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Walter Mitty (Ben Stiller) si occupa dell'archivio fotografico di Life Magazine, è segretamente innamorato della sua nuova collega, Cheryl (Kristen Wiig), e ha un problema: sogna ad occhi aperti così intensamente che si disconnette dalla realtà. Non ha mai viaggiato, non ha mai fatto nulla di straordinario, avendo soffocato precocemente i suoi talenti e i suoi progetti per aiutare la famiglia in difficoltà dopo la scomparsa del padre. Le sue fughe dalla realtà sono il rimedio per una vita di rimpianti, ma di fatto sono peggiori del male, perché lo rendono ancora più introverso e difficile. Quando Life Magazine arriva all'ultimo numero cartaceo, il fotografo Sean O'Connell (Sean Penn) invia un telegramma in redazione, con istruzioni precise per la foto di copertina. Incredibilmente, il negativo della foto prescelta è stato rimosso dal rullino inviato a Walter, che per salvare la copertina e il posto di lavoro, decide di rintracciare Sean e, forse, finalmente, aprirsi alla vita...
"I sogni segreti di Walter Mitty" è l'ennesimo, vano, tentativo di Ben Stiller di espiare la famosa scena del gel per capelli in Tutti Pazzi per Mary. Il ruolo che gli ha spalancato le porte di Hollywood e gli ha permesso di realizzare i suoi progetti personali pesa ancora come un macigno, costringendolo a strafare continuamente, da un lato per essere sempre e comunque altrettanto divertente, dall'altro per dimostrare di non essere demente come le sue migliori gag.
Il potere onestamente guadagnato e meritato con una vita dedicata al cinema, come regista, attore e produttore, mostra sempre il suo lato oscuro nei progetti, cui Stiller sembra tenere di più, quelli in cui investe il proprio capitale economico, artistico e umano. Come "Tropic Thunder", "I Sogni Segreti di Walter Mitty" è un incredibile spreco di talenti, mezzi ed effetti speciali per raccontare una storia che aveva bisogno di tutt'altro registro, regista e forse anche attore protagonista. Il delirio di onnipotenza - o almeno la mancanza di un confronto e un controllo - si manifesta in una durata eccessiva, in una fotografia completamente sbagliata (perché sembra tutto uno spot?), una sceneggiatura senza un vero centro e un casting poco equilibrato.
Walter Mitty è il personaggio di una breve storia di James Thurber (1894-1961), importantissimo autore satirico del New Yorker magazine, ma basta leggere poche righe della storia, per capire che del Walter Mitty originale, quello di Stiller ha solo l'abitudine a "incantarsi", perdendosi in fantasie ad occhi aperti che lo disconnettono momentaneamente dalla realtà. La poetica via di fuga dalla grigia realtà del Mitty cartaceo diventa materiale per Stiller, che ha costruito una carriera nel mettere la sua versione dell'uomo comune - quello che non è Derek Zoolander o il villain di Dodgeball - al centro di momenti di grande imbarazzo (a partire proprio da quella famosa scena del gel, per poi arrivare alla serie di Ti Presento i Miei).
L'impressione è che, dell'uomo comune, Stiller conosca troppo poco e si limiti a re immaginarlo continuamente in situazioni frustranti e umilianti, cui prestare la sua gamma di smorfie. Una comicità reattiva, uno slapstick moderno basato sul lato peggiore della natura umana, quello che prova piacere nell'assistere alle disgrazie altrui. Il rimedio di Stiller alla sua visione limitata della mediocrità umana è un'ancor più distorta forma di riscatto che passa attraverso vicende incomprensibili e smisurate (i sogni a occhi aperti di Mitty sono nulla rispetto a quello che gli capita davvero). Solo che non funziona mai davvero, c'è sempre qualcosa che disturba la sospensione dell'incredulità e impedisce l'empatia. Se sia sovraesposizione mediatica, mancanza di misura, convinzione di far ridere sempre e comunque o semplice incapacità di mettersi al servizio della storia, o un po' di tutto questo, qualcun altro, più bravo di chi scrive, saprà dirlo meglio.
Non c'è analisi sociale e non c'è humor, ma la cosa peggiore è che, sintonizzando gli spettatori su questo tipo di comicità, Ben Stiller impedisce al proprio film di avere un respiro più ampio e di raggiungere la sintesi tra dramma e commedia che è propria dei grandissimi. Stiller non è certo Chaplin, ma non è efficace nemmeno come il Fantozzi di Paolo Villaggio, perché non riesce mai a credere veramente nel suo personaggio. In Walter Mitty il germe del riscatto e del talento è evidente sin da subito (perché è quello di Stiller stesso che non si nasconde), è la sorte avversa a giocargli contro, fino al punto in cui scatta la reazione salvifica che porta, tutte in una volta, le rivincite e le ricompense. Non c'è la fantozziana, umana, sofferenza quotidiana che è sia causa che effetto di sporadici momenti di rivalsa. L'uomo comune di Villaggio, dopo aver alzato la testa, è schiacciato ancora più in basso per aver osato sovvertire l'ordine sociale, quello di Stiller arriva sempre a grandi, impensabili cose, senza mai averci davvero emozionato.
La parte centrale del film è quella meno riuscita, perché quando parte la fase "riscatto" di Walter, lo spettatore non è stato ancora agganciato emotivamente, distratto da una gag di troppo, un inutile campo lungo sui paesaggi islandesi o la sorte di Life Magazine (davvero una sottotrama assurdamente ingombrante). Ancor più semplicemente, Stiller non riesce mai a sganciarsi dal registro comico-grottesco, nemmeno quando questo non serve. A questo punto non si può parlare di mancanza di esperienza: è uno stile, una scelta ponderata, che va però in direzione opposta all'obiettivo chiaramente dichiarato.
Si fatica davvero a capire cosa sia "I Sogni Segreti di Walter Mitty". E' un omaggio a Life magazine? Un film che invita ad essere coraggiosi? L'adattamento della storia di Thurber? Un film che racconta la crudeltà del mondo lavorativo americano? Una commedia romantica? Uno showcase di gag di Stiller? E' tutte queste cose, davvero, per brevi momenti, ma nessuna di queste completamente e soprattutto, senza alcuna armonia tra le varie parti. In oltre due ore di film, non si riesce mai a cogliere il senso dell'opera.
La sensazione è che Stiller sia alla ricerca della formula del film perfetto, che racchiuda spettacolo, dramma e comicità, che abbia dentro qualcosa che gli rode - il male di tutti i comici: poter far piangere come far ridere. Per raccontare davvero il senso della vita, bisogna essere un genio e Stiller non lo è, soprattutto se pensa di arrivarci attraverso effetti speciali e riprese aeree. La leggerezza del senso della vita è roba per geni, e non a caso a spiegarcelo ci hanno pensato i Monty Python, che si fa davvero fatica a immaginare divertiti davanti alla gag del gel che non era gel. Ben Stiller deve decidere cosa fare da grande, perchè qualunque cosa sia, sarà meglio di queste trappole in cui si caccia ripetutamente. Ha tutto il talento per riuscirci, inizia forse a mancargli il tempo.
Post Scriptum: la foto di Sean è descritta come "la quintessenza della vita", ma, arrivati alla fine, potrebbe sembrare un'esagerazione. Purtroppo, si perde completamente nella traduzione il doppio significato della parola "Life", intesa come vita ma anche come titolo della rivista. Ne risente, e non di poco, il senso di parte della sceneggiatura.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 18/12/2013 15.54.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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