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E' decisamente interessante questo film del 1988 di Denys Arcand, regista canadese premiato con l'Oscar 2004 a Hollywood.
In questo film si racconta del giovane attore Daniel Coulombe ("colomba" di pace, vuole suggerirci il regista?), da poco tornato in Canada, che è regista e attore di una sacra rappresentazione della Passione di Gesù, allestita nel parco di un santuario diretto da padre Leclerc. Gli attori da lui reclutati derivano dalle storie più variegate, se li rapportiamo poi al soggetto religioso che vogliono rappresentare.
Se pur possiamo definire questo film come drammatico, non mancano le pennellate di umorismo, ed è sicuramente memorabile l'ingaggio nella compagnia di Remi Girard (attore caro al regista, che ritroveremo in "Il declino dell'impero Americano", e ne "Le invasioni Brabariche"): egli sta facendo il doppiatore di film pornografici e in piano sequenza la cinepresa lo segue con panoramiche frenetiche da destra a sinistra e viceversa, per un risultato comico della messa in scena.
Arcand ha le qualità di far rilassare a tratti i suoi spettatori, in mezzo a temi poi molto forti.
Il film prosegue: la prima di questa singolare rappresentazione della Passione di Cristo, sicuramente originale e affrontata da un punto di vista laico ma molto rispettoso della cristianità (ma non delle istituzioni che l'amministrano), è un successo. Progressivamente tutti ne parlano a Montreal. Ma cominceranno anche i primi scricchioli di ideali, di interessi veramente terreni da parte delle istituzioni religiose, di critiche per una rilettura estremamente razionale e storica, ma forse anche più positiva e piena di energia, che la compagnia di attori, capeggiati da Daniel Coulombe, mette in scena.
In essa viene ben inserito anche un monologo di Amleto sulla tema della morte, recitato tutto in piano sequenza, senza cioè (per chi non è esperto di termini cinematografici) stacchi di macchina da presa con il montaggio, per un effetto sicuramente più teatrale.
Gli elementi che contraddistinguono i film del regista Denys Arcand ci sono tutti: la critica alla sanità pubblica, a una Montreal (o una società) con ritmi sostenuti e superficiali dalla quale ci si può salvare magari isolandosi nella natura (in questo film su un monte), la ricchezza di dialoghi (non però incentrandoci tutto come nel "Declino dell'Impero Americano"), movimenti di camera non "spettacolari" ma essenziali, in quanto il regista ama molto improvvisare sul set, quindi dolly o bracci meccanici, che si presume siano pianificati prima con una sceneggiatura tecnica e lo storyboard (il regista non lo usa), si contano con il contagocce in Jesus of Montreal, come ha raccontato Arcand in un recente seminario a Bologna.
Diversi i piani sequenza che seguono gli attori nei dialoghi, tutti con la camera ad altezza uomo, azzardo di dire con la camera tenuta dall'operatore, ma certo non con tecniche tremolanti stile Dogma del cinema di Vor Trier ("Dogville" come esempio famoso).
Molti i segni che il regista "sparge" qua e là: espliciti i "miracoli" finali fatti per merito di Daniel; la sua posizione da sdraiato nel finale; la violenta distruzione, questa volta non delle bancarelle del tempio, ma del mondo deviato di fare cultura con le immagini, della pubblicità; gli amici attori con l'intenzione di fondare un teatro-"chiesa".
Il finale del film è a sorpresa e ricco ancora di significati. Sicuramente non banale. Per questo un film da consigliare.
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Recensione a cura di fromlucca - aggiornata al 25/05/2004
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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