Recensione il braccio violento della legge regia di William Friedkin USA 1971
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Recensione il braccio violento della legge (1971)

Voto Visitatori:   7,64 / 10 (61 voti)7,64Grafico
Voto Recensore:   8,50 / 10  8,50
Miglior filmMiglior regiaMiglior attore protagonista (Gene Hackman)Miglior montaggioMiglior sceneggiatura non originale
VINCITORE DI 5 PREMI OSCAR:
Miglior film, Miglior regia, Miglior attore protagonista (Gene Hackman), Miglior montaggio, Miglior sceneggiatura non originale
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Miglior film straniero
Miglior film drammaticoMiglior regista (William Friedkin)Miglior attore in un film drammatico (Gene Hackman)
VINCITORE DI 3 PREMI GOLDEN GLOBE:
Miglior film drammatico, Miglior regista (William Friedkin), Miglior attore in un film drammatico (Gene Hackman)
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locandina del film IL BRACCIO VIOLENTO DELLA LEGGE

Immagine tratta dal film IL BRACCIO VIOLENTO DELLA LEGGE

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Nel 1962 due agenti della narcotici newyorkese, Eddie Egan e Sonny Grosso, portano brillantemente a termine una delle più famose operazioni antidroga in territorio statunitense. Il quantitativo di eroina sequestrato ammonta a 50 chilogrammi: un successo prima di allora senza precedenti. Questo importante fatto di cronaca fu d'ispirazione allo scrittore Robin Moore che ne trasse un romanzo di un certo successo, subito opzionato dal produttore cinematografico Philip D'Antoni ("Bullit").
Lo stesso produttore adocchiò un giovane e promettente regista, William Friedkin, autore di pellicole apprezzate come "Quella notte inventarono lo spogliarello", "Festa di compleanno" e "Festa di compleanno del caro amico Harold". Oltre a ciò Friedkin, prima di dedicarsi completamente al cinema, vantava anche un discreto curriculum televisivo dove si era fatto notare per dei documentari. Uno di essi, in particolare, si intitolava "The thin blue line", resoconto di una giornata passata accanto alle forze dell'ordine di S. Francisco, una specie di "Real TV" ante litteram che convinse D'Antoni ad affidare la regia al giovane Friedkin.
Questa in sostanza è la genesi di una delle pellicole più importanti del genere poliziesco degli anni 70. Il titolo del film ebbe la stessa denominazione dell'operazione antidroga compiuta circa dieci prima: "The French Connection".

Due poliziotti della squadra narcotici di New York (Jimmy Doyle e Buddy Russo) dalla vita sregolata, solitaria, e dai metodi assai violenti, sono in difficoltà con i superiori a causa di alcune operazioni fallite. Basandosi unicamente su vaghi indizi, riescono ad intercettare un'importante spedizione di stupefacenti proveniente da Marsiglia, coordinata da un misterioso e raffinato trafficante francese (Alain Charnier). Affiancati e sorvegliati da due compagni di lavoro, inizia per Doyle e Russo un'indagine complessa fondata su estenuanti pedinamenti, avara di progressi e ricca di insuccessi, che diverrà una vera ossessione. Charnier nel frattempo elude la sorveglianza, ed aiutato da complici americani (Weinstock e Boca), dal killer Pierre Nicoli e dal famoso attore tv Henry Deveraux, fa giungere, a bordo dell'auto di quest'ultimo, la partita di droga in città. Durante il viaggio di ritorno a N.Y. Alain chiede a Pierre di eliminare Doyle. Persa la fiducia da parte dei suoi superiori, Doyle perde il caso ma mentre sta rientrando a casa viene subisce un agguato da Nicoli, piazzato come un cecchino su un tetto. Doyle ingaggia così un lungo inseguimento ma Pierre riesce a prendere un treno e, dopo aver ucciso un poliziotto, a sequestrare il guidatore ed a far continuare la corsa del mezzo oltre la stazione successiva dove Doyle, dopo aver sottratto l'auto ad un cittadino, si stava lanciando.
Pierre, messo alle strette, è costretto ad uccidere anche un controllore e quando al guidatore prende un malore, il treno si va a scontrare con un convoglio fermo sulle rotaie alla stazione seguente. Doyle, che lo ha seguito in un pericoloso inseguimento, riesce a rintracciarlo alla stazione e lo fredda sparandogli alle spalle. Poco dopo sia lui che Russo sono sulle tracce di Boca che ritira da un garage l'auto dell'attore francese e la parcheggia vicino al ponte di Brooklyn dove i due poliziotti si appostano. Dopo un interminabile perquisizione fatta smontando letteralmente il veicolo trovano l'eroina, salvo restituirla nell'automobile apparentemente intatta, per non dare sospetti e poter individuare il luogo dello scambio.

Il cinema americano stava vivendo un momento di enorme traformazione: il rinnovamento della cosidetta "New Hollywood" aveva portato sullo schermo pellicole come "Easy Rider" e "Un uomo da marciapiede", prodotte al di fuori degli schemi consolidati delle grandi major americane. Si sentiva l'esigenza di portare il cinema fuori dalle ricostruzioni artificiose degli studios in un contesto il più possibile realistico, grazie anche ad una nuova schiera di registi che si affacciava all'orizzonte, provenienti chi dai corsi di cinematografia dei campus universitari (Coppola, Lucas, De Palma) chi dalla televisione (Spielberg). Un processo molto simile a quello già avvenuto in Italia con il Neorealismo e più tardi in Francia con la Nouvelle Vague.
"French Connection" rientra perfettamente in questa nuova esigenza espressiva, costituendo un vero e proprio spartiacque del genere poliziesco. Al successo ai botteghini della pellicola si affiancò quello alla cerimonia degli Oscar dove vinse ben cinque statuette (miglior film, regia, attore protagonista, sceneggiatura e montaggio).

Il film ci immerge direttamente nelle strade di New York, strade "difficili" dove il confine tra il legale e l'illegale è di non facile definizione e solo il possesso di un distintivo permette di determinare convenzionalmente chi sta dalla parte giusta e chi no. Il braccio violento della legge, ma quasi tutto il cinema di Friedkin, ha fra le sue caratteristiche principali la presenza di molte sfumature di grigio; le azioni dei suoi protagonisti sono sempre sul filo del rasoio tra bene e male e, molte volte, questa linea di demarcazione viene oltrepassata più volte, sia in un senso che nell'altro. Il personaggio friedkiano quasi mai ha il completo controllo degli eventi; vive delle azioni che sta compiendo con lo scopo di raggiungere un obiettivo prefissato: il come raggiungerlo o la scelta dei modi diventa secondario. La violenza è elemento predominante della realtà urbana descritta dal regista, una guerra di trincea tra crimine e legalità combattuta da entrambe le parti senza esclusione di colpi, senza nessuna concessione ad idealismi o romanticismi vari. Friedkin si guarda bene tuttavia dal dare dei giudizi moralistici sulla vicenda: ci viene semplicemente mostrata, lasciando al singolo spettatore giudicare secondo il proprio metro.
Esemplificativo è il carattere dei due principali antagonisti: "Popeye" Doyle (Gene Hackman) e Alain Charnier (Fernando Rey) sono lontani da una definizione puramente manicheista di buono e cattivo.
Il primo è un poliziotto rozzo, volgare, donnaiolo e razzista, vive esclusivamente del proprio lavoro, non ha una vita sociale al difuori di esso e fa il suo mestiere anche oltre l'orario di servizio; infatti tutta la vicenda nasce da un pedinamento fatto quasi per gioco, insieme al suo collega Russo, nei confronti di Sal Boca e la moglie, seguiti per tutta la notte fino al mattino successivo senza sosta. Il suo comportamento irresponsabile a volte rischia a mettere a repentaglio la vita di altre persone (oltre al propria, ovviamente) come gettandosi a perdifato all'inseguimento in mezzo al traffico cittadino (sfiorando addirittura di pochissimo una donna con carrozzella), pur di prendere la sua preda (il braccio destro di Charnier) che, detto per inciso, non esita a freddare alle spalle quando questi è ormai disarmato. Non è certamente un ritratto o una serie di comportamenti tipici di un "eroe".
Il secondo può essere facilmente scambiato per un distinto uomo d'affari europeo, dotato di un certo fascino e dai modi raffinati.
Frequenta ristoranti di classe, dimora in alberghi di lusso. Può essere facilmente scambiato per una persona per bene, suscitando anche una certa ammirazione per la furbizia e la freddezza per come semina Doyle nella metropolitana. Una contrapposizione ben evidenziata nel curioso contrappunto tra i due, dove Charnier è comodamente seduto al ristorante e l'infreddolito Doyle che lo sorveglia all'esterno mangiando pizza e bevendo caffè ormai freddo.

La sceneggiatura del film non è molto ricca di dialoghi; l'unico personaggio con una caratterizzazione più approfondita è quello di Popeye, interpretato da un Gene Hackman al primo vero ruolo da protagonista della sua carriera. L'Oscar come migliore attore protagonista sarà un vero trampolino di lancio per il suo futuro.
Fernando Rey nei panni di Charnier offre invece un'intepretazione dotata di una efficace presenza scenica che compensa i pochi dialoghi presenti. Determinato come Doyle a perseguire il proprio obiettivo, ma sempre calmo e riflessivo, non senza una punta di perfidia come nella scena della metropolitana. Un po' sacrificato nel suo ruolo Roy Scheider, semplice "spalla" di Hackman, la cui unica funzione è quella di smorzare gli eccessi del suo partner.
Ottima la fotografia di Owen Roizman dal forte taglio documentaristico, specchio di una New York particolarmente degradata e malfamata, che ben si sposa con la colonna sonora di Don Ellis, magari non trascendentale ma perfettamente funzionale a creare quell' atmosfera carica di minaccia presente nel film.
Il fiore all'occhiello è un montaggio pressochè perfetto che infonde a tutta la pellicola un grande dinamismo laddove, come nelle scene degli appostamenti o dei pedinamenti, riesce a movimentare situazioni di per sé statiche o monotone. Come non ricordare poi i due inseguimenti del film: quello a piedi fino alla stazione della metropolitana fra Doyle e Charnier, dove quest'ultimo riesce a seminare, con annesso saluto beffardo, il testardo poliziotto e naturalmente l'inseguimento in auto diventato uno dei più celebri della storia del cinema per perfezione tecnica e tasso adrenalico altissimo, stupendo nelle sequenze in soggettiva dall'auto che premiano la bravura e diciamo anche l'incoscienza di Bill Hickman, il capo stunt-man, nell'inerpicarsi tra le strade di New York senza la preventiva autorizzazione a bloccare il traffico. In diversi punti infatti la circolazione era "al naturale". Lo stesso Hickman interpreta nel film il ruolo dell'agente federale Mulderig, il poliziotto ucciso per errore da Doyle alla fine della storia.

"French connection" è stato accusato da più parti di essere un film dai forti connotati reazionari (al pari di "Dirty Harry" di Siegel), in cui le forze dell'ordine non esitano ad usare metodi brutali e violenti per contrastare la violenza stessa dei criminali. Tuttavia la magnifica ambiguità del finale, non conforta tale tesi: nel cercare di catturare Charnier, Doyle spara uccidendo per errore l'agente Mulderig. Di fronte al partner Russo sbigottito, Popeye passa oltre, noncurante dell'accaduto e continua a dare la caccia al trafficante francese, ormai completamente prigioniero delle propria ossessione e frustrato dalla mancata cattura del pesce più grosso.
Egli stesso diventa a sua volta un assassino. Lo sparo finale che chiude il film potrebbe essere interpretato in molti modi, nessuno dei quali sufficiente a dare una spiegazione univoca, lasciando tuttavia il campo ad un profondo senso di impotenza. Può essere il segno di un cupo pessimismo che il regista nutre verso la cosidetta società civile totalmente assente nel contesto del film, quindi alla fine dei conti, più che di propaganda di stampo fascistoide, l'"accusa" che può essere mossa a Friedkin è quella di aver portato sullo schermo una pellicola dai forti tratti nichilisti che lascia poco spazio alla speranza.
Sull'onda del successo del film fu girato nel 1975 un buon seguito, diretto da John Frankenheimer, dallo stampo più classico, dove però Doyle perde, almeno in parte, quelle linee d'ombra del personaggio che caratterizzavano il film di Friedkin.

"Popeye, you still picking your feet in Poughkeepsie?"

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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 15/09/2008

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