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Il paese di Cold Rock, negli USA, si trova nella costa nord occidentale del Pacifico, è un piccolo centro abitato minerario destinato a morire. La sua classificazione architettonica e paesaggistica è di impossibile definizione, non ha una struttura stilistica ben precisa, e le case, prevalentemente in legno, raggiunte da strade polverose, sono sparse un po' ovunque.
La vecchia miniera che dava lavoro a molti abitanti, incrementando anche diverse attività commerciali e professionistiche è ormai chiusa da tempo, molte persone sono emigrate, c'è solo un piccolo comando di polizia distaccato e un ambulatorio medico diretto dalla giovane infermiera vedova Julia Danning (Jessica Biel), un centro nato per assistere gli abitanti del luogo nei casi meno urgenti.
Il paese ha nelle vicinanze una galleria che immette nella ex miniera e conserva nelle prossimità di essa le case abbandonate sei anni prima dai minatori, edifici del tutto fatiscenti, mai raggiunte dal sole.
Il centro abitato, sempre più povero, è soggetto a un inesorabile degrado morale e civile, aggravato dalla indifferenza delle forze governative statali ai problemi del paese; la situazione sociale è esplosiva, si riflette nella vita di ogni famiglia le cui case sono sempre più teatro di violenze e soprusi di ogni genere, a volte anche del tipo sessuale verso i minori: atti vergognosi che vengono coperti con l'omertà stessa della famiglia. Un altro aspetto che contribuisce a intorpidire la vita del paese è la completa assenza delle istituzioni religiose, cosa che aggrava la condizione psicologica e spirituale dei credenti più sventurati, quelli prossimi a delinquere.
L'atmosfera generale del paese è tale da tenere in allerta, ogni giorno, la maggior parte delle forze di polizia.
In questo difficile contesto psico-socio-economico il paese vive da tempo anche un'apprensione particolare, sconcertante, che crea un'angoscia generale: la scomparsa, senza lasciare traccia, di numerosi bambini.
La polizia e i residenti, che sono privi di ogni possibile traccia investigativa, temono che i rapimenti siano legati alla presenza in paese di un pedofilo assassino. Tesi avvalorata dal fatto che alcuni abitanti dicono di aver visto nel bosco, verso il tramonto, un uomo straniero alto, con un vestito scuro fuggire tra i campi con qualcosa di voluminoso in braccio che ne rallentava pesantemente la corsa.
Il film si sofferma sulle ultime 36 ore che precedono lo svelamento del fitto mistero. In questo breve lasso di tempo avvengono alcuni drammatici episodi chiave che daranno una svolta alle indagini.
Il principale accade a Julia Danning che una sera rientrando a casa dal lavoro trova la sua convivente imbavagliata, legata mani e piedi e con segni evidenti di una colluttazione sanguinosa. Il pensiero dell'infermiera corre subito a suo figlio David (Jakob Davies) che è stranamente assente nel piano terra. La donna allora si precipita indomita nella stanza del figlio al piano superiore e scopre con sgomento la scomparsa del piccolo. Riguadagnato velocemente l'atrio, Julia nota con terrore, sull'uscio, una persona mascherata vestita di nero, alta. Gli sguardi dei due si incrociano per un attimo, il tempo di comunicare da una parte un'emozione violenta e dall'altra uno sgomento indicibile, dopodiché l'essere pauroso scappa con il bambino in braccio.
Il rapitore nero, dalle sembianze terrificanti, corre poi con il piccolo verso un grosso pulmino, rimasto in attesa sulla strada principale, e raggiuntolo a fatica si allontana col mezzo nella direzione della vecchia miniera dismessa. Julia, che ha rincorso disperata il sequestratore del figlio a sua insaputa, è riuscita a rimanere agganciata con le sole mani al paraurti posteriore del mezzo. L'autista dopo un breve avvio è costretto a fermarsi per controllare il rumore causato dallo strofinamento sull'asfalto delle gambe di Julia, ma la donna fa in tempo a raggirare l'uomo e a riuscire ad entrare nel pulmino, dopo aver respinto l'assalto di un cane da guardia situato all'interno si sistema in attesa in un angolo. Quando l'uomo risale a bordo la donna ingaggia un corpo a corpo furente con lui.
Julia però a un certo punto soccombe e viene ben legata dal sequestratore. Riuscirà a liberarsi grazie a una lamiera tagliente danneggiata costitutiva di una parete interna del pulmino e a raggiungere il luogo del rifugio dove si era diretto nel frattempo il rapitore con il piccolo.
Julia guidata dalle tracce sull'erba lasciate dall'uomo nero giunge in una ex casa di minatori e percorre con una prudente lentezza, accompagnata da una curata circospezione, i vecchi vani, i cui spazi sono rimasti occupati da arredi rovinosi, sgretolati qua e là e polverosi. Quando improvvisamente Julia vedrà il sequestratore sul viso, con il volto scoperto, avrà la sua prima grossa sorpresa, e dopo alcune battute verbali tra lei e l'essere nero, lo spettatore proverà una forte emozione di stupore, cui ne faranno seguito altre.
Che fine hanno fatto i bambini scomparsi a Cold Rock, e chi è l'uomo alto dal vestito nero incontrato da Julia in quella casa?
"I bambini di Cold Rock" è un film horror-thriller originale, ben strutturato, che suscita emozioni forti senza deludere, con una storia che sul piano formale e contenutistico funziona bene evitando ogni banalità o dejà vu, un'opera congeniata in modo tale da riuscire a fare, oltre che spettacolo, un po' di letteratura classica per lo meno sotto l'aspetto simbolico, come quando aggiunge ai suoi numerosi colpi di scena inseriti nel racconto, del tutto imprevedibili e perciò degni del miglior Hitchcock, un messaggio finale di disincanto su ogni costruzione etica che aspiri troppo idealisticamente a divenire universale.
Pascal Augier sembra voler suggerirci che è meglio impegnarsi nella ricerca di una verità scomoda da cui trapeli ogni aberrazione sociale e individuale messa in gioco dal male, che coprire con l'idealismo proiettivo e infantile ogni possibilità di analisi della realtà.
Il regista Pascal Augier dopo aver girato “Martyrs", un apprezzabile horror del 2008, ritorna con questo film sulla questione della violenza ai bambini da parte degli adulti, un argomento che ha sempre suscitato nel cinema un grande interesse, e che lo stesso autore aveva in precedenza affrontato brillantemente con il film “Saint Ange" del 2004 raccogliendo vasti consensi di critica e di opinioni. Questa volta non c'è di mezzo come in “Saint Ange" un istituto per bambini, ma un paese morente che mostra in tutta la sua drammaticità l'altra faccia della società opulenta americana, quella che vede disgregarsi sempre più un vasto tessuto umano-economico, territoriale, periferico, nell'indifferenza generale, avvallata quest'ultima dalla maggior parte dei Governi centrali degli Stati americani.
Questi ultimi, nel loro discutibile elenco delle priorità su cui intervenire, non ritengono urgente dare un apporto a un paese morente come Cold Rock.
Il film solleva anche diverse questioni di carattere più psicanalitico, indubbiamente degne di nota e sollecitanti ulteriori approfondimenti, come tutta la complessa problematica clinica legata al difficile rapporto identificativo tra un bambino e due aspiranti madri impegnate prevalentemente a contenderselo. Un dualismo sulla scelta che non riguarda solo le due donne perché esso si forma anche nella mente del bambino come specchio riflettente una divisione propria, procurandogli un'angoscia paralizzante, cosa che sembrerebbe aprire nel piccolo prospettive nevrotiche di una certa gravità, fortemente dissociative.
La psiche, ancora in formazione, appare a un certo punto quasi dominata dalla funzione straniante del doppio, come dire che parlare di due madri significa anche mettere in scena due ruoli simili, perciò qualcosa di compromettente che riguarda nel bambino la sostituzione forzata di una madre con l'altra, a discapito di una certa unità psichica del piccolo che sperimenta nel doppio operativo-educativo di due genitori dello stesso sesso l'impossibilità di una messa a fuoco precisa della propria identità, cioè di poter acquisire qualcosa che rimanga costantemente in relazione con una legge educativa chiara: quella rappresentata da uno statuto etico di figlio.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 28/01/2016 15.35.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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