Recensione imago mortis regia di Stefano Bessoni Italia, Spagna, Irlanda 2008
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Recensione imago mortis (2008)

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locandina del film IMAGO MORTIS

Immagine tratta dal film IMAGO MORTIS

Immagine tratta dal film IMAGO MORTIS

Immagine tratta dal film IMAGO MORTIS

Immagine tratta dal film IMAGO MORTIS

Immagine tratta dal film IMAGO MORTIS
 

"Io catturerò la Morte attraverso i tuoi occhi"

Negli ultimi anni, tutto il mondo ha riscoperto il genere cinematografico dell'orrore grazie alla forte spinta prodotta dai cineasti orientali, soprattutto Giapponesi e Sud-Coreani, che hanno saputo restituirgli nuova linfa vitale.
Purtroppo in Italia, non ci stancheremo mai di ripeterlo, sembra che non ci sia più la sensibilità né la coscienza di che cosa sia un film dell'orrore propriamente detto. Evitando pedanti ripetizioni di quanto già affermato e spiegato in passato relativamente alla Letteratura Gotica e alla nascita del genere Horror, si rinvia il lettore alle recensioni di "Il Nascondiglio" e di "The Mist", senza voler abusare della sua pazienza e della sua comprensione.
Secondo molti analisti questo genere cinematografico, nato negli anni trenta negli Stai Uniti che hanno accolto le istanze del cinema muto ed impressionista tedesco dei primi decenni del secolo (si pensi alle opere di Paul Wegener, di Robert Wiene e di Friedrich Wilhelm Murnau), ha raggiunto il proprio apogeo grazie ad artisti italiani quali Riccardo Freda e Mario Bava, che negli anni cinquanta e sessanta hanno sostanzialmente dato vita ad una nuova concezione del Gotico, che poi fu sviluppata ulteriormente negli anni settanta da altri autori fra cui il massimo esponente è stato Dario Argento, senza però dimenticarci di grandi autori come Pupi Avati e Dino Risi e di autori definiti, spesso ingiustamente, "minori" come Lucio Fulci, Antonio Margheriti, Umberto Lenzi, Ruggero Deodato.
Si può anche affermare che Mario Bava e Riccardo Freda abbiano sostanzialmente dato vita al genere Horror, almeno limitatamente alla sua concezione moderna, andando assai oltre i loro contemporanei autori d'oltreoceano come Roger Corman, Robert Wise, William Castle e Robert Aldrich, che però meriterebbe un discorso a sé stante da tenersi in altra sede.
Appare quantomeno bizzarro, dunque, che un genere che, anche se non si volesse affermare che sia nato in Italia, ha raggiunto nel nostro Paese le massime vette riconosciute a livello internazionale, oggi invece non solo sia completamente dimenticato ma soprattutto sostanzialmente mal visto dai produttori e dai distributori.
Questa affermazione infatti, contiene una mezza verità e, quindi, una mezza bugia.
Il genere Horror in Italia non è mai stato dimenticato da una piccola fetta di pubblico affezionato e da alcuni autori che hanno per decenni cercato di farlo rivivere, senza troppo successo, nel nostro Paese. Si pensi ai film di Ivan Zuccon, che malgrado un notevole consenso a livello internazionale, in Italia non sono distribuiti e sono poco conosciuti e poco conoscibili. Lo stesso discorso può farsi per Gabriele Albanesi che ha diretto una pellicola Gore, intitolata "Il Bosco Fuori", che è stato proiettato in pochissime sale, ma che in altri Paesi come il Giappone è stato per settimane in vetta alle classifiche.
Si può dunque affermare candidamente che il genere Horror Italiano è mal visto da un'intelligentia spocchiosa e pretenziosa e dal mondo della produzione e della distribuzione cinematografica, che affermano, mentendo, che il pubblico non è interessato a questo genere.

"Imago Mortis" rappresenta dopo molti anni il tentativo di ritornare al cinema di genere attraverso un impegno produttivo (una coproduzione Italiana, Spagnola ed Irlandese) e distributivo (Medusa Film per l'Italia e la Industrial Illusions Distribution per il mercato internazionale) finalmente adeguato, e non parliamo certo di somme mirabolanti né di altro, parliamo semplicemente del fornire ad un autore i giusti mezzi e giusti spazi per realizzare e divulgare la propria opera.

"Imago Mortis" è il secondo lavoro del regista Stefano Bessoni, che già aveva diretto una pellicola Horror nel 2005, "Frammenti di Scienze Inesatte", e narra una storia dell'orrore di impianto classico.

Ci troviamo in una scuola internazionale di cinema, l'Istituto Friedrich Wilhelm Murnau, dove Bruno (Alberto Amarilla) comincia ad essere vittima di visioni che lo conducono alla scoperta di un manufatto creato da Girolamo Fumagalli (Franco Pistoni), un alchimista del 1600, discepolo di Athanasius Kircher e precursore dell'arte della fotografia.
In seguito alla scoperta di questo strumento, detto Tanatoscopio (o Thanatoscopio, se si preferisce), nella scuola ha inizio una serie di misteriose sparizioni e di efferati omicidi.

Si avverte il lettore che, almeno per questa volta, nello svolgimento di questa analisi non c'è nessun bisogno di sviscerare la trama del film, ne consegue che non ne saranno rivelati i principali colpi di scena e che, quindi, anche chi non avesse ancora visionato "Imago Mortis" può tranquillamente leggere quel che segue. Tuttavia, si reputa preferibile e si consiglia al lettore la visione della pellicola prima dell'accostamento a quest'analisi.

La storia, come dicevamo, ha un impianto classico. Ci troviamo all'interno di un luogo circoscritto dove il protagonista, un giovane studente dal presente tormentato (Bruno ha infatti appena perduto i genitori e di conseguenza versa in condizioni psicologiche e finanziarie del tutto precarie), si trova suo malgrado coinvolto in una vicenda misteriosa e raccapricciante.
Partendo da uno spunto semplice, la sceneggiatura compone un calderone in cui vengono mescolati tantissimi ingredienti, forse addirittura troppi.
La miscela è efficace: si fonde il passato con il presente, la scienza con la magia, la Storia con la fantasia, la passione con l'ossessione, la psicologia con l'esoterismo, l'istruzione con il plagio, l'affermazione professionale ed artistica con l'agonismo sportivo.

Purtroppo, e questo è bene chiarirlo subito, "Imago Mortis" è un film zoppicante proprio a causa della sua sceneggiatura. Le idee di fondo sono ottime, ma non si può dire altrettanto del loro sviluppo. A giudizio di chi scrive, la sceneggiatura deve essere stata vittima di eccessive stesure, di eccessive scritture e riscritture che hanno reso il film un pout pourri che forse molti non gradiranno.
I vuoti narrativi sono molti e la soluzione finale della vicenda è piuttosto banale nella sua semplicità. In troppi hanno messo mano alla sceneggiatura e in archi temporali troppo lunghi e diversificati. Ciò ha prodotto una struttura disomogenea e claudicante, con una progressione narrativa fragile e dispersiva, priva di crescendo e sfuggente nelle sua conclusione.
Di tutto questo il film ne risente e non poco.

E allora, direte voi, come si può giudicare positivamente un film dopo una tale premessa?
La risposta è semplice: nonostante il fatto che chi scrive sia un fermo sostenitore della prevalenza della sceneggiatura su tutti gli altri elementi di un film, si deve anche ricordare che la sceneggiatura è soltanto uno di detti elementi.
Inoltre, si deve distinguere la sceneggiatura dal soggetto.
"Imago Mortis" ha un soggetto molto elaborato e ben concepito. Al contrario dunque della maggior parte dei film dell'orrore hollywoodiani e anche dei nuovi horror europei, la pellicola diretta da Bessoni poggia su una storia ricca, intrigante e carica di fascino. Eccellente la commistione fra la Storia riguardante gli studi e gli scritti di Athanasius Kircher e la fantasia relativa all'invenzione del personaggio di Girolamo Fumagalli e del suo Tanatoscopio.

La prima sensazione che si prova dopo la visione delle prime immagini di questo film è quella di essere completamente sospesi dalla realtà.
La storia non ha una collocazione cronologica specifica né una collocazione geografica evidente (anche se ci troviamo nel torinese, questo non è mai specificato).
La dimensione spaziale è circoscritta al microcosmo dell'istituto Murnau, mentre la dimensione temporale è del tutto rarefatta. Per ovvie esigenze narrative (esiste il cinema, esistono i proiettori e le macchine fotografiche reflex) è evidente che ci troviamo nella seconda metà del ventesimo secolo, ma nessuna ulteriore specificazione è fornita (a parte un apparecchio spara chiodi che lascia un po' il tempo che trova).
D'altronde come ha scritto Edgar Allan Poe nell'incipit del racconto Metzengerstein:

"Orrore e fatalità hanno imperato in ogni tempo. Perché dunque segnare una data alla storia che devo raccontare?"

Questa assenza d'inquadramento cronologico è il primo, ma non l'unico fattore, che contribuisce a creare la sopraccitata sospensione dalla realtà che risponde efficacemente alla regola della sospensione della incredulità, a quel patto silenzioso che si stipula fra spettatore e narratore.
Gli altri elementi sono le caratterizzazioni dei personaggi, le scenografie, i dialoghi e l'onnipresente citazionismo cinematografico. Insomma: quasi tutti gli elementi che concorrono alla costruzione di un film.

I personaggi hanno un profilo spesso caricaturale ed estremo.
Si passa dall'improbabile protagonista, tormentato dalle proprie disgrazie e dalle apparizioni di fantasmi, con un carattere debole ma forte, vigliacco ma coraggioso, stupido ma intelligente, compatito ma odiato, simpatico ma antipatico. In sintesi: un ossimoro vivente.
Poi abbiamo Arianna (Oona Chaplin): bella, studiosa, innamorata del protagonista, non gli crede, ma lo affianca in tutto quello che fa e lo sostiene in tutto quello che dice.
Eccoci ad Orfeo (Paolo De Vita): caricaturale nell'aspetto e dal modus vivendi grottesco.
La Contessa Orsini (Geraldine Chaplin): ambigua filantropa, amante della scienza e dell'esoterismo, a metà fra un mecenate e una strega.
Il Professor Gustav Olinski (Alex Angulo): gentile ma ostico, defilato ma onnipresente, umile ma istrione, buono ma cattivo al punto di essere soprannominato Caligari. Un altro ossimoro.
Il Professor Ermete Astolfi (Francesco Carnelutti): chiuso nel proprio dolore come nei propri esperimenti, è un sorta di Deus ex Machina. La compagna di corso Leilou (Leticia Dolera): sensuale, provocante, appariscente, sfuggente, ambigua.

Risulta evidente quanto queste caratterizzazioni siano estremizzate e tagliate a colpi di scure, tuttavia, nella sospensione della incredulità, sono tutti personaggi convincenti e perfettamente funzionali alla storia narrata.
La forza di questi personaggi è data anche dall'ottima prova degli attori che per la maggior parte sono dei caratteristi eccellenti.
Da questo contesto si deve sottrarre Alberto Amarilla, generalmente bravo interprete ("Mare Dentro"), che offre un'interpretazione troppo caricata, poco coinvolgente e affatto convincente.
Al contrario Oona Chaplin regala allo spettatore un'interpretazione perfetta, capace di trasmettere con genuinità il proprio personaggio.
Assolutamente irresistibile Paolo De Vita nel ruolo di Orfeo, amabile e scanzonato.
Ineccepibili Geraldine Chaplin, Alex Angulo e Francesco Carnelutti.
Da segnalare anche la partecipazione della brava Jun Ichikawa, l'attrice lanciata da Ermanno Olmi in "Cantando Dietro Paraventi", recentemente vista ne "La Terza Madre" e ne "La Rabbia".

Terzo elemento sopraccitato è la scenografia. L'arredamento degli interni spazia da uno squallido modernariato come quello delle aule e degli alloggi studenteschi ad un barocco, decadente ed eccentrico, come quello del palazzo della Contessa Orsini passando attraverso lugubri sotterranei, fatiscenti studi di posa, misteriose caverne e claustrofobici archivi.
Il tutto sembra essere uscito direttamente dagli anni cinquanta, ma, come già chiarito, si tratta solo di impatto visivo e non di inquadramento cronologico.

L'ultimo elemento che contribuisce a costruire questa sapiente sospensione della incredulità è il citazionismo.
Tutta la vicenda ruota intorno ad un Tanatoscopio ossia un marchingegno composto da due elementi distinti, un specie di casco metallico e un proiettore rudimentale, che opera anche come camera oscura, capace di riprodurre e stampare l'ultima immagine vista da una persona prima di morire. L'immagine rimane impressa sulla rètina. Il Tanatoscopio produce la morte del soggetto attraverso la frattura dell'osso del collo e, contemporaneamente, gli cava i bulbi oculari affinché l'alchimista possa impossessarsene per procedere all'estrazione dell'immagine impressa sulla rètina del defunto (che in questo caso appare equivalente in tutto e per tutto al negativo di una fotografia) attraverso l'uso di un secondo strumento che fa sempre parte del Tanatoscopio.
Non c'è davvero bisogno di essere dei cinefili per volare immediatamente a Dario Argento e al suo "Quattro Mosche di Velluto Grigio" (1971). Ma se il Tanatoscopio è la citazione più evidente, essa è soltanto la punta dell'iceberg. Le atmosfere e la classe dirigente dell'Istituto Murnau ricordano da vicino "Suspiria". Bruno vede dei fantasmi e la sua ragazza in un certo momento gli domanda: "Vedi ancora la gente morta?". Evidente riferimento a "Il Sesto Senso".
L'istituto è dedicato appunto a Friedrich Wilhelm Murnau, forse il massimo esponente del cinema espressionista. La pellicola con cui si apre "Imago Mortis", che nella finzione è diretta dal professor Olinski e rappresenta l'esperimento di Fumagalli con il Tanatoscopio, è una pellicola di evidente matrice impressionista.
Olinski è soprannominato Caligari, direttamente dal capolavoro di Robert Wiene "Il Gabinetto del Dottor Caligari" (1920).
Impossibile non notare i riferimenti alla filmografia di Alejandro Amenábar: l'ambientazione ricorda da vicino il suo "Tesis" (1996); Amarilla è stato da lui diretto in "Mare Dentro" (2005); alcune scelte di regia rimandano anche a "Apri gli Occhi" ("Abre los Ojos",1997).
Sulle citazioni potremmo continuare a lungo, ma sarebbe un esercizio inutile. In ogni modo esse sono gradevolissime, non affaticano il ritmo narrativo e spesso sono perfettamente integrate con la trama del film.

Perché è importante aver sottolineato come questi elementi creano la citata sospensione della incredulità?
Perché questo ci permette di analizzare quelli che sono i punti di forza di questa pellicola.

Il primo e più evidente risultato della sospensione della incredulità è che lo spettatore si ritrova immerso in una storia che gli consente una perfetta evasione dal quotidiano e un assorbimento completo in un mondo immaginifico. Poi sta allo spettatore scegliere se seguire il gioco cui è stato invitato oppure no.
Infatti, "Imago Mortis" altro non è che un film di pura evasione, un sofisticato divertissement d'autore. Non si cerchino metafore umane e sociali. Lo scopo di Stefano Bessoni è di intrattenere, non di educare. Intrattenere, trasmettendo l'amore per la cinematografia e facendo rivivere un genere che nel nostro Paese sembra appunto dimenticato o troppo fuori moda.
E infatti questa pellicola deve essere valutato soprattutto sotto un profilo estetico e formale. Essa è l'esaltazione del culto dell'immagine e dell'importanza che esso ha nella vita.
Come suggerisce lo stesso titolo con la parola "Imago", è appunto l'immagine il fulcro di tutto il film. Così come la fotografia sta alla base della cinematografia.
Gli studenti dell'Istituto Murnau sono chiamati a svolgere un servizio fotografico su determinati temi e nel seguente ordine: Tempo, Morte, Paura, Destino.
Fotografare letteralmente significa disegnare con la luce e la fotografia consiste nell'immortalare su un materiale fotosensibile un'immagine colta in un determinato momento. Si tratta di un segmento di tempo e di spazio che viene fermato, colto in un singolo istante, e che non potrà mai più progredire né avanzare.
La cinematografia è un susseguirsi di immagini, è la concezione dinamica della fotografia, è l'avanzamento di quel segmento temporale nel segmento temporale successivo. Ma è sempre un'immagine rubata e impressa su un materiale fotosensibile.
I temi che gli studenti del Murnau devono svolgere scandiscono anche i tempi del film.
Durante il Tempo un fantasma, un'immagine del passato circoscritta nella propria temporalità e senza possibilità di evoluzione, si manifesta e induce il protagonista a scoprire un oggetto del passato. Ossia abbiamo un segmento temporale cronologicamente circoscritto, che sconfina dal proprio spazio.
Durante la Morte l'oggetto del passato scompare. Quella che avrebbe dovuto essere una fine si trasforma in un nuovo inizio. L'immagine quindi abbandona il proprio profilo statico e diviene dinamica. La fotografia si trasforma in cinematografia.
Durante la Paura il protagonista comincia a muoversi in bilico fra la follia e la convinzione di essere l'unico testimone di una verità sconcertante e raccapricciante. Il risultato è la morte sociale. L'immagine è bidimensionale, ma si incomincia a scorgere tutto il lavoro che si cela dietro di essa. L'immagine perde le caratteristiche della rispondenza al reale. L'immagine si rivela un artificio, il prodotto del connubio fra scienza, tecnica e sensibilità artistica.
Durante il Destino tutti i nodi vengono al pettine e le sorti dei personaggi si compiono. Siamo alla negazione dell'aforisma Homo Faber Fortunae Suae. L'immagine statica acquisisce dinamicità nella ripetizione. Essa tende all'infinito.
Si assiste alla disfatta dei desideri di arrivismo professionale, che sono sconfitti dall'Arte. Ma, questo si sa, l'Arte richiede sempre sacrificio e abnegazione. C'è sempre un tributo da pagare.

"Imago Mortis" è soprattutto un tributo all'Immagine, sia essa fotografica o cinematografica, e a tutto il lavoro e a tutti i sacrifici che risiedono dietro la sua creazione.

La regia di Stefano Bessoni è ottima. Egli alterna riprese panoramiche e inquadrature dal basso verso l'alto, che suggeriscono un senso di claustrofobica incombenza, a lente soggettive, che trascinano lo spettatore all'interno della pellicola.
Alcune volte la macchina da presa si limita a seguire i personaggi, ma nella maggior parte dei casi gioca con i campi lunghi, i campi medi e l'immediato ricorso al dettaglio, regalando così un forte senso di coinvolgimento.
È semplicemente perfetta la sequenza in cui Bruno, mentre sta cercando di fare la sua prima fotografia, si trova di fronte al fantasma. In questa occasione Bessoni ha adottato la tecnica del non mostrare (almeno nell'immediatezza) ciò che il personaggio vede, ma di suggerirlo attraverso le espressioni del suo volto.
È costruita e diretta perfettamente anche la scena l'esecuzione dell'ultima tanatografia.
Nelle sequenze più propriamente orrifiche, Bessoni non indugia mai troppo sul dettaglio anche se certo non mancano occhi strappati, corpi sventrati, agnelli scorticati e chiodi piantati nella carne.

La regia è anche esaltata e maggiormente valorizzata dall'ottima fotografia di Arnaldo Catinari, che regala atmosfere cupe ed inquietanti, giocando moltissimo con le ombre e con le luci in contrasto. Si pensi a tutte le sequenze nei sotterranei o a quelle nell'archivio. Eccellente il gioco di contrasti nella sequenza della caverna e magnifica l'impronta impressionista data al film girato da Gustav Olinski.

"Imago Mortis" è un film di atmosfera che tendenzialmente non spaventa né vuole farlo, ma che sa trasmettere un profondo senso di inquietudine e di angoscia.
Una pellicola stilisticamente validissima che purtroppo, come già accennato, presenta gravi lacune di sceneggiatura che ne abbassano enormemente la forza e l'efficacia.
Ciononostante si tratta di un film d'evasione, che intrattiene e che sa divertire. Forse è inadeguato ad un certo genere di pubblico che nei film dell'orrore cerca esclusivamente dettagli truculenti e salti sulla poltrona di matrice pavloviana, dati dal felice connubio fra musica ad alto volume e regia disonesta. Sicuramente è invece adatto ad un pubblico cinefilo e davvero amante del genere Horror propriamente detto.

"Imago Mortis" è anche e soprattutto un omaggio al cinema in generale e a quello dell'orrore italiano in particolare.
Sperando che questo non resti un episodio isolato e che possa aprire le porte a nuovi autori e a nuove pellicole, se ne caldeggia assolutamente la visione.

"Ho cercato di rappresentare la paura utilizzando gli elementi che avevo a mia disposizione".

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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 26/01/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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