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La vicenda dei Diavoli di Loudon è ripresa da un fatto realmente accaduto in Francia nella prima metà del XVII secolo, e storicamente viene considerato come il più famoso caso di possessione demoniaca di massa della storia, epilogo di un periodo costellato dalla guerra di religione che imperversò in Francia negli ultimi cinquant'anni tra i cattolici e gli ugonotti. Questo fatto fu fonte di ispirazione per lo scrittore Aldous Huxley che ne trasse un romanzo dal titolo "I diavoli di Loudon" per essere successivamente adattato per il teatro da John Whiting.
La materia molto scottante del soggetto di Huxley ha convinto il regista inglese Ken Russell ad un suo adattamento cinematografico, convinto che un tema del genere fosse molto vicino alle sue corde e che rappresentasse una ghiotta possibilità di sfogare il suo enorme talento visivo.
Con "I diavoli" ci troviamo di fronte non ad un semplice cronachistico resoconto degli avvenimenti girato con uno stile più possibile realistico da esaltare la veridicità dei fatti, tuttaltro. Russell non ha mai fatto mistero del suo totale disinteresse per questo tipo di messa in scena, ma servendosi del suo talento visionario fonda sulla forza delle immagini per amplificare, a volte a dismisura, la potenza intrinseca del messaggio.
Francia, XVII secolo. Urban Grandier, capo spirituale e carismatico di Loudun, difende la sua città dalle mire di Richielieu che ha ordinato la distruzione di tutte le fortificazioni per impedire una rinascita ugonotta. La vita dissoluta del prete sarà il mezzo che l'inviato del cardinale, il barone De Laubardemont, userà per vincere le sue resistenze. Accusatolo di stregoneria, riuscirà a ottenere, grazie al padre esorcista Barré, una confessione di suor Giovanna degli Angeli che si dirà posseduta da lui. Sarà il rogo per Grandier e la distruzione per Loudun.
Stato e Chiesa rappresentano un connubio pericoloso, la fusione del potere temporale con quello spirituale, sintetizzata da Russell nel balletto iniziale con lo stesso Re di Francia nelle improbabili vesti di una nuova Venere, già di per sé ha un qualcosa di provocatorio per non dire "blasfemo". Da tutto ciò può scaturire solo desolazione e oscurantismo dove un potere di tale portata, riassunta nella figura del plenipotenziario del Re, il cardinale Richelieu, è in grado di ribaltare a proprio piacimento sia l'ideologia sia i mezzi atti a perseguire i propri scopi. Assistiamo quindi alla religione usata per puri scopi politici, al servizio di un nazionalismo esasperato e cieco alle richieste delle singole collettività grazie anche alla involontaria complicità ed allo sfruttamento di povere menti malate e represse. Un potere quindi assoluto, autoreferenziale dove in cima alla piramide c'è un Re perso nelle proprie dissolutezze, che pur avendo l'ultima parola su ogni decisione, è in realtà un fantoccio manovrabile senza la minima importanza. Questo è il tema centrale del film di Russell: senza una separazione netta fra Stato e Chiesa, la società si disgrega come le alte mura della città di Loudon e l'opera di singole menti illuminate sono inutili sotto la spinta delle forze esterne ed interne che corrodono la libertà del singolo individuo, costretto ad essere soggiogato a qualsiasi dogma imposto.
Aiutato anche dalla bellissima scenografia di Derek Jarman, futuro noto regista, Russell mantiene l'impianto teatrale di fondo del film, caricandolo tuttavia di un furore emotivo e visionario sopra le righe, sfociando nel grottesco della messa in scena dell'esorcismo di massa, voluto in forma pubblica dai Congiurati capeggiati dal Barone de Laubardemont, emissario longa manus di Richelieu, contro Grandier e dato in pasto ad un pubblico quasi totalmente accondiscendente. La spettacolarizzazione del rito, con il suo protagonista al centro come un icona rock, il fanatico esorcista Padre Barré, sono il preciso sintomo di una mercificazione della superstizione popolare verso fini che poco centrano con Dio o con la fede. Russell non si preoccupa minimamente di mettere freno all'eccesso della rappresentazione, anzi cerca volontariamente il barocco, il kitsch fregandosene delle conseguenze e se può apparire azzardata tale scelta, tuttavia è assolutamente conforme con il tono della storia raccontata ed il periodo turbolento da cui è stata tratta.
Occorre precisare prima di ogni possibile equivoco che Ken Russell è un cattolico convertito dal protestantesimo prima della realizzazione di questo film, quindi più che un film contro la religione è un film contro le istituzioni che si servono della religione per scopi diversi da quelli meramente spirituali: i dubbi di Padre Grandier come quelli di Madelieine De Brou rientrano nella sfera individuale dell'essere umano. Sfera che aspira ad un confronto con l'altro senza che questo degeneri in aperto conflitto per la supremazia come invece le istituzioni storicamente hanno perseguito spesso sotto la falsa patina di un blando pacifismo di facciata. Sono proprio questi momenti in cui I diavoli assume un tono più dimesso, in cui tuttavia viene risaltata la sincerità della fede e dei sentimenti di Padre Grandier verso Madeleine sposata in una celebrazione intima ufficiata da Grandier stesso.
Oliver Reed, nell'intepretazione migliore della sua carriera, riprende la collaborazione con Russell iniziata con "Donne in amore", e infonde vita ad un personaggio piuttosto sfaccettato: quello di uomo di sincera fede che si presta a fare da guida illuminata al popolo di Loudon, o meglio al servizio del popolo di Loudon, ben conscio che la difesa delle mura di della città sono vitali per la sopravvivenza della propria autonomia nei confronti delle mire nazionaliste di Richelieu. Tuttavia egli stesso non si può dire che sia un modello di rettitudine visto la frequenza con cui si abbandona ai piaceri della carne, mettendo addirittura in cinta la figlia di un magistrato, il quale sarà uno dei capi dei Congiurati assoldati da Laubardemont per spodestarlo. Come Cristo sarà tradito dalle persone vicine e dal suo stesso popolo e accusato di peccati che non ha commesso. Si pentirà delle sue colpe di lussurioso ma non da quelle (false) di stregoneria e di eresia e fino alla fine resisterà al dolore delle torture praticate da dall'esorcista Barré.
La grande accusatrice suor Jeanne des Anges, interpretata da un'altrettanto bravissima Vanessa Redgrave, è la madre superiora del convento delle orsoline ed il mezzo attraverso il quale i Congiurati riescono ad intrappolare Grandier. Un personaggio dall'aspetto deforme e dalla sessualità repressa che idealizza e sovrappone padre Grandier ad un Cristo, proiettandolo in visioni che mescolano misticismo e sensualità, rese alla perfezione dall'atmosfera onirica di Russell. È un personaggio border line, a capo di un convento dove non solo lei, ma anche le altre suore si trovano segregate in un luogo che non hanno certo scelto per vocazione, ma per costrizione o per convenienza. L'isterismo di suor Jeanne si propaga a macchia d'olio verso le altre consorelle come se fossero propagini di un unico corpo, rendendo il convento un luogo popolato da invasate "possedute" dal demonio, perchè in fondo è solo in questo modo, cioè avvalorando le false accuse contro Padre Grandier, che avranno salva la loro vita.
"I diavoli" scatenò un mare di polemiche fin dalla sua proiezione al Festival di Venezia nel 1971, che mise in grave imbarazzo l'allora direttore Gian Luigi Rondi, fra l'altro gradito dal potere cattolico, che rischiò seriamente la poltrona dopo gli strali delle massima cariche ecclesiastiche, fra cui anche il patriarca di Venezia Albino Luciani. La chiesa considerava tale opera (e sicuramente la considera tutt'ora) troppo oltraggiosa verso la cosidetta morale religiosa. Ma se Rondi mantenne il suo posto, non avvenne la stessa cosa per Giovanni Raboni, critico cinematografico dell'Avvenire, che fu letteralmente licenziato in tronco per non aver stroncato il film. Il pubblico a Venezia ne decretò il successo e dietro la spinta del sensazionalismo nato dalle feroci polemiche che avevano spaccato in due l'opinione pubblica fu organizzata, a furor di popolo, una proiezione straordinaria al Palazzo della Biennale in piena notte.
Non ci fu tuttavia altrettanta fortuna nelle sale cinematografiche italiane: dapprima sequestrato dalla magistratura per pubblicazione di spettacoli osceni, non fu più rieditato per le sale cinematografiche tranne in qualche sporadica occasione. A parte l'edizione in VHS nella seconda metà degli anni '80, questo film è pressoché introvabile in home video. Ed è un vero peccato, perché è un film che non merita questo oblio e che per le tematiche trattate può dire ancora la sua senza essere definito datato.
"Do you love the Church?"
"Not today."
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 22/05/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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