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M. Night Shyamalan (Manoj Nelliyattu Shyamalan) questa volta ha voluto raccontarci una favola della buonanotte. Egli ha infatti dichiarato che il soggetto di "Lady in the Water" nasce da una storia che narrava alle proprie figlie prima di dormire.
E' doveroso premettere che, come sempre accade nella campagna promozionale italiana di una nuova pellicola diretta da Shyamalan, i trailer sono fuorvianti e presentano ogni nuovo lavoro di questo regista come il film più terrificante del millennio. Questa discutibile e mendace scelta pubblicitaria spesso trae in inganno il pubblico che, non trovandosi poi ad assistere effettivamente ad un film horror né a un thriller, resta inevitabilmente deluso. E ciò arreca danno al film, pregiudicandone le sorti, e dimostra una totale mancanza di rispetto nei confronti dello spettatore.
Ciò detto, si deve aggiungere che ogni prodotto dovrebbe essere giudicato in base a quello che promette di essere. Si potrebbe dire, dunque, che se lo scopo di Shyamalan era quello di conciliare il sonno, allora l'obiettivo è stato perfettamente raggiunto.
La trama di "Lady in the Water" è di una semplicità elementare e il ritmo della narrazione non è affatto brillante. Una prima grave mancanza consiste nell'assenza quasi totale di colpi di scena.
La storia ci viene raccontata con distacco formale, nonostante il regista ricorra ad una serie di espedienti, alcuni brillanti, altri un poco esausti, volti ad accattivarsi il consenso del pubblico. Un secondo punto debole sono i dialoghi, che in varie occasioni risultano forzati e vuoti. Ad influire negativamente interviene poi un'altra mancanza: l'assenza di un contenuto più puramente poetico e meno retorico, che avrebbe potuto ben sposarsi con questo genere di storia.
La regia è eccessivamente manieristica, formale e poco appassionante. Laddove il film inneggia alla riscoperta della fantasia, quasi come un atto di fede, è proprio la fantasia che fa difetto a Shyamalan, che tuttavia dimostra di conoscere il mestiere e offre alcune sequenze ineccepibili e varie immagini dal buon impatto visivo.
Questi difetti macroscopici rovinano inesorabilmente una pellicola, che tuttavia presenta anche vari pregi.
Fra tutti primeggia l'interpretazione di Paul Giamatti. Egli è Cleveland Heep, il custode factotum del condominio The Cove, teatro di tutta l'azione di "Lady in the Water". La sua recitazione è accattivante e convincente, sempre brillante e capace di catturare il pubblico e trascinarlo con sé. La sequenza iniziale che lo vede impegnato nell'uccisione di un non meglio identificato parassita - così grosso e peloso da terrorizzare le donne che abitano quell'appartamento - regala allo spettatore una gradevole ilarità. Altra sequenza delicata e piacevole è quella in cui Cleveland, per farsi raccontare la favola delle Narf dall'anziana donna orientale, deve atteggiarsi a bambino.
Peccato che molte delle battute, che egli dovrà pronunciare, e alcune delle situazioni in cui si dovrà giostrare siano ripetitive, a volte noiose, e scritte in maniera poco efficace.
Discreta anche la prova di Bryce Dallas Howard, che interpreta Story, la ninfa acquatica che ha raggiunto il mondo degli umani per espletare la propria missione, consistente nel risvegliare la vena creativa di uno scrittore (M. N. Shyamalan), la cui opera garantirà la salvezza del futuro dell'umanità.
La Howard pronunzia poche battute e la sua recitazione è caratterizzata da una gestualità elegante e da lievi mutamenti d'espressione, che alterano quella sua impassibilità, propria di una creatura ultraterrena. Diafana e vagamente efebica è perfetta nel ruolo della ninfa.
Questa volta Shyamalan, che ha sempre voluto comparire nei propri film, si è ritagliato un ruolo rilevante e un po' presuntuoso: quello, appunto, dello scrittore Vick Ran, l'obiettivo del viaggio di Story. La sua interpretazione è tutt'altro che esaltantee a tratti è quasi disturbante.
Il messaggio, che "Lady in the Water" vuole trasmettere, è semplice ed elementare proprio come la storia che narra. Ci troviamo all'interno di un condominio multietnico, evidente metafora del mondo stesso. Gli inquilini sono caratterizzati in maniera grottesca, e ciascuno di loro sembra essere più o meno in cerca del proprio ruolo nella vita e, quindi, in senso lato della propria storia. Ed è così che arriva la ninfa, che si chiama Story. Ella compie la sua missione in un battibaleno, restituendo allo scrittore la capacità di narrare.
Ciò fatto, il suo scopo è fare ritorno al proprio mondo, ma qui entra in scena lo Scrunt, una bestia feroce e malvagia che infrangerà ogni regola stabilita pur di uccidere la ninfa. Per difendersi dalla bestia che la terrorizza, Story avrà bisogno dell'aiuto dei condomini.
Simbolo dell'umanità, che si unisce per difendere la propria storia e quindi il proprio futuro. Per far questo, la ninfa, col provvidenziale aiuto di Cleveland, permetterà ad ogni personaggio di scoprire il proprio ruolo all'interno di quella storia, svelandone quindi anche tutti i meccanismi narrativi. La storia stessa e il narrare in generale diventano i veri protagonisti del film. I personaggi si trasformano in frammenti narrativi, inutili se non sono uniti.
Shyamalan ha ripreso le tematiche del suo film precedente, "The Village", invertendole. In quella pellicola si assisteva ad un microcosmo omogeneo, tanto socialmente quanto culturalmente, che aveva inventato un mostro esterno per separarsi e per difendersi dal resto dell'umanità. In "Lady in the Water" invece troviamo l'umanità (nella sua concezione più eterogenea) separata nelle singole unità condominiali, ma chiamata ad unirsi per proteggere la propria storia da un nemico comune, reale, pericoloso e malvagio, che proviene da un mondo esterno.
Lo Scrunt, inoltre, è capace di mimetizzarsi con l'erba e i suoi occhi demoniaci possono essere visti soltanto dandogli le spalle e guardandoli riflessi in uno specchio. Esso è l'incarnazione del Male che striscia invisibile all'interno della società. Laddove Story è la proiezione della spiritualità di una collettività, lo Scrunt è la terribile raffigurazione di tutte le sue paure. Si tratta di un inconscio collettivo diviso nelle due categorie assiologiche del Bene e del Male.
Per uscire dal proprio smarrimento e per arrivare a conoscere se stessi e il proprio ruolo nella vita, ciascuno è quindi chiamato ad affrontare la propria paura. Solo così il Male potrà essere sconfitto.
Rispetto alle sue opere precedenti, Shyamalan qui si prende meno sul serio, ricorrendo frequentemente all'ironia e al gusto del grottesco. Il tentativo è apprezzabile, ma deludente. Può far sorridere il monologo del critico cinematografico di fronte alla minacciosa presenza dello Scrunt, tuttavia è un messaggio troppo evidente di rivalsa del regista nei confronti di tutta quella critica che ultimamente gli è andata contro. Potrebbe dirsi che, proprio nel tentativo di non prendersi troppo sul serio, Shyamalan si prende troppo sul serio.
"Sono un grande narratore", ha dichiarato in un'intervista. E infatti si è presuntuosamente ritagliato il ruolo dello scrittore-tramite di salvezza.
Se si considera poi che quasi l'intero secondo tempo del film si svolge sulla falsa riga di alcune parole pronunciate con una sicumera enfatizzata dal critico cinematografico Harry Faber, ben interpretato da Bob Balaban, si ha la sensazione che il regista abbia dedicato davvero troppo tempo, sottraendolo allo spettatore, alla sua personale crociata contro la critica.
"Lady in the Water", sintetizza anche un contenuto ricorrente in tutta la produzione di Shyamalan: l'acqua. La troviamo per la prima volta in "Unbreakable", dove essa costituisce il punto debole di un indistruttibile Bruce Willis. Ritorna subito dopo in "Signs", dove si rivela una delle armi più efficaci contro gli alieni e da essi la più temuta. In "The Villane" la pioggia spaventa a morte Noah Percy (Adrien Brody), il personaggio che arriverà ad incarnare letteralmente i malvagi mostri della foresta.
In "Lady in the Water", l'acqua acquista molteplici significati. Essa è metafora di morte nella sequenza, a tratti superflua e poco convincente, in cui Cleveland si tuffa in piscina e resta intrappolato nella stanza segreta di Story. Simboleggia poi la paura e la debolezza. In essa infatti Story si deve rifugiare. Rappresenta anche quello smarrimento e quella confusione che permettono al male di agire. Lo Scrunt infatti si mimetizza meglio sia sotto la pioggia, sia sotto l'acqua degli irrigatori da giardino. E tanto la pioggia, in modo particolare quando cola sugli occhiali di Cleveland, quanto la superficie liquida della piscina, distorcono le immagini e deformano la realtà.
In una storia così elementare il ricorso a tutta questa simbologia non è di particolare utilità e spesso risulta un po' ridondante. Sembra anche eccessivo, per una pellicola del genere, un budget di settantacinque milioni di dollari.
Vi sono inoltre degli errori tecnici come il microfono, che si lascia scorgere in un paio d'occasioni, e gli occhiali di Cleveland, che compaiono e scompaiono dal suo naso. Si fa anche confusione con i numeri dell'interno in cui vivono alcuni personaggi.
"Lady in the Water" è un film riuscito a metà. Aveva dei buoni presupposti e tutti i mezzi necessari per essere un'opera più che discreta, ma il suo unico vero punto di forza sono le buone interpretazioni di Giamatti e della Howard. Tutto il resto avrebbe potuto essere sviluppato e curato in maniera migliore e meno noiosa. Tuttavia non se ne sconsiglia completamente la visione. Anzi la si caldeggia particolarmente a un pubblico giovanile, che magari, intorpidito dalla televisione di oggi, abbia poca dimestichezza col mondo delle favole. Si ha comunque la consapevolezza che non si arriverà mai a concretizzare l'auspicio dichiarato da Shyamalan in un'intervista: "Vorrei che questa mia favola, ispirata al valore della pace, diventasse per i ragazzi di oggi una sorta di nuovo Mago di Oz".
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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 19/10/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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