratellino Marcus si ritrova in un pesantissimo stato di solitudine che gli farà conoscere l'angoscia. Su Internet conoscerà le gesta di George, divenuto contro il proprio volere un sensitivo famoso, e il suo volto gli rimarrà impresso nella mente in modo indelebile, perché quell'immagine rappresenterà nel tempo l'unica via possibile per comunicare con il suo fratellino scomparso.
Le tre storie inizialmente sono parallele, i tre personaggi del film entreranno a un certo punto in relazione tra loro congiungendole? Il finale del film riaprirà nei protagonisti nuove prospettive di vita?
Il film sul piano della sceneggiatura e della regia appartiene indubbiamente a una categoria artistica di ordine superiore. Ottima la suggestione rilasciata dalla fotografia e dal montaggio, grande il potere della pellicola nel coinvolgere emotivamente e sedurre con il mistero, quest'ultimo di buon effetto quando mostra aspetti di sé con le immagini più legate al paranormale.
Amabile l'intreccio con i suoi colpi a sorpresa e notevole è la drammatizzazione della solitudine che appare intensa e potente, in particolare nelle scene chiave, ponendosi come protagonista negativa del film, una solitudine che sfiora la pazzia ripiegandosi improvvisamente in una fenomenologia dell'inconscio dominata dal paranormale, tipico di molte depressioni da traumi.
L'evento negativo traumatico oltre a ferire di per sé la persona la spinge nel baratro dell'emarginazione sociale facendola soffrire di due mali: uno del passato, individuale, l'altro nel presente, collettivo, legato al tipo di costume sociale di un'epoca. Da questo punto di vista il film coglie delle realtà psichiche ed esistenziali importanti e lo fa con grande verosimiglianza.
Forse il film di Eastwood mostra qualche crepa sul piano letterario, che sembra privo di quello spessore di pensiero necessario per competere con gli altri aspetti più positivi del film. Clint Eastwood, si sa, tanto è bravo tecnicamente tanto è portato a sintetizzare il senso più profondo dell'azione, lasciando alla fine delle sue opere qualcosa di non detto, di sospeso, di inafferrabile pur mostrando con bravura, attraverso le luminose vetrine della sua fantasia, brandelli di vita autentica.
L'effetto letterario d'insieme del film è un po' mutilato, si percepisce un certo amaro in bocca, dal sapore mitologico, legato probabilmente alla cifra inconscia della personalità di Eastwood.
L'impressione è che traspaiano in questo film diverse passionali immaginazioni di Eastwood, caratterizzate da un sintomatico "sbigottimento" per le pieghe negative estreme che può prendere la vita. Forse ciò è legato a suoi terrori, ad esempio per l'incrinatura delle proprie sicurezze più consolidate, che il trascorrere degli anni favorisce, o per l'impotenza nel fermare la paura della morte e della solitudine a valori sopportabili.
Anche in questo ultimo film di Clint c'è molta poesia e poco intelletto, c'è arte ma fine a se stessa perché egli non parla attraverso i personaggi dell'origine delle proprie introspezioni visive; c'è potenza espressiva quasi sovrumana ma poco impegno analitico in grado di giungere a una chiara formulazione problematica della propria vita. Gli interrogativi esistenziali del film non suggeriscono un maggior approfondimento, una migliore articolazione di ciò che interrogano.
In questo film gli enigmi proposti non si sciolgono, né chiariscono la loro struttura più inconscia legata a un altro tipo di riflessione. Tutto, per quanto riguarda gli aspetti più intellettualistici, si sovrappone, si addiziona, portandoci a pensare poco e a relegarci in un godimento ambiguo, regressivo, forse infantile, che ci spinge sempre più giù, nei meandri semplificati del sentire inconscio.
Il film ha il pregio di essere originale, anche per la completa assenza di ogni riferimento religioso basato in qualche modo sul rapporto morte-Dio, le cui tracce sono numerose nei drammi popolari e nelle tragedie filmiche spettacolari, soprattutto nelle opere raffinate, come ad esempio quelle ispirate dal lussuoso Titanic, dove parti del vangelo vengono evocate a voce alta tra i passeggeri borghesi relegati a poppa con la nave prossima ad affondare.
La pellicola ha la riuscita ambizione di muoversi intorno alla morte su un terreno esclusivamente laico, finendo per incorniciare il dramma unicamente con il paranormale, rinunciando di proposito a riempire le pieghe del dramma con forme espressive più acculturate, maggiormente elaborate.
Il paranormale è un terreno difficile da arare per un film, crea lentezza, mette in secondo piano altre culture visive esterne più idonee, se usate nel cinema, ad esaltare il mezzo filmico.
Eastwood ci ha abituato da tempo a delle scelte non convenzionali, anche se si sa che il paranormale gode da sempre di un grande mercato librario, letterario spicciolo, frequentato spesso da persone disagiate, superstiziose, malate, o da intellettuali non credenti prossimi alla fine dei loro giorni ossessionati dalla nullità della morte, e quindi rispetto alle esigenze di mercato questo film risponde a criteri ben collaudati, andando verso un incasso sicuro.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 14/01/2011 10.39.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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