Recensione la casa del diavolo regia di Rob Zombie USA, Germania 2005
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Recensione la casa del diavolo (2005)

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locandina del film LA CASA DEL DIAVOLO

Immagine tratta dal film LA CASA DEL DIAVOLO

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Immagine tratta dal film LA CASA DEL DIAVOLO
 

Nell'estate del 2005, un piccolo film horror apparentemente modesto e privo di grandi pretese portò una notevole scossa tra il pubblico e la critica internazionale che, salvo pochissime ed irrilevanti eccezioni (tra cui il sottoscritto), non esitarono minimamente a considerarlo un'autentica e piacevolissima sorpresa in grado di rivoluzionare una volta per tutte la storia del cinema horror.
Quel piccolo film era "La casa dei 1000 corpi" e il suo creatore un noto rocker di nome Rob Zombie, un tempo leader della celebre band alternative metal White Zombie.

Incoraggiato dal successo ottenuto con la sua opera prima dietro la macchina da presa, Zombie - il cui vero nome, per la cronaca, è Robert Cummings - diede vita all'atteso sequel dal titolo "The Devil's Rejects", storpiato nell'edizione italiana con il banale "La casa del diavolo", traduzione che poco c'azzecca con gli effettivi intenti che si pone la pellicola sin dal movimentato incipit.
Il plot mette nuovamente al centro le vicende della macabra e sanguinaria famiglia Firefly, composta da Capitan Spaulding, Otis, Baby, Tiny e Mother Firefly che, dopo le truculente efferatezze compiute nel primo film, sono costretti in questa occasione a fuggire dalla pressante morsa della polizia capitanata dallo sceriffo John Quincy Wydell, assetato di vendetta nei loro confronti dopo che questi hanno ucciso suo fratello George.
Mother Firefly viene immediatamente catturata, ma Otis e Baby riescono a fuggire rifugiandosi in un motel dove prenderanno in ostaggio una famiglia in attesa dell'arrivo di Capitan Spaulding.

E' bene dire subito che, coloro i quali sono rimasti delusi o quantomeno perplessi di fronte all'entusiasmo collettivo provocato da "La casa dei 1000 corpi", quasi sicuramente cambieranno idea ammirando questo gioiellino, che etichettare come semplice sequel sarebbe sbagliato e piuttosto inappropriato.
I meccanismi produttivi di cui è vittima la maggior parte dei registi di genere emersi negli ultimi anni pare non accomuni il buon Rob Zombie e altri suoi colleghi quali Eli Roth e Alexandre Aja che, grazie alle tematiche magari non completamente rivoluzionarie ma comunque trattate in modo assolutamente originale ed inedito delle loro pellicole, si sono guadagnati, nel corso della propria carriera (ovviamente ancora in fase embrionale) un posto tra le più rappresentative figure della new wave del cinema horror.
Non è difficile scorgere anche (e soprattutto) in "The Devil's Rejects", esattamente come nei film dei due registi sopraccitati, un'evidente impronta personale da parte di Rob Zombie che, complice la sua lunga esperienza dapprima come cantante e musicista rock e in seguito come regista di videoclip, dona alla pellicola un'atmosfera torbida e satura che si adatta perfettamente allo spazio temporale in cui è collocata, ovvero i favolosi anni '70, che hanno rappresentato per l'America un periodo in parte glorioso, con la cessazione della guerra del Vietnam, e in parte, probabilmente in gran parte, estremamente difficile, che ha assistito alle sanguinarie gesta di alcuni tra i serial killer più celebri della storia come Charles Manson, Ted Bundy e David Berkovitz.
Tutto ciò si avverte dallo stile frenetico, elettrizzato, quasi drogato con cui Zombie muove la macchina da presa e tratteggia la psicologia dei personaggi, creando in primo luogo una consueta scissione tra giustizia (rappresentata dallo sceriffo Wydell) e male (incarnato dalla famiglia Firefly) che si fonde nel corso del film dando vita ad una vera e propria osmosi e invertendo completamente i ruoli, con lo sceriffo che diventa il 'lupo cattivo' e la famiglia Firefly che si trasforma in preda.

Arricchito da un colto repertorio musicale che annovera diversi e significativi pezzi dell'epoca d'oro della musica rock, tra cui "Fooled Around end Fell in Love" di Elvin Bishop e la splendida "Free Bird" dei Lynyrd Skynyrd, che accompagna la pirotecnica sequenza finale della sparatoria, la pellicola è inoltre sostenuta da una schiera di formidabili attori della vecchia guardia quali Sid Haig, interprete del mitico "Foxy Brown" e dei tarantiniani "Jackie Brown" e "Kill Bill Vol. 2", e Ken Foree, indimenticabile protagonista del Cult Romeriano "Dawn of the Dead".
Numerosi i riferimenti ai grandi maestri del genere e alle opere da loro realizzate, tra cui si può certamente annoverare "L'ultima casa a sinistra" di Wes Craven e "Non aprite quella porta" di Tobe Hooper, delle quali il film riprende l'ambientazione selvaggia e la struttura narrativa in alcuni tratti molto simile.

Ma così come è sbagliato definirlo un semplice sequel, lo è anche considerarlo un semplice horror perché, oltre a questo, la pellicola conserva all'interno di essa omaggi e richiami ad un'infinita quantità di generi e sottogeneri, come il western, l'exploitation, lo splatter e via discorrendo. Si potrebbe quasi definire un "Easy Rider" in versione "Grindhouse" con l'aggiunta di sesso e sangue, perché la droga e il rock 'n roll erano già presenti nel film del '69.

Guardando "The Devil's Rejects", si evince che Rob Zombie è uno dei pochi registi a Hollywood che ha le possibilità e le qualità per realizzare i film che vuole, ed esattamente come Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, a farlo ci si diverte un mondo.
Uno spettacolo divertente e divertito, appassionato e appassionante, un film d'altri tempi, al limite del nostalgico, di quelli che se ne vedono una volta ogni dieci anni e che, probabilmente, oggi non si riesce neanche più a fare.

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Recensione a cura di FrancescoManca - aggiornata al 12/08/2010 10.56.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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