Recensione il sindaco del rione sanita' regia di Eduardo De Filippo Italia 1979
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Recensione il sindaco del rione sanita' (1979)

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locandina del film IL SINDACO DEL RIONE SANITA'

Immagine tratta dal film IL SINDACO DEL RIONE SANITA'

Immagine tratta dal film IL SINDACO DEL RIONE SANITA'

Immagine tratta dal film IL SINDACO DEL RIONE SANITA'
 

Nel 1960 si apre una nuova stagione per le commedie di Eduardo, sempre più sotto il segno di cantate "dispari" (laddove quelle di gioventù furono raccolte dallo stesso autore sotto il titolo di cantate dei giorni "pari"). È un pessimismo dilagante il suo e disturbò non poco i critici che dovettero improvvisamente fare i conti con un altro De Filippo, diverso da quello che usava una comicità amara per far ridere il pubblico (e farlo riflettere) sulle disgrazie di povere famiglie come "Natale in casa Cupiello" o "Napoli Milionaria".
Adesso la risata si attenua, è solo a sprazzi; si pensi in questo caso a "De Pretore Vincenzo", dramma di un ladruncolo senza santi in paradiso che si ingegna a scegliersi un protettore proprio tra di loro, per poi finire tragicamente.

Entra in questa dinamica sempre più drammatica e pessimista "Il sindaco del Rione Sanità". Scritta nel 1960, considerata giustamente uno dei capolavori di Eduardo, ha avuto due rappresentazioni televisive dello stesso autore per la televisione nel 1964 e nel 1979 (quella che si prenderà in esame, per quanto siano simili quasi in tutto).

È la vicenda amara di un guappo vecchio stampo, Antonio Barracano, "sindaco" di uno dei quartieri più difficili di Napoli. Già dal titolo si riflette quello che sarà il perno centrale della storia scritta da Eduardo, ovvero il contrasto tra la giustizia dello stato e quella interiore di un protagonista che assurge a nuovo giudice, che viene proclamato "sindaco" a furor di popolo senza avere alcun requisito giuridico per esserlo e senza essere riconosciuto come tale dallo stato.
Chi si aspetta un esame antropologico delle basi culturali della camorra a Napoli resterà in parte deluso, non fosse altro che Eduardo sceglie un percorso sorprendente che va all'interno dei personaggi ivi rappresentati, dei loro contrasti, delle loro emozioni e di cosa sia lecito fare e no. Gli accadimenti violenti ci sono ma lo spettatore non li vedrà mai accadere: persino l'inizio cosi potente, in cui donne e uomini della tenuta di villeggiatura Barracano preparano un tavolo per adagiarvi un ferito da arma da fuoco, è all'interno di un'azione già successa di cui noi vedremo solo le cause. Incipit che nel suo silenzio, nei gesti lenti e misurati di un notturno in cui si preparano i "ferri del mestiere", ha in sé il carattere ambiguo di tutto il teatro eduardiano. Dario Fo disse che gli attori preparano la tovaglia e si pensa subito al cibo, per poi ribaltare la situazione adagiandovi un corpo ferito, rimandando in tal modo ad un pranzo dionisiaco e cannibale. Parole migliori non avrebbe potuto sceglierle, perché è proprio cosi; non solo, questo incipit sarà quasi speculare al finale, dove in un'altra cena ad essere sacrificato e dato in pasto (volontariamente) ai convitati sarà proprio il sindaco Barracano...

Antonio Barracano entra in scena con la sua figura indimenticabile, severa, tagliente (grandiosa interpretazione di Eduardo); è un uomo che a malapena sa leggere e scrivere ma che amministra la giustizia privata in quanto quella pubblica "non ammette ignoranza"; e cosi il fesso viene sempre gabbato dal più furbo.
Per lui, che da giovanissimo ha subìto il torto devastante, dopo il quale ha deciso di porsi come giudice del bene e del male del Rione Sanità, lo specchio è uno "scostumato", è il "parlanfaccia", è l'unico oggetto, tramutato dalle sue parole, quasi in un essere umano, capace di dirti la verità sul tuo aspetto fiacco e debilitato dai troppi anni, dai torti e dalle riparazioni di una vita sempre al limite. L'unica altra cosa che dice la verità è la morte. Barracano non esita neanche a proferire minacce (o per meglio dire "avvertimenti") al medico curante che lo segue da trent'anni, Fabio, che vorrebbe partirsene e andare via in America.

Il dottor Fabio Della Ragione (cognome simbolico di grande rilevanza nel finale) è stanco, dice. Ha seguito il sindaco per molti anni, convinto di poter davvero raddrizzare i torti dove lo stato non avrebbe potuto o voluto intervenire. Ma i risultati per lui non si sono visti, i giovani continuano a spararsi come fosse un gioco da fare un giorno sì e uno no, l'ignoranza e gli ignoranti dilagano. Lo slancio utopista si contrappone a quello pratico di Barracano, di cui il dottor Fabio rappresenta il naturale rovescio della medaglia: sono due figure speculari indivisibili l'una dall'altra.

Eduardo avrebbe potuto fare di Barracano un camorrista sui generis, stereotipato, e invece no: sceglie una via tortuosa come ci ha abituato, lo rende complesso, enigmatico, addirittura un martire, un novello Cristo camorrista (si passi il brutto termine). Perché Barracano crede davvero di aver dedicato una vita a risanare contrasti insanabili, ad amministrare una giustizia che come dice il nome stesso fosse stata giusta verso chi si rivolgeva a lui. I testimoni comprati, gli omicidi commessi "a fin di bene", sono stati leciti e in un'ottica si può dire che Barracano sia uno di quei fragili sognatori eduardiani che guardano al di là di un muro, dove gli altri non riescono o non vogliono vedere.
È un ignorante nel senso che compie il male in buona fede, un saggio che però accresce suo malgrado l'ignoranza. E dietro il suo aspetto vecchio e il suo atteggiamento in ogni caso giusto e saggio, è impossibile non notare come si nascondano le genesi della camorra che oggi tutti conosciamo: c'è anche da dire che il "sindaco" fu modellato sulle fattezze di un personaggio realmente esistito e che Eduardo conobbe, di nome Campoluongo, un guappo vecchio stampo che si ritrovò ad appianare i contrasti nel quartiere della Sanità dopo che gli fu mangiato il naso da un suo nemico.
Il discorso qui non si può fraintendere: Eduardo non ammette ignoranza, come la legge. La sua non è una giustificazione della camorra, il suo Barracano può essere lodevole sotto molti aspetti e in effetti lo è, ma la sua condotta al di fuori della legge non permette che TUTTI i contrasti a venire saranno sanati, anzi è la premessa per una criminalità dilagante dove gli uomini agiranno al di fuori di quella legge pubblica che Barracano ha evitato come la peste o ha imbrogliato per non uscirne sconfitto.
Dopo l'uscita al cinema de "Il Padrino" di Coppola lo stesso Eduardo si trovò costretto a difendere il suo personaggio tanto simile a Don Vito, rilevandone l'originalità e l'attitudine profetica (e tanti sono i punti in comune con il personaggio interpretato da Marlon Brando).

Se il primo atto ce lo mostra intento a risolvere casi di ordinaria amministrazione, di liti, di soprusi, scatta anche la scintilla che lo porterà al sacrificio finale: la richiesta del figlio di un panettiere di uccidere il padre, che lo ha ridotto alla fame e disconosciuto pubblicamente. Il primo atto si chiude con il "sindaco" colto di sorpresa dalla richiesta e si riapre con lui che cercherà di pacificare padre e figlio. E nel terzo atto, dopo essere stato ferito a morte dallo stesso panettiere che per paura lo ha accoltellato, ci riuscirà con l'arma dell'inganno, amministrando per l'ennesima volta la giustizia a modo suo.
Il momento del ferimento ci viene come di consueto risparmiato, succede tra il secondo e terzo atto. Terzo atto che è un evidente rimando martirologico ad una Ultima Cena in cui Barracano si sacrifica per gli altri. Un atto estremo di altruismo per un sognatore che ha avuto la visione di poter avere un mondo "meno rotondo ma un poco più quadrato". E potrebbe concludersi cosi, non fosse per il ribaltone finale tra i più efficaci e da pelle d'oca di Eduardo, con il dottor Fabio ("Della ragione") che prendendo le redini in mano e non attenendosi a quanto pattuito da Barracano, fa rientrare la vicenda nell'ambito di una giustizia totale che sia ANCHE quella pubblica e dello stato.
Il suo disubbidire alle vertenze del sindaco è un atto liberatorio, che rimette in gioco tutto e il contrario di tutto: nelle sue parole si intravedono tanto le visioni di un futuro segnato dalla guerra dei figli di Don Antonio con Santaniello (il panettiere) che porterà alla distruzione totale, tanto quanto l'idea non più tanto utopistica di un mondo dove la giustizia è davvero uguale per tutti.

Senza tradire lo spirito di Barracano, il suo opposto speculare mette il punto alla vicenda con la razionalità e la non ignoranza, la speranza in un mondo giusto che purtroppo, a Napoli come in tutta Italia e nel mondo, non è mai successa. Eppure Barracano non è visto solo come un fallimentare sognatore, non quando proprio nel terzo atto il giovane che avrebbe voluto ammazzare il padre gli confessa felice di aver riflettuto sulle sue parole e deciso di non dare seguito ai suoi propositi. La speranza, anche nella fase pessimista di Eduardo, non verrà mai meno, tranne che nelle ultimissime commedie.

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Recensione a cura di elio91 - aggiornata al 26/04/2012 16.54.00

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