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Norbert e il suo amico Martial, rampolli di famiglie della buona borghesia, comprano una cornice nel negozio di un fotografo e la pagano con un biglietto da 500 franchi falso. Yvonarge, addetto al trasporto del gasolio da riscaldamento, riceve il biglietto in pagamento di un carico. Ignaro, al bar paga con quello un cognac e lo arrestano. Al processo, il fotografo, tacitato con il denaro della madre di Norbert, dichiara di non aver mai visto Yvon. Lo conferma il commesso Lucien (in realtà è stato lui a consegnare la banconota a Yvon, ma anch'egli è stato pagato). Rimesso in libertà, Yvon (che ha una moglie, Elise, e una figlia, Yvette) non riesce a trovare lavoro. Accetta allora di fare l'autista per una rapina in banca. Ma il colpo fallisce. Arrestato, Yvon è condannato a tre anni di carcere. E in carcere finisce anche Lucien.
Licenziato per aver alterato i cartellini dei prezzi intascando la differenza, il commesso infedele trattiene le chiavi del negozio e svuota la cassaforte; dopodiché svaligia alcuni bancomat. Una lite, intanto, fa finire Yvon in cella di rigore per trenta giorni, durante i quali gli muore la figlia. Tenta il suicidio. Riportato dall'ospedale in carcere, incontra Lucien che si offre di aiutarlo a fuggire, per riparare al male che gli ha fatto. Ma Yvon, che è stato abbandonato dalla moglie, rifiuta. Quando esce dal carcere, va in un alberghetto della periferia parigina, ne uccide i proprietari e ruba quel po' di denaro che trova. Poi segue una donna che ha appena ritirato la pensione. Nonostante che Yvon confessi il suo crimine, è accolto nella casa dove la pensionata si prende cura del vecchio padre, di due sorelle, del cognato e del nipote paralitico.
Improvvisamente, una sera, Yvon impugna una scure e uccide tutti i componenti della famiglia che lo ospita. Poi va a costituirsi.
Robert Bresson (1907-1999), conseguita la laurea in filosofia, si accosta all'arte cinematografica assistendo alla lavorazione di alcuni film. Nel tempo libero dipinge. Dopo un anno e mezzo di prigionia in Germania, la ricerca della Grazia diviene una costante, alla quale egli tende con una graduale purificazione del segno registico: il suo cinema è fatto di progressive privazioni.
Al di fuori d'ogni filone e genere, Bresson mira a una forma d'architettura filmica così rigorosa da superare il concetto di rappresentazione: la sua non è "mise en scène" bensì "mise en ordre". Spesso infatti il cuore dell'azione avviene fuori campo, mentre le immagini riprendono una realtà autonoma, incurante del sussistere delle figure umane.
La storia è ridotta ad una fenomenologia di eventi staccati, disgregati, che esaltano la scrittura apparentemente piana, immota e antidrammaturgica nello stesso momento in cui invece dirompe la consapevolezza completa del conflitto e della tragedia insanabili. Le inquadrature non sono solo indifferenti alle sorti e alle vicende degli uomini; peggio: esse designano un universo che ignorandoci e trascurandoci ci rende sue vittime, l'ultimo anello cosmico della trasmissione dell'onnipervadente "malum mundi".
Ne "Le diable probablement..." ("Il diavolo probabilmente...", 1978) Bresson aveva già assunto come soggetto la scomparsa della Grazia dalla realtà: un influsso esistenzialista porta all'estremo il suo pessimismo fino a rilanciare sui silenzi e sull'indicibile, e, nell'omicidio-suicidio finale, ribadisce il principio d'un cinema della negazione, "senza autore" e senza Dio (Dio non è morto: non è mai esistito), incomunicabile e incomunicante, rivolto a un "pubblico assente". Furti, drammi, delitti e orrori sono ancor più esasperatamente presenti ne "L'argent".
Bresson, che ha realizzato tredici film in 44 anni, incarna nella storia del cinema una sorta di paranoia lucida che ha favorito la nascita d'una serie di film severamente schematici e fortemente evocativi. Con quest'ultima opera della sua carriera, egli elabora il racconto di Tolstoj "La cedola falsa" (da cui trae l'ispirazione iniziale) secondo un nitore che si riverbera sia sulla logica degli avvenimenti e del comportamento dei personaggi, sia sulla struttura narrativa. Una struttura che ha i suoi punti di forza nell'ellissi, nella essenzialità delle inquadrature e delle sequenze, e nel colore stesso (la fotografia è di Pasqualino De Santis) trattato come se fosse bianco e nero: al bianco e nero l'anziano regista (quando realizza "L'argent" ha 76 anni) è rimasto sostanzialmente fedele per la maggior parte della sua carriera. Queste scelte autoriali gli consentono un prodigioso equilibrio fra il resoconto e la non-ostentazione, fra la denuncia d'un'esistenza pandemoniaca e il pudore d'uno sguardo che mortifica ogni esibizionismo e voyeurismo dediti alla negatività.
Girato con attori pressoché sconosciuti, che pronunciano battute stringate e si muovono in ambienti più che mai spogli, il film è destinato come al solito a un pubblico d'élite (nonostante il premio ottenuto a Cannes nel 1983, in Italia uscirà solo due anni dopo).
Mauro Lanari
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Recensione a cura di Hal Dullea - aggiornata al 17/07/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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