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In un piccolo paese del Friuli, un Commissario di polizia viene chiamato ad indagare su un presunto rapimento ed un omicidio. Risolverà il caso senza clamori, grazie ad un'indagine precipuamente psicologica degli inquisiti.
Quanto sarebbe sbagliato ridurre questa opera prima di Andrea Molaioli all'ambito di genere, del noir o del giallo poliziesco; vero che si tratta dell'indagine su un delitto (in realtà più d'uno), ma ne "La ragazza del lago" il giallo costituisce solo un'occasione per raccontare ben altro, frugando approfonditamente nelle pieghe più profonde dell'umano, in una disperante ricerca su mali e dolori dell'esistenza.
L'indagine del commissario Sanzio, incaricato delle indagini, senza i clamori ed i sensazionalismi tipici dei media odierni, non ha nulla dello scoop giornalistico ma sembra, al contrario, la ricerca minuziosa di un perito settore, che fruga scientificamente nei visceri della nostra interiorità, scoprendo le radici di una sofferenza drammatica di tutti, per volere di un fato crudele.
Purtroppo, nel condurre questa metaforica autopsia, il "medico incaricato" non riesce a mantenere il dovuto distacco, ma viene coinvolto emotivamente dalla vicenda e dai suoi personaggi, dimostrandosi così umano e credibile nella misura in cui, come tutti noi, proietta nel lavoro e nei rapporti le sue stesse sofferenze; il quale processo diventa infine, socraticamente, lo strumento migliore anche per conoscere il mondo esterno.
Il substrato di umanità del commissario emerge dunque col racconto del suo dolore personale per la grave malattia mentale della moglie ricoverata ed il difficile rapporto con la figlia. In modo analogo, il protagonista scruta nell'animo degli indagati, coi raggi X della sua sensibilità di fondo che gli permetterà, leggendo in trasparenza, di arrivare alla soluzione del caso senza ricorrere a tecniche e strumenti da superfiction televisiva: lo farà semplicemente auscultando, come un medico condotto di paese, gli umori malati di un paraplegico con figlio malato di mente, la passione morbosa di un padre per la figlia di sangue e la conseguente gelosia della sorellastra, il disagio personale di un giovane smidollato e la disperazione della madre di un figlio autistico e caratteriale.
Il quadro descritto, nell'insieme, non ci riporta per nulla al cinema piacione e servoassistito di romana (e veltroniana) memoria, ma ad un contesto assolutamente diverso, di radice per molti aspetti nordica, a partire dal contesto ambientale.
Siamo in un paese di montagna, freddo e grigio, all'ombra di scure pinete che si specchiano sulle acque di un laghetto romito, dove vivono personaggi psicopatici in chalet di legno lontani dal mondo: paesaggi tranquilli ma alienanti, ben rappresentati da una fotografia volutamente fredda e glaciale. Un paesaggio, nell'insieme, molto caro alla sensibilità del grande cinema del Nord Europa.
Ma non dimentichiamo che anche dal nord Italia vengono molte suggestioni noir, anche recenti: dal delitto di Cogne alle contrade di Pietro Maso, che hanno lasciato segni e ricordi nel nostro immaginario con valli assolate che precipitano precocemente in un triste buio dietro le montagne, al tramonto, il freddo che assale, il rinchiudersi dei pochi abitanti all'interno delle case, dove si perpetrano inquietanti dinamiche individuali.
Del nord Europa, poi, anche precise suggestioni letterarie, con una sensibilità volta all'indagine interiore, in una concezione tragica dell'esistenza e con personaggi rosi da dubbi mai risolti con stati di felicità, perché non ci è dato sottrarci al destino e alle tare genetiche di chi ci ha preceduto. E che ci tocca scontare, seppure innocenti; come nel teatro di Ibsen.
Alla concettosa narrazione, di notevole sostanza, va aggiunto un plauso senza riserve anche sul piano della forma: una recitazione eccellente di tutti gli attori (straordinario Toni Servillo, nell'aristocratica misura), una fotografia sempre in tema, una colonna sonora in sintonia coi toni mesti e drammatici del racconto, per un'opera prima registica davvero memorabile, finalmente riconosciuta e conclamata dalla critica, anziché colpevolmente trascurata.
La regia è poi di straordinaria caratura, e ci fa venire in mente, per spessore ed intensità, precedenti illustri di opere prime, come "Accattone" di Pasolini e "La commare secca" di Bertolucci.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 09/05/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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