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Il protagonista de "La camera verde", Julien Davenne, è un uomo che ha vissuto molti eventi luttuosi: ha combattuto nella prima guerra mondiale ed ha perso la giovane moglie pochi mesi dopo il matrimonio. Vive con un'anziana governante ed il figlio adottivo sordomuto. Lavora nella redazione di un giornale, il Globe, dove viene definito dai colleghi 'un virtuoso del necrologio'. Questa è solo la sua vita di superficie: l'uomo ha, infatti, una vita segreta e la trascorre nel ricordo della defunta moglie.
Questa esistenza, nascosta agli occhi del mondo, si svolge all'interno della camera verde, una stanza sempre chiusa a chiave, che si trova nella casa dove vive. Qui egli ha raccolto fotografie e oggetti appartenuti a Giulia, la moglie. In questo spazio egli vive molta parte del suo tempo, a volte vi trascorre l'intera notte, vegliando. La fascinazione per questo universo delle memorie pone il protagonista in una solitudine che ha corroso e assottigliato i suoi rapporti umani. Davenne prova empatia per qualcuno solo nelle situazioni di lutto, ma è incapace di condividere gioie o sorrisi.
Le riprese esterne sono pochissime - e buona parte di queste si svolgono in un cimitero - gli interni sono quasi sempre in penombra e la luce del giorno è filtrata da vetri colorati che conferiscono all'ambiente un'atmosfera intima, religiosa. All'interno di questo scenario si muove il protagonista, a volte ripreso come una silhouette nera in controluce su una finestra dalla tenda bianca (splendida citazione da Hitchcock, il regista più amato da Truffaut) a volte con il volto illuminato da una luce caravaggesca su uno sfondo scuro.
Egli vive il proprio lutto in modo sommesso, si è esiliato dalla vita, senza provarne nostalgia. L'amore del protagonista per i morti è come un furore, una sorta di fanatismo religioso che non ammette alternative, per questo ha deciso di intraprendere una sua battaglia personale contro l'oblio: "Sono scandalizzato dalla facilità con cui si dimenticano i morti". Davenne è un uomo intransigente, non riesce ad accettare la vita per come è, i morti nella loro immobilità si prestano a quella idealizzazione di cui egli ha bisogno per vivere: la moglie rimarrà "eternamente giovane, leale, coraggiosa".
La vita è imperfetta, come il figlio adottivo che si esprime attraverso suoni sgradevoli o l'ex amico Massigny che lo ha tradito. La morte trasfigura e cristallizza, paradossalmente è la vita che decompone, perché gli uomini sono corrotti. Quando muore Massigny, un uomo politico suo concittadino, Davenne ne redige il necrologio, ma a questo punto si rivela un aspetto di forte passionalità in quest'uomo così apparentemente esangue: egli patisce le offese, non le dimentica.
In un serrato confronto con il direttore del Globe - il quale lo accusa di aver scritto un necrologio che infierisce senza pietà, uccidendo per la seconda volta il defunto - il protagonista racconta che Massigny era un suo amico, ma poi questi lo aveva tradito, favorendo la sua disillusione e il ritiro dai rapporti sociali.
La separazione dal mondo viene narrata dal regista attraverso una poetica dei vetri: il protagonista spesso è ripreso attraverso il parabrezza della macchina, sullo sfondo di finestre colorate che non lasciano intravedere il mondo esterno o ancora, in un gioco di rimandi tra specchio e finestra, nell'unico momento ludico tra padre e figlio adottivo.
Dalla finestra di una stanza la governante e il bambino osservano il ritorno a casa di Davenne, attraverso una finestra si vede l'arrivo della lettera che permetterà al protagonista di restaurare una cappella da dedicare al culto dei suoi morti. Infine, da una finestra il giovane sordomuto osserverà il padre adottivo che esce di casa per andare a morire nella cappella.
Di tutta questa serie di vetri che delimitano l'orizzonte della storia uno ha un ruolo centrale e possiede come un cuore rivelatore che sintetizza l'essenza del protagonista.
Gérard, il vedovo inconsolabile a cui, all'inizio del film, il protagonista aveva esposto il suo sentire nei confronti della morte, va a cercare l'amico nella redazione del Globe per renderlo partecipe della sua gioia: si è innamorato e si è nuovamente sposato. Davenne ascolta non visto il racconto di questo evento e, per evitare l'incontro, si nasconde.
L'obiettivo inquadra una porta a vetri davanti alla quale passa la giovane coppia, felice. Il vetro lascia trasparire un fondo scuro dal quale emerge pian piano un volto le cui linee sono frammentate dalla smerigliatura dei vetri: sembra un quadro impressionista dipinto da grandi pennellate che scompongono forme e colori.
Solo in un secondo momento lo spettatore comprende che questa figura è Davenne, nascosto dietro la porta per non incontrare i due. Si tratta di un'immagine straordinaria, una delle più belle ed intense di tutta la filmografia di Truffaut.
Ancora una volta Davenne è visto attraverso un vetro, ma questa volta è un vetro che nasconde e deforma. È un'immagine che nella sua essenzialità non ha più nulla di umano, dietro quel vetro non c'è più un uomo, ma un'immagine che lo evoca, una figura inanimata che allude ad un simulacro di vita.
L'immobilità dell'immagine dietro la porta a vetri anticipa la morte che giungerà alla fine della storia. Ma questa sequenza rivela ancora qualcosa: nella sua lotta intransigente contro l'oblio Davenne vede la realtà nello stesso modo in cui lo spettatore vede lui: attraverso un vetro deformante.
Nella scena successiva diviene evidente la qualità di questa sua visione distorta: nel colloquio con Cecilia, una giovane donna che ha conosciuto ad un'asta, egli esprime tutta la sua disapprovazione per il vedovo, rivelando una cecità emotiva, una totale incapacità di comprendere empaticamente i sentimenti altrui.
In questo dialogo si contrappongono due diverse visioni della vita e della morte: "In questo mondo crudele e senza pietà voglio almeno il diritto di ricordare, anche se dovessi essere il solo a ricordare", sostiene Davenne e la donna replica: "lo non so trovare le parole, ma sono convinta che bisogna dimenticare. Lei ama i morti contro i vivi".
L'incontro con la giovane Cecilia segna un momento importante nella vita del protagonista, vissuto però in una dimensione di penombra, di inconscietà. L'attrazione che, nonostante le resistenze, egli prova per la donna si rivela in modo indiretto, attraverso innumerevoli colloqui sui morti e sulla dialettica memoria-oblio. Il rapporto diviene amore, ma questo sentimento rimane nascosto in un cono d'ombra, nessuno dei due ne prende coscienza.
La realizzazione del progetto di dedicare una vecchia cappella al culto dei suoi morti permette all'uomo di entrare in un rapporto di sentimento con la giovane Cecilia.
Il progetto permette a Davenne di essere a contatto con l'oggetto amato e di coinvolgerlo senza parlare mai d'amore. Quando conduce Cecilia in questo luogo le fa una paradossale domanda di matrimonio: "Cecilia accetta di diventare insieme a me la guardiana di questo luogo, di dividerne diritti e doveri? Desidero che i miei morti divengano i suoi e che i suoi divengano i miei".
Cecilia accetta di entrare nella lucida follia di Davenne perché sente che l'unico modo per entrare in contatto con lui è quello di condividere il rituale della memoria.
Ogni passo di questa relazione è però scandito dal riferimento alla morte: prima di partire per un giro di conferenze in Scandinavia il protagonista chiede a Cecilia di completare l'opus della cappella accendendo un cero quando sarà lui a morire.
L'eros che si era appena affacciato e aveva dilatato gli orizzonti tende a deformarsi: anche la gelosia, che ad un certo punto sopravviene, riguarda un morto. Egli scopre che la giovane ha avuto una relazione segreta con Massigny, l'uomo da lui tanto odiato; ciò acutizza il suo odio e causa una rottura con Cecilia.
Davenne si chiude in casa, lasciandosi andare alla morte. La donna, che ha preso coscienza del suo sentimento, gli scrive rivelandogli il suo amore, ma aggiunge: "per poter essere amata da lei dovrei essere morta".
Dopo aver letto la lettera l'uomo esce di casa e si reca nella cappella dove incontra la ragazza. Lei rinuncia al suo amore, lui rinuncia al suo odio per Massigny.
Cecilia rinuncia perché comprende che per l'uomo accettare quel sentimento sarebbe mortale, ma ormai è troppo tardi. L'amore ha catturato Davenne: egli muore di fronte alla fotografia della moglie e tra le braccia di Cecilia. Muore perché non può rinunciare alle sue scelte, perché per lui amare significa dimenticare il passato.
Muore perché così Cecilia lo potrà amare nel ricordo. Quando il film uscì un critico di Le Nouvel Observateur scrisse che l'opera sembrava un testamento cinematografico.
Truffaut aveva deciso di essere oggetto e soggetto di questa indagine sulla memoria e scelse di interpretare lui stesso il ruolo del protagonista: "Mi è sembrato che recitando io stesso nella parte di Julien Davenne, avrei ottenuto lo stesso effetto di quando, nello sbrigare la corrispondenza in ufficio, decido di scrivere certe lettere a mano [...] se scrivete a mano, la lettera non sarà perfetta, la scrittura risulterà un po' tremolante, ma sarete voi, sarà la vostra scrittura. La camera verde è una lettera scritta a mano".
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Recensione a cura di maremare - aggiornata al 30/01/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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