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Nel contesto della guerra in Afghanistan, un ragazzino ricco tradisce l'amico povero, grande cacciatore di aquiloni, portando con sè il senso di colpa per tutta la vita, fino a quando tornerà nel suo Paese, ancora in guerra, per riscattarsi.
Il mito e la letteratura ci hanno tramandato innumerevoli storie sull'Amicizia, quella con la A maiuscola, come sentimento superiore, in cui non entrano in campo interessi, calcoli, invidie e competizioni ma, invece, affetti sinceri, ammirazione e vocazioni altruistiche. L'altruismo, ad esempio, che nell'Iliade porta Patroclo a vestire inutilmente i panni di Achille per salvargli la vita; o che, nella Bibbia, fa dire da Rut a Noemi: "Dovunque tu muoia, io morirò e lì sarò sepolta. Solo la morte potrà dividerci".
Parimenti potremmo citare, rifacendoci alla storia della Grecia classica, le storie di Damone e Finzia, allievi di Pitagora, la cui storia è esempio di amicizia assoluta, fondata sulla massima fiducia reciproca; o ancora, volendo, le vicende di Eurialo e Niso nell'Eneide.
A quei tempi l'amicizia era vista come una delle virtù più alte, elemento fondamentale per la felicità e la completa realizzazione nella vita; tanto che Aristotele diceva: "senza amici nessuno sceglierebbe di vivere, anche se avesse tutti gli altri beni", sostenendo che l'amicizia perfetta è tra uomini buoni e simili per virtù, che amano gli amici per quello che sono.
"Il cacciatore di aquiloni" non è solo l'esaltazione di una splendida storia di amicizia tra ragazzini, ma racconta ben altro: parla di un rapporto datato tra padrone e servi, consumati, questi, da una indebita devozione (guardate cosa non farebbe il piccolo Hassan per il debole padroncino Amir), nonchè da una invidia rancorosa del bambino più grande, Amir, per il piccolo Hassan, tanto ammirato dal padre-padrone, senza apparenti motivi; quasi a prevedere, a livello inconscio, il fondamento edipico del conflitto (si scoprirà alla fine che i due sono fratelli).
Si scoprirà inoltre che l'apparente generosità d'animo del padre non odora di virtù superiore, ma di amore per il proprio sangue, decisamente terreno ed animale; torna qui Aristotele, che accomunava allo stesso livello l'amore tra padre e figlio, marito e moglie, padrone e servo.
La coscienza della propria vigliaccheria e dell'ingiustizia perpetrata rode Amir per la vita, riportandolo infine sui luoghi della giovinezza, per espiare la sua colpa.
E qui succede l'inverosimile, punto di debolezza vera del film, dalla sceneggiatura improbabile, stile Far West: con un colpo di mano da science fiction, lo scrittore americanizzato Amir penetra nella roccaforte dei capi talebani, in quattro e quattr'otto libera il nipotino, novello Hassan, e lo riporta a trionfare con gli aquiloni sui verdi prati della California, di fronte al mare.
Il tutto appare assolutamente artificioso, tanto da risultare quasi irritante, per il semplicismo del racconto e la sicumera yankee nel proporre i propri modelli che usano normalmente invadendo i Paesi del medio oriente per il petrolio.
Peccato, perché per certi versi nella prima metà il film affascinava, con suggestivi effetti scenografici dei villaggi terrazzati monocromi, degli aridi deserti di montagna e dei colorati mercatini di paese, come in un réportage turistico in TV; il tutto arricchito poi dalla retorica dei sentimenti e dalla facile presa dei personaggi infantili, che commuovono sempre a dismisura. Certo le riprese degli aquiloni che volano altissimi, sgominando competitivamente i concorrenti, sono di fortissima presa estetica per il pubblico, ma valgono anche a simboleggiare i principi di libertà (e di supremazia) dell'etica yankee; al punto che il regime afgano ne ha vietato l'uso, impedendo l'uscita del film.
Un film, dunque, da dividere in due metà: la prima di forte presa emotiva e spettacolare, alla Spielberg, con personaggi ben caratterizzati, come il padre, il vecchio generale afgano e la graziosa Soraya (Atossa Leoni) e dove, con rapidi tocchi, si delinea a sufficienza il quadro della guerra afgana; bene dunque, fin qui, regia e recitazione "all'americana" (ottimo Khalid Abballa nel ruolo di Amir).
La seconda, retorica e fasulla, è invece difficilmente difendibile.
"Il cacciatore di aquiloni" è pertanto un prodotto ben confezionato commercialmente, che non convince sul piano del pensiero e di una superiore "spiritualità" che ci si aspetterebbe da un prodotto di matrice orientale.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 16/04/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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