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Freddie (Tom Riley) e Sophie stanno per sposarsi per la seconda volta; Sally (Sally Hawkins) e Wilson stanno combinando un matrimonio di interesse, lei per soldi, lui perché il matrimonio gli garantirebbe il visto per non essere espulso dall'Irlanda.
I due ricevimenti si tengono nello stesso luogo e, tra equivoci e maldestri agenti dell'immigrazione, niente va secondo i piani, ma forse non è un male per nessuno...
Una nota all'adattamento italiano: dopo aver sbagliato il doppiaggio della Hawkins rendendo il personaggio addirittura più insopportabile di quanto non risultasse dalla sceneggiatura, si è deciso di cambiarne il nome da Maura a Sally sfruttando il nome dell'attrice per ovvie ragioni di marketing: il titolo originale, "Happy ever afters", diventa "Indovina chi sposa Sally" (senza punto interrogativo, tanto si capisce dal trailer come finisce; forse è da pronunciare in tono ironico e rassegnato), rimandando per metrica e parole all'archetipo delle commedie romantiche moderne, quell'irraggiungibile "Harry ti presento Sally" che continua a generare cloni deformi come questo, ma anche all'archetipo di quelle classiche, ovvero "Indovina chi viene a cena".
Scomodiamo questi cult perché, leggendo il pressbook prima della visione del film, non c'è una pagina in cui autori e attori non paragonino il film e se stessi a mostri sacri quali "A qualcuno piace caldo", Jack Lemmon, Cary Grant... ecc.
A parte la scarsa modestia, prima di riempirsi la bocca con certi paragoni bisognerebbe farsi un esame di coscienza. Stephen Burke ha scritto una commedia frivola e leggera che spara tutte le proprie cartucce migliori nei primi cinque minuti (su novantasette), in pratica prima ancora che gli sposi entrino in chiesa.
Il montaggio alternato su Freddy e Maura/Sally è divertente ma è rovinato completamente dal trailer, le scene a casa di Freddy sono promettenti e ricordano un po' i preparativi a casa di Hugh Grant in "Quattro matrimoni ed un funerale" (oggi come lo intitolerebbero? "Se mi sposi ti tumulo"?), mentre già le sequenze a casa di Sally convincono meno, con il solito montaggio delle protagoniste allo specchio che si cambiano i vestiti e la solita, insopportabile bambina saputella più saggia della madre.
Il principale problema di "Indovina chi sposa Sally" è la banalità. Esaurita la gag dell'entrata in chiesa, il film finisce in un mare di scenette assolutamente irritanti e scontatissime, condite con una serie di luoghi comuni francamente imbarazzanti: i neri che hanno il ritmo nel sangue, le lesbiche brutte e sguaiate, alle quali tocca anche la peggior battuta del film. Davanti allo Spire di Dublino una di loro esclama: "Non mi piacciono i cosi duri e lunghi"... British humor, dove sei finito?
La sbronza colossale di una delle sorelle di Freddy va e viene a seconda delle esigenze del copione e le sottotrame secondarie non sono sviluppate a dovere ("Ti lascio." "Ti prego, non lasciarmi, non berrò più." "Ok, non ti lascio più").
Peccato perché la famiglia di Freddy aveva del potenziale che evidentemente non viene sfruttato, ma sempre meglio di quello che tocca alla famiglia di Sophie, in cui la madre è la solita nobildonna incartapecorita che sa solo riprendere la figlia ed il padre è un distinto grassone che da un momento all'altro impugna un'accetta per fare una strage (scomodando anche Kubrick).
E' talmente evidente la pochezza di idee che, ad un certo punto, ad uno dei personaggi in stato di ubriachezza (lo stesso, si presume in cui si trovavano gli autori quando hanno inserito la scena) viene fatta capitare quella vecchia barzelletta della suora scambiata per Batman e malmenata, neanche fosse un film dei Vanzina; anche la scena in cui un personaggio suggerisce ad un altro in maniera "creativa" le risposte dietro le spalle dell'interrogatore è cabaret da villaggio vacanze. Il lieto fine forzato per tutti sa di americanata da quattro soldi e neanche convince più di tanto rispetto al resto dell'intreccio: la prevedibile coppia che si forma nasce davvero senza motivo, quasi come necessaria conseguenza dell'incrocio di due matrimoni traballanti sin dall'inizio, ma non come vera scoperta reciproca tra due persone.
Sally Hawkins (vista in "Happy go lucky – La felicità porta fortuna") o si ama o si odia. La sua faccia sghemba non sembra tagliata per il cinema ed il suo eccessivo gesticolare funziona soltanto a tratti. A suo discapito, il personaggio che le tocca, pur essendo la protagonista, è davvero bidimensionale e poco credibile. Le sue battute (ma è un problema che condivide con gli altri personaggi) sono funzione non tanto dell'espressione del personaggio quanto della funzionalità alla scena: l'acidità che mostra nei confronti di Sophie è del tutto immotivata, così come la durezza nei confronti di Wilson ed i successivi cambiamenti di atteggiamento.
Tom Riley, invece, si ispira dichiaratamente a Jack Lemmon nelle movenze e nelle espressioni ed è la nota positiva del film; il suo sfortunatissimo Freddy è il personaggio per cui scatta immediatamente l'empatia.
Non basta, evidentemente, a salvare la baracca: regia convenzionale, colonna sonora anonima, interpretazioni secondarie (da Sophie e Wilson in giù) senza infamie né lodi sono imbarcazioni troppo leggere perché la zavorra di una sceneggiatura imbarazzante non le affondi tutte.
La commedia britannica ha uno stile ed una tradizione che la differenziano nettamente da quella americana. L'ibrido di Stephen Burke non convince mai, non è mai autenticamente né l'una né l'altra cosa.
I tentativi di comicità slapstick sono goffi e non fanno ridere, le situazioni potenzialmente buffe sfociano tutte nell'inverosimile o nel ridicolo involontario, strade che una commedia non dovrebbe prendere mai.
"Tutto è bene ciò che comincia male" è la tagline italiana di questo film. Invertendo gli avverbi, si ottiene un riassunto perfetto di questo dimenticabile pasticcio.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 27/08/2010 14.59.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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