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Ecco finalmente un film militante come non se ne vedono più tanto spesso. Ma la militanza di Leigh, ormai nota e celebrata, ne "Il segreto di Vera Drake", vincitore del Leone d'Oro alla 61° Mostra del Cinema di Venezia, si fa più intimistica, meno ideologica delle precedenti opere del regista inglese.
Imelda Staunton dà corpo a un personaggio pieno, senza vuoti di scrittura. E' lei stessa invece a scoprire, vivendo realisticamente (nel)la finzione, i vuoti personali e umani che si annidano nel suo personaggio. Vera, nella prima parte del film, è un monolite di certezze e sapienza casalinga, pur nella semplicità che hanno tutte le donne proletarie di casa. Quante Vera Drake ci sono state (e ci sono ancora nei nostri piccoli paesi di provincia) nelle nostre case, tra le zie e le nonne perennemente indaffarate in un'infinità di impieghi casalinghi, sapienti e conscie del fatto loro?
Vera Drake procura aborti clandestini con la stessa naturalezza, perizia e abnegazione con le quali svolge i suoi lavori domestici, di donna di servizio, di madre premurosa e di figlia rispettosa che accudisce i genitori anziani, dividendosi tra mille impegni quotidiani con assoluta, indiscussa e atavica dedizione.
Fa tutto questo perché è nella sua natura, cioè nella natura che le discende socialmente. Non si ferma mai a pensare, agisce senza porsi domande, dubbi. Tutto è assolutamente normale e va fa fatto perché così è (e sia), perché prima di lei lo hanno fatto centinaia o migliaia di altre donne del tutto simili a lei in ogni parte del mondo, da sempre. La sua è una realtà tacitamente lecita e legittima - nel suo mondo - acquisita per consuetudine e necessità, anche se parallela e non conforme alla realtà ufficiale, quella della Legge. Una legge che al momento dell'arresto appare quasi kafkiana, tanto è estranea e lontana dall'universo morale e ideologico della donna.
L'angoscia maggiore per Vera Drake è l'aver procurato un danno quasi letale a una giovane donna che lei pensava, nel più totale candore della sua coscienza, di "aiutare". Ma anche per la scoperta di un mondo che le doveva essere sempre stato estraneo: quello reale.
L'incidente, con il conseguente arresto, è lo squarcio lancinante che si apre nella coscienza candida di Vera, ormai messa di fronte alle sue responsabilità nei confronti della Legge. È l'irruzione violenta della realtà istituzionale nel mondo autonomamente regolato da leggi non scritte di Vera.
Nell'angoscia della donna, atmosfera che scandisce tutta la seconda parte del film, si scorge un substrato di coscienza che risponde, in verità, proprio a quel mondo regolato dalle leggi ufficiali: solo ora inizia ad emergere: Vera sa cosa ha fatto, non solo alla giovane che ha mandato in coma, ma durante tutta la sua illegale attività di procuratrice d'aborti.
È come se a un certo punto quella realtà ufficiale venisse tragicamente a galla, spazzando via quella coscienza e quell'ordine morale a cui Vera aveva sempre risposto perché così doveva essere per atavica acquisizione. Vera continua a ripetere, di fronte alle sue colpe e all'accusa della sua pratica illegale, che lo faceva per aiutare le ragazze in difficoltà.
Non è una discolpa, la sua, ma la percezione tragica della sua difformità; l'evidenza di questa. È l'essenza stessa della tragedia: lo scarto di realtà fra il mondo "normale", con la sua legalità istituzionale, e la pratica esistenziale della vita, alla quale Vera ha sempre risposto col massimo dell'impegno, dell'onestà, dell'amore e della dedizione altrui. Si profila una sorta di sventura della virtù, nella quale l'amore e la dedizione, appunto, diventano una colpa in un mondo altro.
Quella di Vera Drake è l'angoscia di chi scopre che la propria condotta moralmente irreprensibile di tutta una vita è in realtà una condotta condannabile e deprecabile, al pari di quella di un comune delinquente. Non è il timore del carcere o della pena, ma la scoperta della dissoluzione - e il conseguente discredito - del suo mondo, delle sue credenze e del suo sistema di valori a distruggere Vera, a farle crollare improvvisamente tutte le certezze più profonde.
Chi si rende conto sin dall'inizio della tragedia della donna sembra essere, paradossalmente, il commissario che sta conducendo le indagini sull'incidente alla giovane donna in coma per l'aborto illegale, proprio l'uomo, cioè, che rappresenta la Legge, la veste ufficiale di quel mondo parallelo che Vera soltanto sfiorava con la coscienza.
E chi invece come suo figlio è cresciuto in seno a Vera, allevato proprio secondo quel codice morale - non scritto, contrariamente alla Legge -, che la donna osservava per naturale obbedienza ancestrale, "antropologica", ora si sente improvvisamente estraneo al suo mondo e rifiuta, ripudia la madre come altro da sé (di un sé allargato alla sfera familiare).
In un film (si potrebbe dire, su un "doppio stato" morale e antropologico) dal forte impatto emotivo come questo, Mike Leigh riesce a gestire un equilibrio ben ponderato che non scivola pateticamente verso la partigianeria per l'innocentismo pietistico di Vera Drake, né, d'altro canto, per il trionfo della legalità e della giustizia. La pietà si concentra semmai sul riconoscimento della tragedia della coscienza di Vera, sulla sua lacerazione umana, esistenziale e morale.
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Recensione a cura di gerardo - aggiornata al 06/04/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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