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Dopo "Lo sceicco bianco" il giovane regista riminese Federico Fellini, avvalendosi del determinante contributo di Ennio Flaiano, autore del soggetto della storia, torna a dirigere un film coprodotto con la Francia.
Il titolo "I vitelloni" si ispira a una definizione gergale ormai desueta, tipica del pescarese e riferita ai giovani sfaccendati soliti bighellonare per le piazze del paese. La disoccupazione causata dalla depressione del dopoguerra aveva espanso il fenomeno tanto da suscitare l'attenzione di Flaiano, da sempre interessato ai fatti del costume nazionale. Fellini sposta l'azione della storia alla sua città natale, Rimini, che, vista seminascosta dalle malinconiche brume invernali, assume un aspetto decisamente crepuscolare.
I protagonisti della vicenda sono, come recita il titolo, dei giovani senza arte né parte che consumano le loro giornate nel nulla, passeggiando o canzonando chi invece ha qualcosa da fare (memorabile il gesto dell'ombrello agli operai di Alberto Sordi).
I cinque personaggi chiave della storia rappresentano cinque diverse tipologie del "maschio" di buona famiglia: l'intellettuale (Leopoldo Trieste, interprete d'elezione insieme a Sordi dei primi film di Fellini), il dongiovanni (Franco Fabrizi, physique du rôle a metà tra il tombeur de femmes e il cialtrone), il precocemente maturo (il giovanissimo Franco Interlenghi in uno dei suoi primi ruoli da "adulto"), l'infantile (un malinconico Alberto Sordi) e il giocatore (Riccardo, fratello del regista). A parte Moraldo (Interlenghi), le altre figure del film sono decisamente negative, incapaci di assumersi responsabilità o doveri. Il dongiovanni, pur costretto al matrimonio riparatore, continua a mantenere la precedente condotta da scioperato, simbolo di una gioventù che ferita dalla guerra non vuole entrare nella vita adulta per paura di ricevere altre cocenti delusioni.
A conclusione della storia, messo davanti a ulteriori prove, Fausto (Fabrizi) sembra deciso ad abbandonare lo stadio dell'adolescenza mentre Moraldo si allontana dalla sua cittadina di provincia in cerca di un futuro migliore.
Nella figura di Moraldo si rivede lo stesso Fellini che ancor giovanissimo lascia coraggiosamente la cittadina natale che lo avrebbe condannato ad un'esistenza vuota per tentare di cambiare vita.
Venato da un'incontenibile malinconia (tristissime le sequenze del Carnevale con la buffa maschera di Sordi travestito) il film presenta uno spaccato dei giovani che supera il limite temporale dell'epoca delle riprese. L'accidiosa esistenza di cui spesso si è preda in giovane età verrà ripresa dieci anni dopo dalla Wertmuller ne "I basilischi", e continuerà a essere oggetto e soggetto d'elezione anche negli anni a venire.
Film corale con nessuno tra i cinque attori che sembra apparentemente prevalere sull'altro (Fausto è il trait-d'union della vicenda, Alberto è il collante, Moraldo la voce critica), "I vitelloni" pur girato in piena epoca neorealista sembra strizzare l'occhio all'esistenzialismo (complice la coproduzione italo-francese?) tuttavia la partenza finale del più giovane sembra aprire uno spiraglio positivo. La provincia italiana appare così negativa ma capace anche di generare buoni semi che però sono destinati a fuggire per dare il meglio di sé.
Riguardando il film con gli occhi dell'epoca si individua una doppia lettura: i giovani rappresentati dalla storia sono gli ex adolescenti della recente guerra, il futuro della nazione che pure rimangono ancora ripiegati su se stessi incapaci di crescere senza né passato né futuro. Al neorealismo della speranza e della ricostruzione (contemporaneo al film è appunto "Due soldi di speranza") si sostituisce un cupo ripensamento generato dalla corrente filosofica che vide nel francese Sartre uno dei maggiori esponenti, sentimento di delusione cocente. I giovani imbelli della provincia italiana sono gli stessi che si trasformeranno negli Young Angry Men di una corrente teatrale britannica e nei "rebels without a cause" della "Gioventù bruciata" d'oltreoceano di Nicholas Ray.
La speranza è rappresentata dalla fuga, così come Moraldo si allontana dalla provincia, migliaia di italiani si spostano soprattutto dal sud in cerca non tanto di una affermazione spirituale o personale ma di una nuova vita.
Fellini, tuttavia, nonostante la vena crepuscolare che lo accompagnerà nella gran parte della sua futura cinematografia, interpreta la fuga non come allontamento forzoso o forzato ma come naturale distacco, passaggio necessario ed inevitabile: così come la placenta si distacca dal neonato, primo doloroso ma fondamentale passo per la nascita, così è necessario che il giovane sia pronto a rompere nuovamente il cordone che lo lega all'infanzia per crescere ed entrare nell'esistenza. "I vitelloni" è generato dalla rielaborazione del distacco, dalla teoria del ripensamento attuata anche in poesia ( un esempio Wordsworth e la sua cosiddetta "recollection") e psicanalisi.
La storia è raccontata in flashback dal protagonista che ormai non vive più in quei luoghi e parla dei passati accadimenti con quel velo melanconico a metà tra il tenero ricordo di una vita che non c'è più e il sollievo di aver superato quella fase dell'esistenza.
Lo spettatore avverte nel corso del film un'opprimente angoscia e accoglie con liberazione la partenza del giovane, volutamente compiuta in solitudine (scomodando la religione si direbbe che è necessario morire per poter rinascere a nuova vita).
A sottolineare il senso di appartenza del regista al momento dell'allontanamento dalla città natale e dalla prima vita Fellini ha voluto doppiare l'interprete Interlenghi nelle scene finali del film, quasi a universalizzare il suo rito di passaggio.
Ad accompagnare il tutto le note malinconiche del maestro Nino Rota.
Film imperdibile per conoscere i primi passi di Fellini.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 02/04/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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