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Il cinema dei fratelli Dardenne, Luc e Jean Pierre, si caratterizza da sempre per lo stile asciutto e raffinato con cui elaborano contenuti e forme, uno stile che si concretizza nella rappresentazione sul grande schermo di storie grandi e piccole, aventi per protagonisti personaggi comuni che vivono le ingiustizie della vita e del mondo.
La loro è una cinematografia dura, tagliente, asciutta, dal punto di vista narrativo e formale, quasi documentaristica,che indaga le zone d'ombra più recondite della realtà contemporanea.
Il loro umanesimo-sociale di denuncia che, per certi versi, li accumuna ai britannici Ken Loach e Mike Leigh, li porta a rivolgere lo sguardo verso le classi sociali più deboli, poveri ed emarginati, del Belgio, e soprattutto verso i minori che vivono in un ambiente privo di stimoli adeguati, in un mondo di degrado sociale, povertà, disoccupazione, sfruttamento, delinquenza.
In " Il ragazzo con la bicicletta" (recentissimo Gran Prix della Giuria al Festival di Cannes 2011, dove hanno già vinto due Palme d'oro con "Rosetta" nel 1999 e con "L'enfant" nel 2005), l'idea di base delle loro opere viene addolcita da una atmosfera nuova, come se nella storia facesse capolino uno spiraglio di luce nuova e un tratto leggero di ottimismo.
La vicenda che raccontano si svolge nei soliti luoghi della Vallonia proletaria, e si incentra su un adolescente di dodici anni, fragile e arrabbiato, Cyril, (interpretato dal giovanissimo Thomas Doret, scelto al primo giorno di casting dai due registi, colpiti dall'espressione dei suoi occhi) per essere stato abbandonato dal padre in un centro di accoglienza per l'infanzia per fuggire dalle responsabilità paterne e dalle faticose incombenze di crescere un figlio, dopo la morte della nonna (la madre non si sa chi sia, nè viene mai evocata).
Cyril è fragile, arrabbiato e scontroso ed ha paura di amare perchè teme di affezionarsi e di soffrire ancora... Cyril ha due soli amori, la sua felpa rossa e una bicicletta con cui corre nel vento, lontano da quell'istituto in cui è stato rinchiuso, in cerca di quel padre assente e lontano, incapace di dargli regole e protezione.
Quando Cyril conosce una giovane parrucchiera, Samantha (una bravissima Cécile de France), dopo una iniziale resistenza, accetta di essere ospitato da lei nei fine settimana, ma solo per poter allontanarsi da quell'istituto e nella speranza di convincerla a mettersi insieme a lui nella ricerca del genitore.
Lo trova, cuoco in un bistrot di periferia, ed è ancora peggio, perchè il padre, (interpretato dall'attore feticcio dei Dardenne, Jérémie Renier, che è cresciuto con loro, e che per loro ha fatto il figlio in "Le Promesse", prima di fare il padre in questo film) gli fa subito capire che non ha nessuna intenzione di sconvolgersi la vita per prendersi cura di lui.
Se ne prende cura, invece, la dolce Samantha, anche quando il compagno le dà l'out-out: scegli, o lui o me; anche quando si troverà costretta a calmare la sua rabbia, a bloccare le sue mani autolesionistiche, a salvarlo da un piccolo delinquente della zona che vuole addestrarlo allo spaccio e al crimine. Anche quando si vedrà costretta a comprendere e condividere le ragioni di un suo atto criminoso contro un altro padre e un altro figlio.
Una storia molto semplice, che si scontra con la realtà molto dura di un'infanzia difficile alle prese con l'abbandono.
Questo porta il ragazzino a sviluppare angosce prestazionali, disturbi dell'emotività e fobie sociali, che si concretizzano, per esempio, nell'ossessività con cui protegge la sua bicicletta (ultimo tenue legame con il genitore), o con le folli pedalate attraverso la città per sfinirsi e dimenticare il dolore della propria solitudine.
Emblematico, a questo proposito, è il modo con cui i Dardenne fanno incontrare Cyril e Samantha.
Ciò avviene un giorno, durante un tentativo riuscito di fuga di Cyril dall'Istituto(uno dei tanti), mentre viene inseguito da due educatori, quando, nel tentativo di sfuggire loro, si aggrappa ad una passante, strattonandola e facendola cadere a terra.
Quella passante è Samantha, la donna che da quell'incontro vedrà la sua vita sconvolta, ma che, a sua volta, cambierà in meglio la vita del ragazzo.
Ebbene, quell'abbraccio è un po' il simbolo di tutto il film: è un bisogno disperato d'aiuto, è la ricerca di un po' di calore umano. Perchè sarà proprio quell'abbraccio che alla fine riuscirà a restituire a Cyril la leggerezza lieve di un sorriso.
Ancora un film sui ragazzi difficili, dunque, per i cineasti belgi, il cui sguardo, da sempre, si sofferma su vicende che mettono in gioco il difficile rapporto tra il mondo degli adolescenti e quello degli adulti. Ma quello sguardo non è mai (non è stato mai) freddo e distante; è uno sguardo che misura il grado di miseria umana presente nella nostra dorata modernità. Uno sguardo che accompagna con compassionevole partecipazione ogni singola inquadratura, patisce con i propri personaggi e li segue nella presa di coscienza della propria identità, sia nella ribellione che nel pentimento e nel riconoscimento dell'altro.
"Il ragazzo con la bicicletta" più che la storia di un figlio è la ricognizione sul più doloroso dei rifiuti: il rifiuto ad essere amato, a cui un figlio non riesce mai a rassegnarsi.
Un figlio rifiutato dall'ignava immaturità di adulti che adulti non sono, irrequieto e turbato dalla rabbia che si porta dentro e che spesso sfocia nella violenza (pitbull lo chiamano i suoi amici sbagliati, per l'abitudine di mordere durante le liti).
Un ragazzino sempre in fuga sulla sua bicicletta che rincorre la voglia di una vita normale e un amore dal quale scappa. E l'immagine di questo bambino che torna a casa da Samantha dopo l'ultimo, straziante negarsi del padre, dopo aver percorso strade sbagliate, aver sofferto paure profonde, aver inseguito bisogni ancestrali, è un colpo al cuore che si affievolisce solo quando, alla fine, il volto nervoso del piccolo Cyril si illumina di un triste sorriso. Che triste non è grazie all'amore di un essere umano.
Il giovanissimo Thomas Doret è la vera sorpresa di questa ultima fatica dei fratelli Dardenne perchè riesce con bravura a prestare il suo volto e i suoi gesti ad un personaggio difficile e complesso, un ragazzino inquieto e turbato da dolori inespressi, in perenne corsa da se stesso e dal mondo.
Così come Cecil de France (vista recentemente nel film di Clint Eastwood, "Hereafter") riesce a dare spessore al personaggio di una donna combattuta ma molto decisa e risoluta, consapevole delle difficoltà che deriveranno dal suo rapporto con il ragazzino.
Come accennato, "Il ragazzo con la bicicletta" resta fedele alle tematiche autoriali dei fratelli Dardenne, ed anche le scene forti e violente, che qui non mancano, non sono mai urlate od ossessive.
Inoltre, nel cinema dei Dardenne è sempre vivido il rapporto con gli oggetti (qui esplicitato con l'ossessività con cui Cyril protegge la sua bicicletta, che evoca la più famosa bicicletta del cinema italiano, quella con cui De Sica chiariva l'imprescindibile legame tra adulto e bambino) e, soprattutto con le dinamiche che intercorrono tra padre/figlio.
Le uniche differenze che si riscontrano con le pellicole precedenti dei cineasti belgi risiedono nella scelta di una prospettiva meno cupa, in una fotografia più vivida e luminosa di colori e nell'uso, per la prima volta, di un accenno di colonna sonora con l'utilizzo di un brevissimo, rarefatto brano di musica classica, che accompagna Cyril nelle sue corse a perdifiato, quasi a sottolineare un'emozione improvvisa o un turbamento struggente.
E nonostante il tema non sia certamente tra i più leggeri, "Il ragazzo con la bicicletta" non presenta momenti melensi nè gesti che potrebbero sfiorare il melodramma, anzi scivola via dolce e malinconico, e potrebbe segnare una svolta nel modo di vedere e fare cinema dei fratelli Dardenne.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 30/05/2011 17.30.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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