Recensione l'angelo della spalla destra regia di Jamshed Usmonov Francia, Italia, Svizzera, Tagikistan 2002
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Recensione l'angelo della spalla destra (2002)

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locandina del film L'ANGELO DELLA SPALLA DESTRA

Immagine tratta dal film L'ANGELO DELLA SPALLA DESTRA

Immagine tratta dal film L'ANGELO DELLA SPALLA DESTRA

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Immagine tratta dal film L'ANGELO DELLA SPALLA DESTRA

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"L'angelo della spalla destra" è un esempio di come, nonostante la riconquistata sovranità, il Tajikistan ancora subisca l'influenza e molto dipenda economicamente dall'ex Unione Sovietica, oggi Russia. A iniziare dalla vita stessa del protagonista, Hamro, che a Mosca ha trascorso dieci anni tra alti e bassi, tra carcere e loschi affari che hanno avuto come risultato di caricarlo di debiti, tanto da condizionare oltre alla sua, l'esistenza della madre Halima che vive nel villaggio di Asht.
È qui che Hamro fa ritorno dopo i dieci anni in Russia, per scoprire che Halima è in fin di vita: si tratta però solo di una manovra ordita dalla scaltra signora per ottenere l'ampliamento dell'ingresso al cortile della sua casa quel tanto da consentire (è la scusa ufficiale) il passaggio della bara in cui dovranno riposare i suoi resti. Hamro, convinto della prossima dipartita, intravedendo la possibilità di risollevare le sue sorti rivendendo l'abitazione alla morte della madre, ne avvia la ristrutturazione.
E a questo punto iniziano le sue peripezie: più che mai indebitato, egli si sente costretto dentro un ambiente, quello del villaggio, apparentemente ordinario, fatto di cose comuni come il lavoro quotidiano della gente, i piccoli sotterfugi di un sindaco che fa dell'inganno la propria parola d'ordine, o il figlio piovutogli tra capo e collo quale eredità delle sue avventure galanti del passato. Un ambiente talmente ordinario da far sembrare anche il colloquio telefonico del primo cittadino con il soprannaturale (con «sua eccellenza») un avvenimento di assoluta normalità; dove eventi importanti come la morte (così fa Halima pensando alla sua) sono preparati con molta cura, prima ancora che accadano, e il culto degli antenati viene coltivato per garantirsi la salvezza dell'anima dopo il trapasso, sebbene la laicità del modello religioso islamico praticato dalla società tajika, uscita da settant'anni di comunismo sovietico, consenta di fare uso liberamente di bevande alcoliche e di praticare il sesso, ove se ne presenti l'occasione, anche in un luogo pubblico (per esempio nella stanza per le medicazioni di un ospedale, come fa Hamro con Savri) a cui chiunque può accedere.

Fedele all'usanza ottomana del serraglio (leggi gineceo), la proprietà privata rimane invece nascosta al riparo di alte mura che non consentono di vedere all'interno; l'harem infatti è il regno della donna e va protetto da sguardi indiscreti. Questo spiega perché in pubblico le anziane del villaggio nascondano la testa sotto una giacchetta per non far vedere il volto.

Quando si avvicina però il momento della dipartita, se avranno ben meritato come Halima (ne è testimone il libro delle sue buone azioni, compilato dall'angelo della spalla destra) e si saranno comportate rettamente per tutta la vita, in accordo con «sua eccellenza» dall'aldilà potranno aspirare a esequie con tutti gli onori. In quanto a Hamro, che certo non ha ben meritato né si è comportato rettamente, ha un'unica scelta davanti a sé: andarsene. Una volta liquidati i creditori e spartito con il Sindaco il ricavato dalla vendita della casa di Halima non gli resta che abbandonare il villaggio e, lasciandosi indietro Savri (che vediamo rincorre inutilmente l'autobus su cui egli si allontana assieme al figlio), recidere anche l'ultimo vincolo che lo teneva legato a Asht.

Cuore di mamma.

Vivere in Asia Centrale non è facile, dopo che per settant'anni il regime aveva pensato a tutto, organizzando e gestendo la vita delle persone accompagnandole «dalla culla alla tomba». Ora che tutto ciò è finito la gente è costretta ad arrangiarsi come può e a inventarsi qualcosa di nuovo ogni giorno per tirare avanti. Una storia seppure surreale come quella raccontata da Usmonov nel suo film ha comunque dei risvolti drammatici.
Se infatti l'esigenza di riuscire a far passare la bara con i propri resti attraverso l'ingresso principale è di fondamentale importanza per l'anziana Halima (sarebbe un disonore farle scavalcare il muro di cinta del cortile per portarla fuori), non lo è di meno l'istinto di sopravvivenza che porta Hamro a fronteggiare gli abitanti del villaggio, scontrandosi con essi per non soccombere alle loro angherie. Ma l'amore di una madre supera ogni cosa, facendole accettare perfino la morte pur di aiutare un figlio a iniziare una nuova vita.

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Recensione a cura di Severino Faccin - aggiornata al 01/09/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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