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Il rito di purificazione già appare nei titoli di testa di questa visionaria trilogia sulla vendetta made in Korea. Il terzo del film di Park Chan-Wook per la prima volta ruota attorno ad una figura femminile, interpretata dalla bella e glaciale Lee Young-Ae. Ingiustamente in carcere tredici anni per il rapimento e l'omicidio di un bambino e alla ricerca del colpevole, Geum-ja è al contempo sadicamente efferata e teneramente materna. Una volta rilasciata, Geum-ja è pronta a riappropriarsi la propria vita con il conforto dei nuovi amici, ma l'idea fissa rimane quella della vendetta.
Il quarantenne coreano Chan-wook parlando della violenza nei suoi film, dice che non intende esaltarla, tutt'altro, cerca di trasformarla in redenzione.
L'idea alla base del film, dichiara, è stata quella di mettere in scena un rito di apprendimento. Non a caso il colpevole, che diventa poi la vittima, è un professore, così come il poliziotto si trasforma in insegnante di violenza e il luogo in cui si consuma la vendetta è una scuola abbandonata. D'altra parte tutta la storia di Geum-ja riguarda l'apprendimento, è un percorso dalla vendetta alla redenzione.
"Lady Vendetta" appare essere un film sul sacrificio, sul capro espiatorio. Numerose autorevoli fonti rilevano come sia l'intera comunità che il sacrificio protegge dalla sua stessa violenza e sottolineano come il sacrificio non abbia solo un valore religioso. Accanto alla questione teologica esiste un altro discorso sul sacrificio, che riguarda la sua funzione sociale ed è molto più interessante.
C'è un denominatore comune dell'efficacia sacrificale, tanto più visibile e preponderante quanto più l'istituzione si mantiene viva. Tale denominatore è la violenza intestina; sono i dissensi, le rivalità, le gelosie, le liti tra vicini che il sacrificio pretende anzitutto di eliminare, è l'armonia della comunità che esso restaura, è l'unità sociale che esso rafforza. Se si affronta il sacrificio da questo suo aspetto essenziale, da questa via regia della violenza che si apre davanti a noi, presto ci si accorge che esso non è davvero estraneo a nessun aspetto dell'esistenza umana.
I grandi testi cinesi, che Chan-wook sicuramente conosce, riconoscono esplicitamente al sacrificio la funzione di redenzione. Grazie ad esso le popolazioni rimangono serene e non si agitano. Il desiderio di violenza vendicatrice, se trattenuto, verte sui congiunti, sulla comunità, rappresenta una crisi istituzionale, non può appagarsi senza comportare ogni sorta di conflitti. Si deve dunque sviare verso il capro espiatorio il solo a poter essere colpito senza pericolo dato che non ci sarà nessuno a sposarne la causa.
Il cinema di Park Chan-wook incanta e irrita, stordisce e affascina. Questa volta, di fronte alla vendetta collettiva di un gruppo di genitori, egli chiede esplicitamente la complicità dello spettatore, per poi farlo vergognare di aver condiviso, almeno idealmente, il martirio della vittima sacrificale. Un film distinto nettamente in due parti: un prologo discontinuo e prolisso, reso sostenibile solo dal cromatismo pastello alla moda e una parte finale in cui il film si risolleva dal torpore, complice l'ispiratissima mano del regista nel condurre l'allucinante mezz'ora finale.
Park Chan-wook, fin dai titoli di testa, infila rapidamente una bella sequela di suggestioni visive ma, a lungo andare, il tutto mostra un'autocelebrativa pretestuosità.
L'ultimo atto è dunque quello che riscatta l'opera, e conferisce senso al capitolo conclusivo della trilogia, salvandolo dal vago sentore d'inutilità che lo andava pervadendo. Nel tirar le fila del suo trattato, egli ritrova una grande lucidità espressiva e poetica, e licenzia il trittico con una chiusura effettivamente da incubo. Il suo stile, elegantissimo quanto perturbante, aderisce spietatamente alla lucida analisi del rito sacrificale purificatore e restituisce sapori e odori dei momenti più allucinati di "Old Boy".
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Recensione a cura di maremare - aggiornata al 31/01/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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