Recensione la fine di san pietroburgo regia di Vsevolod I. Pudovkin URSS 1927
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Recensione la fine di san pietroburgo (1927)

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locandina del film LA FINE DI SAN PIETROBURGO

Immagine tratta dal film LA FINE DI SAN PIETROBURGO

Immagine tratta dal film LA FINE DI SAN PIETROBURGO
 

4 maggio 1896: al teatro Acquarium di San Pietroburgo si inaugura l'apertura della stagione estiva, e soltanto qualche giorno dopo il cinema dei fratelli Lumière fa il suo ingresso nella capitale dell'impero russo; presto anche gli spettatori moscoviti, presso il teatro Ermitaz, vengono a conoscenza di questo insolito spettacolo. L'immenso potenziale del prodotto non sfugge ad artisti ed intellettuali; è il primo tassello per la nascita del cinema russo.
Ad un iniziale contesto da baraccone, il cinematografo dovette aspettare qualche anno prima di emanciparsi ed essere accolto in un più ampio ambito culturale e social; fu il fotografo Aleksandr O. Drankov nei primi del '900 ad organizzare il primo studio cinematografico russo in grado di concorrere con gli operatori stranieri: con la produzione di una serie di film fu il primo indiscusso sovrano del cinema russo.

Fondamentale in quegli anni fu la produzione di pellicole ispirate ai grandi classici della letteratura; furono portate sullo schermo centinaia di opere di grandi scrittori russi e stranieri (Tolstoj, Puskin, Gogol, Lermontov, Dickens, H. De Balzac), con pellicole che ebbero il merito di rendere popolari opere che alla popolazione analfabeta russa erano totalmente sconosciute.
Si arriva così al 1917, quando con la rivoluzione di febbraio lo zar Nicola II Romanov è costretto ad abdicare e la russia cessa di essere una monarchia lasciando definitivamente il potere ai bolscevichi con la rivoluzione di ottobre; si assiste così al passaggio dal vecchio cinema zarista alla splendida stagione del cinema sovietico degli anni '20. Fu Lenin a scorgere nel cinema il mezzo più adatto per un processo di acculturazione: nelle sue direttive primeggiava un disegno pedagogico tale da unificare esigenze ideologiche, didattiche, divulgative ed estetiche.
Sono gli anni dell'"avanguardia sovietica", dei "futuristi" del LEF (fronte di sinistra dell'arte) e della "cultura proletaria"; i loro esponenti mirano all'elaborazione del linguaggio, al contenuto poetico, alla radicalità della rivoluzione d'ottobre e ad una visione del mondo imbevuta da un netto spirito di classe.

Tra i registi che più riuscirono a dare un contributo fondamentale a questo straordinario periodo del cinema muto sovietico vanno citati soprattutto: Sergej M. Ejzenstejn, con la sua grande capacità di visualizzare metafore e concetti, di accomunare la concretezza delle immagini alle astrazioni, di dare risalto alle masse preferendole all'individualità del personaggio; Dziga Vertov, maestro nel documentare la quotidianità e le evoluzioni del sistema economico e industriale; Vsevolod I. Pudovkin, autore di film come "La madre", "Tempesta sull'Asia" e "La fine di San Pietroburgo", l'opera presa in esame in questa recensione.

Pudovkin, nato a Penza nel 1893, fu, insieme ad Ejzenstejn e Vertov, uno dei primi teorici a concentrare le proprie riflessioni sulla questione del montaggio, nel quale vide il principio espressivo fondante dell'arte del ventesimo secolo; a lui toccò il compito di esprimere cinematograficamente la rivoluzione compiendo contemporaneamente una rivoluzione del cinema stesso.
Confrontato spesso all'altro gigante della cinematografia sovietica Ejzenstejn, se ne differenzia proprio per l'importanza accordata alla sceneggiatura e ai personaggi della vicenda narrata; dove Ejzenstejn punta all'epica delle masse, Pudovkin sceglie di rappresentare l'epica dell'individuo. Il suo stile mira più all'analisi che alla descrizione, i magnifici primi piani esaltano i personaggi ritraendoli malinconici ma straordinariamente emozionanti.

Commissionato come celebrazione del decimo anniversario della rivoluzione d'ottobre, "La fine di San Pietroburgo" narra la vicenda di un giovane contadino che a causa della povertà in cui versa la sua famiglia decide di lasciare il proprio villaggio per recarsi a San Pietroburgo in cerca di fortuna.
La città, con i suoi quartieri miseri e grigi, non gli appare meno squallida e desolante delle campagne che ha abbandonato; trovato lavoro in una fabbrica, si trova subito ad affrontare la realtà di uno sciopero, e la paura di perdere l'occupazione lo porta a divenire informatore della polizia ed a tradire i compagni, che per questo finiscono in prigione.
Pentito del gesto, si ribella fino ad avere uno scontro fisico con il padrone della fabbrica che a sua volta lo fa arrestare; allo scoppio della prima guerra mondiale il giovane viene arruolato nell'esercito, lì conosce alcuni bolscevichi e si appassiona alle loro idee al punto che durante la rivoluzione d'ottobre si troverà in prima linea nell'assalto al palazzo d'inverno.

Il senso dell'opera risiede nel descrivere le trasformazioni della vita del Paese nel passaggio da un'epoca storica all'altra, tanto che inizialmente il film avrebbe dovuto titolarsi con i tre nomi dell'ex capitale russa (San Pietroburgo, Pietrogrado, Leningrado).
La sceneggiatura si basa principalmente sulla lenta presa di coscienza politica del protagonista; l'ingenuità del giovane contadino cede progressivamente il posto ad un visione più chiara di quali sono i diritti e i doveri della classe a cui appartiene.
Impreziosito dall'interpretazione di grandi attori di teatro d'arte come Vera Baranovskaja e Aleksandr P. Cistjakov, il film si discosta in questo dalle opere di Ejzenstejn e di Vertov, che al contrario hanno sempre preferito la presenza di attori non professionisti; gli artisti non nascosero però un certo risentimento nei confronti di Pudovkin, reo di utilizzarli come semplici elementi della scenografia, che comunque non è poco considerando che il cinema muto richiedeva una grande forza espressiva. La staticità dei primi piani in realtà non era tale, la profondità di uno sguardo era sufficiente a donare poesia e liricità al film; per questo Pudovkin riteneva indispensabile la presenza di attori teatrali nelle sue opere.

Il cinema sovietico degli anni venti ha regalato alla cinematografia mondiale indiscussi capolavori, e "La fine di San Pietroburgo" si può tranquillamente annoverare tra questi.

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Recensione a cura di Marco Iafrate - aggiornata al 22/12/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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