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Un film su Leopardi lo aspettavano in molti. Il poeta italiano più rappresentativo dell'Ottocento e, dopo Dante, il più amato dagli italiani, come recitava un vecchio slogan, meritava che il cinema si occupasse di lui.
Mario Martone, dopo "Noi credevamo", interessante, poco celebrativo ed originale affresco di un Risorgimento (ai più quasi ignoto), riprende la felice vena e, avvalendosi di una fotografia superba che valorizza volti e ambienti (sia gli interni - che abbondano a causa della scarsa propensione del poeta recanatese a uscire - sia esterni) e di una scenografia che, figlia di Visconti, sembra ispirarsi a quadri dell'epoca, partorisce questo "Il giovane favoloso" dando un corpo e una voce a Giacomo Leopardi.
Elio Germano riesce ad appropriarsi bene del giovane poeta facendo un lavoro molto fisico che lo porta progressivamente a piegarsi su se stesso man mano che il morbo di Pott, la malattia che deformò in giovinezza Giacomo, avanzava.
Molto si poteva dire su Leopardi. La sua breve esistenza non fu costellata da avventure o eventi straordinari, ma la copiosa mole di scritti che ci ha lasciato, la sua intensa vita spirituale per uno studioso o semplicemente per un ammiratore, sembra tutta egualmente degna di essere citata o rappresentata.
Martone ha dovuto fare delle scelte che non sempre hanno raccolto parimenti un plauso: la pellicola è divisa in tre parti più o meno eque come lunghezza, con qualche forse eccessiva cedevolezza per la parte finale.
La giovinezza vissuta a Recanati vede Giacomo prima bambino e poi ragazzo accanto ai diletti fratelli Carlo e Paolina e in conflittualità prima recondita poi più evidente con la controparte adulta della famiglia: il severo zio Carlo Antici, la madre Adelaide (qui poco presente e sempre raffigurata con un eterno cipiglio) e infine Monaldo, padre affettuoso e al tempo stesso responsabile della prigionia del suo illustre figlio.
Con un salto temporale di dieci anni la scena si sposta a Firenze mancando di illustrare altre tappe importanti della crescita culturale e spirituale di Leopardi.
Dalla chiusura domestica Martone passa a spiegare l'isolamento di Giacomo negli ambienti letterari della sua epoca, rei di non averne compreso la grandezza, e infine si giunge a Napoli dove il poeta si spense non ancora trentanovenne, città dipinta nei suoi eccessi.
Giganteggia Germano ma non sono da meno gli altri comprimari, da Popolizio (Monaldo) a Graziosi (Antici) a Riondino che interpreta l'ambiguo Antonio Ranieri, sodale di Leopardi per alcuni anni.
A Martone il merito della reincarnazione di Giacomo che ha favorito una riscoperta da parte di molti di Leopardi animando un vivace dibattito culturale tra animi sopiti e cultori assetati di conoscenza.
Sicuramente, come è accaduto per altri biopic incentrati sugli artefici della letteratura universale, lo spettatore interessato è ammaliato dall'idea di poter vedere in carne e ossa il proprio idolo letterario come accadde in "Midnight in Paris", con lo stupefatto Owen magicamente a convegno con i grandi della Parigi anni Venti.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 28/09/2015 17.33.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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