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"We own the night" fa riferimento alla notte reale, a quella nascosta o a quella del male, sia che abbia un'accezione tragica, romantica o prepotente; ma il titolo cita innanzitutto lo slogan della polizia negli anni ottanta: la notte ci appartiene.
Nella New York edonista di fine anni '80, vetrina scintillante e corrotta del decennio reaganiano, la cocaina è ormai divenuta il carburante che ne traina esistenze e passioni. La criminalità, alimentata dalla crescente immigrazione russa, si contende la spartizione della torta, mentre la polizia, superata per numero e ferocia dei suoi uomini, perde in media due agenti al mese e vede progressivamente perdere la propria supremazia sul territorio.
Bobby Grusinsky, validamente interpretato da Joaquin Phoenix, è un opportunista: la discoteca che gestisce a Brighton Beach a Long Island è frequentata da gangster e da trafficanti, ma chiude più di un occhio, conscio che la via per il successo passa per l'accettazione di più compromessi. Nonostante l'apparente amoralità del suo stile di vita è innamorato di Amada, interpretata dalla sensuale Eva Mendes, e vede nel desiderio di gestire un locale a Manhattan il coronamento della sua via sulla strada del successo. Gli fa da contraltare la tradizione familiare, che vede il fratello Joseph ed il padre Burt arruolati anima e corpo nella polizia di New York.
Il genere poliziesco fornisce il punto di partenza per raccontare la storia di un uomo intrappolato dal suo destino, dall'inevitabile, e le complesse emozioni che possono risvegliare l'amore, la perdita ed il tradimento; difatti non si concentra tanto sulla figura di Bobby (Phoenix) nei confronti della mafia ma soprattutto del dovere che ha lui verso la sua famiglia.
L'evolversi tragico della vicenda, con i protagonisti sempre più risucchiati nella spirale della violenza dello scontro, porterà Bobby a vivere il suo conflitto interiore, con il solito manicheismo tanto caro alle pellicole hollywodiane e la conseguente presa di coscienza del protagonista seguita dalla scelta tra lo schierarsi con il bene o il male.
James Gray, regista e sceneggiatore, rimane nei luoghi e nelle situazioni dove ambientò la sua prima pellicola, "Little Odessa" del 1994, che gli valse il Leone d'argento a Venezia nonostante lo scarso successo di pubblico. Gray si muove sul terreno che gli è più congeniale, quello della tragedia epica di dimensione familiare, sullo sfondo di una coralità di situazioni e di personaggi che sanciscono i tempi e gli sviluppi della narrazione. Come infatti afferma lo stesso regista, "L'abilità di un uomo per cambiare il proprio destino è molto più limitata di quello che ci piacerebbe credere, altri fattori quali il fluire della storia, la cultura, la famiglia, i fatti esterni, l'istinto e l'amore giocano un ruolo importante nella vita di una persona, ed è questo quello che volevo esplorare".
A differenza di "Little Odessa", in cui Tim Roth combatteva la sua lotta tra la lealtà nei confronti della famiglia e la sua carriera di sicario a pagamento, ne "I padroni della notte" il regista inserisce l'elemento del corpo di polizia, i cui valori si mescolano con i principi che governano il clan familiare protagonista della vicenda. In principio, nonostante la propensione del regista al genere gangsteristico, era titubante sull'idea di concentrare la propria attenzione sulla polizia. Una foto pubblicata sul New York Times, raffigurante il partecipato funerale di un poliziotto caduto in servizio, con la sua carica emotiva, lo ha spinto a cimentarsi sul genere.
Il film è stato presentato al festival di Cannes ma è passato quasi inosservato; "I padroni della notte" non è una novità nel genere, né possiede una trama originale, ma nonostante l'abbondanza di luoghi comuni e di situazioni già viste, la pellicola funziona. Le sequenze di azione sono immediate ed esplicite, tra tutte la scena dell'inseguimento, dove la visione soggettiva della corsa in auto offerta dal punto di vista di Bobby genera quella sensazione di perdita di controllo che permette di avvicinare lo spettatore all'anima del protagonista.
Il film di Gray pecca però di mancanza di equilibrio nella narrazione: lo svolgimento del film scorre troppo rapidamente, e questo fa sì che manchi una certa intensità nel ritratto iniziale della storia come nei personaggi di contorno; probabilmente indeciso su quale dei due mondi in cui si muove il protagonista - la mafia o la polizia - concentrare la propria attenzione, finisce per dare una lettura troppo superficiale di entrambi, rifugiandosi infine nel dramma personale.
Tale carenza è però limitata dalla bravura di un cast di discreto spessore: Phoenix interpreta al meglio il ruolo del protagonista, così come un ottimo Robert Duvall in quello del padre e carismatico capo della polizia. Bravi Mark Wahlberg ed Eva Mendes, che non è la solita bellona di turno le cui curve cercano di distrarre lo spettatore dalle pecche recitative. L'azione ed i drammi personali dei protagonisti si incrociano bene sia nello spazio temporale che nella forma, anche se forse solo Phoenix riesce a mantenere il livello alto durante tutto il film.
La colonna sonora svolge un ruolo fondamentale, e riesce a fissare non soltanto il periodo ma anche il tono del film; vengono rievocati gli anni '80 grazie alla disco music e a famosi pezzi di David Bowie, Blondie, Tito Puente e The Clash.
"I padroni della notte" è una storia tragica di conflitti familiari, di corruzione e di disincanto. Pur non presentando nessun elemento di novità nella storia del cinema, pesca però tutti gli ingredienti che gli permetteranno di essere la pellicola che finalmente potrà dare a James Gray quel successo di pubblico che insegue ormai da quindici anni: la trama avvincente, con l'epica ed eterna lotta tra il bene ed il male calata nella saga familiare, uniti ad una buona regia, ritmo serrato, personaggi intensi e recitazioni all'altezza, e non ultima una colonna sonora validissima nel sottolineare i tempi della narrazione; elementi questi sapientemente miscelati dal regista senza eccessi di autocompiacimento o facili calcoli per attirare lo spettatore.
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Recensione a cura di Gabriela - aggiornata al 12/03/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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