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"L'essenziale è invisibile agli occhi"
Antoine de Saint-Exupéry
Francia, XVIII secolo. Un giovane principe viziato ed egoista viene punito e tramutato in bestia per mano di una fata. Il destino vuole che la sua vita si incroci con quella di Belle, una giovane ragazza desiderosa di fuggire da una vita provinciale tediosa, priva di prospettive e per nulla appagante. Apparentemente così diversi, scopriranno entrambi di avere in comune molto più di quanto non avessero mai creduto.
Come spesso accaduto nella sua storia, la Disney attinse da un canovaccio già esistente, rivisitandolo a suo piacimento in modo da renderlo conforme al suo stile e fruibile al suo pubblico. Era il 1991 e ancora non si era spento l'eco degli entusiasmi per il successo di critica e pubblico ritrovato con "La sirenetta". La scelta cadde su di un racconto del 1756 della francese Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, che a sua volta altro non era se non la versione sintetizzata della favola raccontata da tale Madame Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, spogliata della sua dimensione tragica e oscura.
In realtà le origini di una simile storia si potrebbero far coincidere addirittura con il racconto di "Amore e Psiche" contenuto ne "Le metamorfosi" di Apuleio, ma non vi è dubbio alcuno che i vari adattamenti realizzati, compreso quello disneyano, abbiano come principale fonte di ispirazione proprio l'opera della de Beaumont. A riadattare la storia venne chiamata Linda Woolverton, nota anche per aver curato le sceneggiature di altri classici quali "Il re leone" e "Mulan", nonché il recentissimo (con risultati artistici opinabili) "Alice in Wonderland".
Ecco dunque arrivare una storia incentrata sulle vicende di una giovane ragazza, Belle, costretta prigioniera nel castello di una bestia dal passato misterioso. Questo classico numero 30 per la Disney segnò un passo decisamente importante; "La sirenetta" ne aveva infatti risollevato le sorti dopo anni vissuti lontano dai fasti dello zio Walt, ai margini dell'industria cinematografica, e il successo inaspettato della pellicola ispirata alla fiaba di Andersen ne rivitalizzò le casse, consentendogli di tornare a far sentire la propria voce nel mercato dell'animazione e non solo.
Per parlare di rinascita vera e propria serviva però un'idea all'altezza dell'exploit raggiunto con la pellicola diretta da Ron Clements e John Musker, qualcosa capace di reggerne il confronto sia a livello di critica che di gradimento del pubblico. "La bella e la bestia" mise d'accordo entrambi. Presentato al pubblico del New York Film Festival completo solo per tre quarti (quindi nella sua versione sperimentale), la pellicola si rivelò un successo inimmaginabile, forse ancor più inaspettato di quello ottenuto con "La sirenetta". Immediatamente piovvero riconoscimenti di ogni genere tra cui tre Golden Globes e ben sei nominations agli Oscar (di cui due vinti), tra le quali quella a miglior film, onore mai ricevuto prima da un film d'animazione e per questo motivo storico.
Di per sé la sola candidatura a miglior film dell'anno la dice lunga sull'impatto che la pellicola di Gary Trousdale e Kirk Wise ebbe sul pubblico all'epoca, ma al tempo stesso sarebbe riduttivo limitarsi solo a questo. La realtà va ben oltre, perché "La bella e la bestia" è un film davvero rivoluzionario sotto molti punti di vista. Stiamo parlando infatti di un'opera capace di proporsi come primo vero esempio di un certo livello di commistione tra disegno tradizionale e tecniche digitali. Ovviamente il riferimento è alla celebre scena ambientata nella sala da ballo, in cui i protagonisti vengono inseriti in uno scenario realizzato abilmente con tecniche digitali, fondendosi con esso piacevolmente, grazie ad un uso delicato e funzionale e non meramente esibizionistico.
Trattandosi di un classico Disney, buona parte del suo potenziale va individuato nella colonna sonora, vero e proprio punto di forza della casa di Topolino. Quella de "La bella e la bestia" è un gioiello partorito da un'istituzione in materia, quell'Alan Menken che, proprio grazie alle sue numerose collaborazioni con la Disney, vanta il primato di maggior detentore di statuette vivente con le sue otto vittorie. Con uno stile narrativo ispirato ai musical di Broadway e quindi con numerosi momenti canori e grandi coreografie, il lavoro svolto sulla colonna sonora si rivela ancora più importante e fondamentale. Il risultato della collaborazione tra il già citato Menken e il compianto Howard Ashman (autore dei testi delle canzoni) è assolutamente impeccabile, in quanto capace di trasmettere quella giusta dose di senso classico, di magico e di misterioso che permette alla pellicola di ergersi al rango di "capolavoro". Particolarmente curata anche la caratterizzazione di ogni singolo personaggio, dai due protagonisti principali, agli oggetti animati del castello, fino agli abitanti del villaggio; niente viene tralasciato e questo favorisce un'empatia tra gli stessi ed il pubblico.
Il messaggio di fondo è chiaro e palese, con la sognatrice Belle (incarnazione della purezza e simbolo di generosità) capace di andare oltre i pregiudizi e di vedere con gli occhi del cuore la vera natura della bestia, andando al di là del suo aspetto esteriore. Nonostante ciò, paradossalmente, la stessa Belle è una disadattata. Considerata "diversa" dagli abitanti del suo villaggio, viene per questo motivo fatta oggetto di sospetti e malelingue per via di un atteggiamento considerato "non convenzionale". I due protagonisti vivono quindi lo stesso disagio, sebbene questo sia scatenato da circostanze differenti: Belle è vittima di pregiudizi che riguardano un modo di essere che si discosta da quello degli altri, mentre la bestia vede la fonte del suo dolore nell'aspetto fisico. Nonostante risultino essere apparentemente differenti, sono in realtà più simili di quanto non pensino. È il loro stato d'animo che li accomuna, il loro disagio che fa di loro degli incompresi.
È l'accettazione del diverso la vera chiave di lettura della fiaba. Non si tratta però solo di essere accettati, ma anche e soprattutto di accettare se stessi per ciò che si è e non per come vorrebbero gli altri con le loro convenzioni. La bestia accetta se stesso, liberandosi dal tormento del proprio aspetto esteriore che lo divorava e lo rendeva irrequieto, trovando quella pace interiore che gli permette di farsi amare da Belle. Per la prima volta nella sua vita vede il mondo in una maniera mai sperimentata; sono gli occhi dell'anima che lo trasformano, ma non esteriormente bensì interiormente. È infatti solo sviluppando una visione più matura di se stessi che si arriva a percepire e apprezzare gli altri diversamente.
Menzione speciale per la traccia "Beauty and the Beast" (vincitrice di un Oscar) che nella versione originale vanta le splendide voci del duo Celine Dion-Peabo Bryson, mentre in quella italiana ha nell'inedita coppia Gino Paoli-Amanda Sandrelli un degno quanto sorprendente adattamento, a coronamento di quello che a distanza di anni rimane un capolavoro dell'animazione e non solo.
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Recensione a cura di Luke07 - aggiornata al 21/04/2011 14.47.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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