Voto Visitatori: | 8,50 / 10 (20 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
Film capolavoro di Jean Renoir, girato nel 1938 tra Le Havre e Parigi con un bianco e nero di grande efficacia espressiva.
Di grande impatto significativo le cupe atmosfere degli esterni, che avvolgono come una misteriosa entità fantasmagorica buona parte dell'opera.
Le fedeli riprese delle telecamere colorano il film di un triste presentimento. E' il preannuncio fatale dell'arrivo di un'oscurità apocalittica, di una catastrofe bellica senza precedenti, di un'immane tragedia che sconvolgerà a breve gran parte del mondo.
Renoir in questo film si avvale di un linguaggio cinematografico in parte nuovo, in parte già collaudato dai noir americani degli anni '30.
La forte novità di questo film consiste nell'aver proseguito con tenacia una felice sperimentazione intorno alla lingua cinematografica, cercando di tradurre, per lo schermo, aspetti del linguaggio letterario più vicino al naturalismo.
Forse un po' a sorpresa o forse come conseguenza di uno straordinario e duro lavoro, con questa opera il regista francese ottiene risultati di insieme che saranno molto apprezzati sia dal pubblico che dalla critica.
Renoir conquisterà gli spettatori e la critica soprattutto grazie alla capacità di creare, con particolare talento, una tensione scenica molto suggestiva ma mai illusoria, impregnata di attrazioni ipnotiche che portano ad accedere a un reale credibile, vettore di una penetrazione nel cuore dello spettatore senza eguali.
Il film è animato in gran parte da una tensione spasmodica in cui è protagonista il vero. Una molla sempre carica, tesa, tenuta bene in equilibrio da oggetti familiari, immediatamente riconoscibili ma mai banali.
La sceneggiatura non è mai debordante, ma sempre ben confinata nel binario sintattico di una narrativa che rimane per tutta la durata del film senza screpolature comunicative o sfilacciamenti iconici. Ciò in virtù di emozioni fortemente familiari anche se a volte stranianti, prodotte e confinate nel noto da un ricercato contrasto tra etica e trasgressione.
Da queste ultime scaturiscono passioni irrefrenabili, anche violente, ben esplicitate dal racconto e prese in uno stile neutro che evita accuratamente giudizi moralistici.
La messa in scena di congegni letterari estremamente innovativi e idonei ad esaltare meglio gli aspetti più passionali del racconto accentuerà il tono tragico del film che risulterà essere tra i più coinvolgenti di quel periodo.
A ciò contribuì lo spirito di un'epoca ancora fortemente romantica, nota quindi per come prestasse attenzione alle questioni sociali e umane del proletariato e degli emarginati, ceti sociali questi ultimi spesso protagonisti di numerosi film di quel periodo.
Renoir darà però alla pellicola un contenuto fortemente demistificatorio, da cui trapeleranno con chiarezza e per contrasto, oltre alle forme di romanticismo, forme di positivismo inedite: aspetti filosofici che caratterizzavano la storia europea del momento e che consentivano insperate trasparenze sulla reale natura dei personaggi.
Il film lascerà tutti stupefatti per la verosimiglianza dello stile narrativo con quanto di più prezioso appreso e vissuto nella letteratura di Emile Zola.
Renoir per questo film prende spunto dal romanzo omonimo (1890) di Emile Zola, uno dei principali fondatori nella letteratura francese dello stile naturalista, uno stile che è una forma di linguaggio letterario nuovo, in buona misura ossessionato dal realismo e dalla verità fattuale.
Il naturalismo a volte assumerà aspetti iperrealisti, molto accentuati, qualcosa che stupirà per l'originalità, il pathos, le invenzioni tecniche, e le emozioni dovute alle numerose verità di vita racchiuse nei contenuti delle opere.
Il naturalismo appare subito slegato dalla solita immaginazione pregna d'interpretazioni, soggettiva, che lo scrittore usava mettere nel racconto sacrificando gran parte del reale.
Nel nuovo stile l'autore s'impegna soprattutto nella descrizione minuziosa e fedele, altamente significativa e discorsiva, di quanto effettivamente accade nella realtà più viva.
Una vera rivoluzione letteraria: ora lo scrittore deve limitarsi a scegliere un oggetto di studio che istruisca per quello che è, per ciò che nasconde ma che nello stesso tempo lascia apparire in superficie, e infine per ciò che vuole essere; qualcosa che riesca a ispirare l'artista coinvolgendolo in una scrittura di portata stilistica superiore, ossia priva dei noti elementi negativi, troppo fantasiosi, presenti nel proprio narcisismo dedito alla scrittura.
L'autore tipico nel naturalismo osserva e ascolta, invisibile. Apprende ciò che accade nella realtà da lui stesso scelta sulla base di una consistenza espressiva.
Egli registra pazientemente le conversazioni e le azioni dei personaggi, spesso proletari, da lui individuati e selezionati con cura, e lo fa quando essi sono partecipi significativi di realtà umane, come nelle relazioni di lavoro e nelle manifestazioni delle affettività più spontanee presenti nella vita quotidiana.
L'autore riproduce tutte quelle situazioni, anche violente e brutali, che sono spesso dominate da scissioni psichiche note e meno note provenienti da questioni oggettive insite nella storia di ciascuno.
Nel naturalismo l'interrogazione letteraria è dettata e assicurata dalla realtà stessa, nel senso che essa contiene già tutti gli elementi idonei a sostenere una trama di un certo interesse.
Nulla aggiunge l'autore di suo, neanche un legittimo tentativo d'interpretazione: ipotetico o formulato enigmaticamente.
Questo stile letterario di marca francese influenzerà parte dell'Europa, compresa l'Italia. Nel nostro paese esso avrà una risonanza particolare ispirando grandi autori letterari.
In Italia assumerà caratteristiche diverse da quelle francesi, perché il punto di vista dell'autore entrerà un po' più in gioco nella narrazione, facendo in qualche modo parte del racconto; lo scrittore, però, nel far ciò userà molto cautela e opterà sempre per uno stretto rapporto con l'esposizione dei fatti: veri protagonisti dell'opera e portatori dell'oggettività dei contenuti.
Col passare del tempo il naturalismo in Europa prenderà diverse forme espressive, in Italia sarà denominato verismo e vedrà protagonisti Giovanni Verga, Luigi Capuana, Matilde Serao nonché altri illustri autori, in gran parte figli della grande tradizione letteraria siciliana e napoletana.
Per il cinema italiano sarà Rossellini, con "Roma città aperta" e una serie eccezionali di film dell'immediato dopo guerra a dare forza e credibilità a uno stile che risulterà stretto parente del naturalismo: il neorealismo, che dominerà per anni il mondo dell'arte visiva e letteraria.
"L'angelo del male" è un film-studio che si cala nella dissociazione più profonda che caratterizza la psiche del proletariato francese d'inizio '900.
Lantier, macchinista del treno Le Havre Parigi, è affetto da una grave psicopatia alcolica eredita da padri e nonni.
Il film non può sfuggire a forti metaforizzazioni create da dettagli scenici che suggeriscono verità di portata più vasta rispetto al racconto in sé. Significati logici e storici che qualsiasi opera letteraria o filmica in qualche modo rilascia.
Renoir mostra con un certo pessimismo, acquisito dalle ombre del reale studiato, i propri dubbi sulle effettive capacità del proletariato di essere guida egemone, insieme ad altre classi, di un radicale cambiamento sociale ed etico.
La schizofrenia che tormenta il macchinista e che lo porterà a uccidere in stato d'incoscienza diventa la metafora delle difficoltà della classe proletaria a proporsi autorevolmente come punto di riferimento etico, ossia come forza politica idonea a sostenere quella rivoluzione marxista a lungo caldeggiata da numerosi rappresentanti della cultura francese e mondiale di quel momento storico. Come dire che il proletariato nasconde suo malgrado, nel profondo, delle mostruosità.
Uccidendo e amando le donne Lantier dimostra la natura perversa della sua passione, un'abnormità però di cui non ha colpe.
Il macchinista Lantier con i suoi gesti tragici dice come gli sia in qualche modo preclusa la soddisfazione di una vita piccola borghese. Quel sogno desiderante che da tempo lo anima e che passa per la classica identificazione con la vita della borghesia. Un sogno che il proletariato da sempre coltiva.
Lantier deve fare i conti con quello che dal padre e dai nonni, proletari infelici, si è sedimentato negativamente nella sua mente; non può essere un rivoluzionario in grado di sovvertire l'etica borghese, perché la sua etica è scissa e la mancanza di unità lo porta a crisi d'identità spaventose, trascinandolo nel baratro dei fiumi di sangue delle rivoluzioni perdenti.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 23/08/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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