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Quanto può essere difficile guidare una nazione? Quanto, nel momento più delicato della sua storia? E se questa responsabilità cadesse su un uomo che desidera vivere lontano dalla responsabilità pubbliche? "Il discorso del Re" affronta queste domande raccontando la storia di George Frederick Ernest Albert, meglio noto come re Giorgio VI e delle vicende che porteranno alla sua salita al trono.
Vincitore di ben quattro premi Oscar nelle categorie principali (dopo ben 12 candidature), "Il discorso del Re" è tra i film maggiormente attesi dell'anno, una precisa biografia storica che riesce a delineare in modo impeccabile le dinamiche psicologiche che stanno dietro a un apparente piccolo handicap del linguaggio come quello della balbuzie.
George Frederick Ernest Albert, padre della attuale Regina Elisabetta II, nonché fratello dell'allora erede al trono Eduardo II, è un uomo apparentemente debole, vissuto in un contesto familiare caratterizzato della freddezza dei rapporti e dalla loro estrema formalità.
Il personaggio di Giorgio VI risulta lontano da quello che in genere ci si aspetta da un capo di stato; le sue grandi inibizioni e il disagio nei rapporti umani rendono qualsiasi situazione pubblica assolutamente improponibile.
Lo spunto per affrontare questa debolezza, ma anche la profonda tenacia con cui affronta i suoi fantasmi, è la vera e propria lotta che compie contro la sua balbuzie, attraverso varie cure rudimentali, fino ad arrivare a conoscere il logopedista Lionel Lougue.
Il rapporto tra i due sarà inizialmente complesso e conflittuale, ma ben presto si trasformerà in una grande amicizia che li accomunerà per il resto della vita.
La balbuzie è il punto di partenza di un'indagine che affronta in modo approfondito la psicologia di un personaggio storico di grande livello, mettendo a nudo quel profondo senso di inadeguatezza che accomuna tutti personaggi storici e non.
Da un'infanzia triste, caratterizzata da genitori lontani e da un insistente etichetta che ha sempre oppresso la sua vera personalità, si descrivono le improvvise responsabilità pubbliche di un uomo comune, che si ritrova inaspettatamente alla guida di una nazione, nel momento più delicato della sua storia.
"Il discorso de Re" fa parte di quelle pellicole di difficile valutazione, soprattutto tenendo conto delle professionalità profuse nella realizzazione di questo film.
Il regista,Tom Hopper, già conosciuto con il gradevole "Quel maledetto United" ricostruisce un opera storica in perfetto stile Britsh, con grande attenzione ai protagonisti e alla recitazione con movimenti di camera lenti e immersi in una fotografia curatissima.
Certo l'Oscar sembra essere eccessivo, visto che non c'è nessuna trovata visiva degna di nota, la regia si muove secondo tutti i cliché del genere, rigorosa nella messa in scena ma anche eccessivamente accademica e studiata, tanto da perdere di spontaneità e da far risultare il tutto eccessivamente costruito.
Ottime interpretazioni di Helena Bonan Carter e di Colin Firth ( nulla da eccepire sull'Oscar vinto) e in parte può dirsi lo stesso sulla sceneggiatura di David Seidler accuratissima nella caratterizzazione psicologica del protagonista meno in quella dei comprimari.
Nonostante tutto c'è qualcosa che manca a dimostrazione che non sempre ottimi ingredienti da soli sono in grado di creare un capolavoro.
Facilmente si cade nell'agiografia del re, che viene visto moderno e timido, un buon padre e un buon marito, sacrificando qualsiasi aderenza storica alla presentazione di un personaggio positivo ed identificabile.
L'attenzione con cui viene delineata la psicologia del protagonista è indiscutibile, così come ottima l'interpretazione di Colin Firth, eppure si manifesta qualcosa di non riuscito, soprattutto sembra venire a mancare una vera empatia tra i personaggi che incidono molto sulla immedesimazione.
Tutto è troppo schematico, soprattutto il ruolo dei comprimari che, a differenza del protagonista,sono poco caratterizzati nonostante in molti sostengano l'esatto contrario, confondendo buone interpretazioni con la buona scrittura dei personaggi che in questo caso manca.
A cominciare da un ruolo chiave come quello di Elizabeth Bowes-Lyon, Interpretato dalla eclettica Helena Bonam Carter, che non è ben delineato soprattutto nel rapporto con il marito e su come viva le dinamiche familiari. Del carisma della La Regina Madre poco ci resta e non per colpa della Bonam Carter.
Inoltre la stessa cosa si può dire in relazione al ruolo del legittimo erede al trono, il principe Edward, fratello del protagonista, interpretato dal mai entusiasmante Guy Parce, che rinuncia improvvisamente al trono per amore di una donna sposata. Elemento questo che avrebbe meritato un approfondimento maggiore e invece viene relegato ai margini nella storia, nonostante i risvolti di questo evento saranno determinanti. Discorso analogo può essere riproposto su Lyonel Hodge la cui psicologia non è assolutamente trattata così come la sua famiglia costruita sulla falsariga di uno spot della "Mulino Bianco".
Pur se si comprende la necessità di concentrare l'intero film sulla figura di un Re triste, il fatto che vengano sacrificate non solo le dinamiche storiche ma anche quelle dei personaggi di contorno, non aiuta l'immedesimazione e a tratti alcune dinamiche restano oscure oppure poco interessanti.
Perché fino a che si racconta il disagio di un uomo semplice dinanzi a grandi responsabilità, il film riesce in pieno a comunicarne il disagio e ad approfondirne i motivi, quando, invece, si vogliono affrontare tematiche come l'amicizia, la famiglia e i rapporti di coppia, tutto diventa molto schematico e poco approfondito, rendendo chiaro la mancanza di interesse per le tematiche trattate.
Non meraviglia l'enorme e prevedibile successo che "Il discorso del Re" ha ottenuto alla Notte degli Oscar, pur essendo decisamente inferiore a film come "Il Cigno Nero" o lo stesso "The Social Network", in quanto siamo al cospetto di un film di ottima fattura, estremamente convenzionale e prevedibile che aderisce in pieno al genere cinematografico che piace all'Academy.
Resta il fatto che non sono i numeri di statuette vinte a fare grande un film, ma la prova del tempo, basti vedere il percorso che hanno fatto film come "Shakspeare in Love", o "Il Paziente Inglese" che, dopo aver portato a casa un numero spropositato di statuette, sono finiti direttamente nel dimenticatoio.
Avrà lo stesso destino "Il discorso del Re"?
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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 02/03/2011 18.57.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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