Recensione il castello errante di howl regia di Hayao Miyazaki Giappone 2004
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Recensione il castello errante di howl (2004)

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locandina del film IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL

Immagine tratta dal film IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL

Immagine tratta dal film IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL

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Immagine tratta dal film IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL
 

Nella terra di Ingary, dove realmente esistono cose come stivali delle sette leghe e mantelli che rendono invisibili, accade che, per una curiosa serie di coincidenze, una ragazza appena maggiorenne venga trasformata in un'arzilla e brontolona vecchietta. Sophie Hatter è la primogenita di tre sorelle in un reame dove la primogenitura è considerata una grossa sfortuna. Fa la cappellaia nel negozio del defunto padre con la stessa passione di chi lavora perché deve, intessendo rapporti d'amicizia con nastri e velette colorate. Ma Market Chipping è davvero un posto dove può succedere di tutto, specie quando è la Strega delle Lande Desolate a perdere la pazienza. Sophie è così costretta a partire, affrontando un viaggio che la porterà a stipulare un patto con un demone e ad entrare nel castello sempre in movimento del Mago Howl, ma soprattutto a ritrovare se stessa attraverso nuovi e inaspettati orizzonti.

Detta così potrebbe anche sembrare la trama della classica fiaba occidentale: magica come i racconti della Disney che fu, ammaliante quanto le avventure della letteratura steampunk, un po' paurosa come spesso sono le fiabe dei Fratelli Grimm. In realtà "Il castello errante di Howl" è questo e molto più: fatte le doverose premesse, Miyazaki ci prende per mano e ci conduce direttamente nella sua privatissima fabbrica dei sogni.
Come in un sogno, tutto accade così velocemente da rendere futile ogni sorta di spiegazione razionale: castelli che camminano, fuochi animati e antiche maledizioni, incantesimi che indagano la vera natura dell'animo. La fiaba segue una logica interiore paragonabile a dei sospiri intensi con cui Hayao Miyazaki riesce a comunicare l'idea che la tenerezza e l'ironia, i sentimenti e l'intelligenza possano convivere e organizzarsi in una voce calda e vibrante. Con un'andatura apparentemente dimessa ma che mostra al suo interno una geometria perfetta, tanto da far pensare ad un dipinto preordinato secondo criteri pitagorici o euclidei, Miyazaki ci offre spaccati di vita che, nello svolgersi, trovano implicazioni inimmaginabili e imprevedibili eppure coerentemente saldate alla psicologia dei personaggi.

L'ambientazione del film ha un sapore romantico e vagamente nostalgico. Al fondo del racconto c'è l'Europa fin de XIX siècle, non più quella torbida e decisamente malinconica di "Kurenai No Buta", ma sorniona, filtrata attraverso lo sguardo disincantato della vecchia Sophie. A cavallo fra l'Inghilterra vittoriana e l'Impero Asburgico, l'Europa di Miyazaki è un singolare collage di geografia fantastica: un po' di Francia nelle facciate alsaziane delle case, un po' d'Inghilterra nelle ciminiere grigiastre, un po' d'Italia nei motori sbuffanti che solcano i cieli. Miyazaki ha voluto calarsi anima e corpo nel rapporto che ogni protagonista ha con l'ambiente e con gli altri, rendendo tale rapporto non solo plausibile ma concreto e probante. La descrizione della natura incontaminata accompagna costantemente Sophie nel suo viaggio spirituale, instaurando una sorta di corrispondenza fra l'io e l'ambiente: nelle sequenze antecedenti l'incontro con Howl il tratto limpido di Miyazaki crea un senso di sospensione e di attesa; il pianto liberatorio di Sophie alle porte del castello errante è accompagnato dallo strepitio del vento e dagli scrosci della pioggia; il giardino fiorito in cui i due innamorati si tengono per mano rievoca la poesia di Ronsard e un'atmosfera onirica di dolcezza, di pace e d'abbandono.

Miyazaki è un maestro nel tradurre visivamente i sentimenti in immagini, adeguando il tratto della matita alle intermittenze del suo animo. La narrazione, nonostante la scansione classica, risente così della crescente anarchia delle emozioni, fatta di pause e improvvise accelerazioni, di sequenze introspettive e mirabolanti inseguimenti.
Lo stesso concetto di 'castello errante' come metafora dell'Io e del suo consolidamento attraverso l'esperienza suggerisce la natura di un'opera profondamente umana, che nasce non tanto per insegnare qualcosa a qualcuno ma quanto per condividerne lo spirito libero. Miyazaki osserva e analizza il cammino dei suoi personaggi, annotandone ironicamente la crescita. Un'auto-ironia, la sua, che non scade mai nella parodia meccanica o nel facile buonismo, divenendo piuttosto strumento da cui scaturisce una nuova e originale invenzione fantastica. Sophie, ragazza che mortifica la propria bellezza, riacquisterà paradossalmente attraverso la vecchiaia l'entusiasmo della giovinezza, forte dell'esperienza di chi sa come gira il mondo.
Howl, dal canto suo, è il primo vero e proprio antieroe di Miyazaki, l'archetipo dell'eroe romantico 'bello di fama e di sventura', dilaniato da passioni contrastanti e oscure. "Ritratto con un design volutamente e ironicamente cool, Howl è bello e dannato, sicurissimo del suo sex appeal, mago nel reame di Ingary ma certamente cantante/ attore idolo per le ragazzine del nostro tempo"1. L'amore fra i due personaggi segnerà il completamento dell'uno e dell'altra, nel modo più naturale possibile. Come per "Mononoke Hime" e "Spirited Away", Miyazaki racconta l'amore senza frasette o smancerie ma attraverso semplici, intensi gesti.

"Un lieto fine? È questo quello che vuoi? Non pensavo tu fossi un simile romanticone!"

Ma, ben consapevole della precarietà della vita, Miyazaki non intende svendere illusioni ed è per questo che stempera la dolcezza della sequenza conclusiva con il testo della canzone finale, che, al contrario, parla di separazione e abbandono.
Certo, il dolore e la guerra restano sempre sullo sfondo, nei colori sulfurei dei bombardamenti che si confondono coi ricordi dell'infanzia di Howl, e creano un alone che Miyazaki, semplicemente, risolve in emblema d'una terra i cui contrasti non vanno mai guardati solo da un'angolazione, ma da tutti i lati. Nel mondo di Miyazaki non c'è spazio per semplificazioni morali: non è possibile tracciare un netto confine fra bene e male, né tantomeno cercare di ricercare l'uno nell'altro; ma solo tentare di comprenderne la dinamica.

Con "Il castello errante di Howl" Miyazaki ripercorre il concetto di arte e di cinema come naturali interlocutori dell'inconscio: quasi un'ultima occasione di condividere se stesso, la sua tensione verso l'assoluto e l'infinito, il suo senso di dolorosa mancanza. Con pennellate dinamiche ed evidenti, realizza un dipinto in cui ogni singolo elemento viene valorizzato, sottolineato e investito di valori espressivi che ne superano la semplice funzionalità.
È un'esperienza visiva sognante e realmente commovente, perché vera.
È un gioco colorato e danzante di deformazioni, incastri, continue sovrapposizioni.


1 Yupa, "Howl's Moving Castle, l'ultima magia di Miyazaki", in "eMotion" n. 10, ottobre/novembre 2004

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Recensione a cura di Enzo001 - aggiornata al 03/12/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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