Luce. Tempo.
Un film, inteso come oggetto "fisico" e pertanto al di sopra delle sue costituenti contenutistiche, è il risultato di una miscelazione più o meno saggia di questi due fattori assoluti.
Non vogliamo soffermarci, in questa sede, sul ruolo che la luce gioca nella creazione dell'immagine "eterna", quanto più mi interessa analizzare il compito della seconda componente imprescindibile: il tempo.
Il cinema, si sa, è illusione di movimento; una catena di unità statiche denominate "fotogrammi" proiettate a blocchi sequenziali da 24 ogni secondo al solo scopo di ingannare lo sguardo. Se il periodo che intercorre tra la proiezione di 2 fotogrammi consequenziali è minore del lasso di persistenza dell'immagine sulla retina dell'osservatore, bhe... Et voilà!
Il tempo è anche un concetto soggettivo, lo dicono i filosofi; il suo incedere può apparire pigro o incalzante adattandosi alle situazioni in cui viene percepito... Qualora qualcuno fosse interessato a comprendere meglio questa affermazione sappiate che "La Richesse du loup" può dare una grossa mano: otto anni di riprese, un anno di montaggio; non esiste esperienza personale che possa favorire l'apertura di un dibattito... Sono tempi mostruosi, che doppiano quelli impiegati da Michelangelo per la realizzazione della Cappella Sistina.
Apperò. D'accordo leggiamo la trama: Olaf se ne è andato, inghiottito nel nulla di un futuro senza passato. Olaf non aveva amici, non aveva conoscenti. Olaf non aveva nessuno se non Marie e a Marie Olaf lascia un insolito testamento: Olaf incide una traccia del suo IO su video-nastri magnetici; lo fa nel corso degli anni, durante i suoi viaggi... Olaf crea un'enciclopedia di sé stesso. Marie è convinta che su quelle videocassette ci sia la risposta alla scomparsa del suo amato e così inizia a visionarle ossessivamente.
Ricapitoliamo: 8 + 1 anni di realizzazione... Una trama davvero interessante... Ok, lo guardiamo!
EPIC FAIL
Quello che davvero infastidisce di questo film è "ogni-singola-cosa".
Partiamo dal Sig. Regista (vedesi anche sceneggiatore, produttore, d.o.p, operatore, attore, montatore... "Il cinema è un'arte corale" - cit.): sul sito personale c'è scritto che Damien Odoul, oltre alle cose sopra indicate, è un artista contemporaneo e un poeta... Bene. A quanto pare abbiamo di che ritenerci fortunati nel poggiare le nostre terga al fianco di cotanta personalità artistica (Festival di Locarno 05.08.2012 - prima mondiale de "La Richesse du loup"), peccato che, terminata la pellicola Damien Odoul abbandona la sala e lascia a Marie-Eve Nadeau (attrice protagonista e sua compagna di vita) l'onere di rispondere alle domande degli astanti (che, per dovere di cronaca, hanno applaudito... Piero Manzoni era avanti anni luce). Abbiamo addirittura ipotizzato che, resosi conto del "gesto", l'Odoul si sia semplicemente autoimposto un esilio dalla società civile... Poi ci è stato fatto notare che si trattava di arroganza.
Veniamo al film. Domanda spontanea: otto anni di riprese, perché?
La risposta è tanto ingenua quanto terrificante: in "La Richesse du loup" Odoul ha inserito i filmatini amatoriali dei suoi ultimi otto anni di ferie per poi impiegare un anno di vita a cercare di metterli insieme in modo artistico. Vi giuriamo: vorremmo fosse uno scherzo atto a enfatizzare un concetto critico... Purtoppo è tutto vero.
Secondo il regista noi esseri umani siamo vermi. Siamo bruchi che contorcendosi si allungano su una mano di donna per trovare una via, per scoprire un percorso (raffigurazione simbolica dell'impossibilità di comprendere l'interezza del prossimo). Siamo pesci in un acquario; illusi della nostra libertà viviamo per intrattenere e completare le vite altrui; siamo carne da macello, carne putrida, carne rancida... Siamo i figli della morte e non siamo in grado di accettarlo (per fortuna c'è Odoul a ricordarcelo). La nostra ricerca mira a un miglioramento impossibile: possiamo solo arrenderci ed aspettare. Ma quanta originalità!
A raccontare il disagio di una ricerca senza uscita la presenza costante del voice over di Marie (della serie: se non riesco a farti passare un concetto per immagini te lo spiego con un sottotesto à côté. Bravo).
Insomma un'opera figlia di cinema e video arte che eredita dal primo la sempre più evidente pochezza di idee dalla seconda il tedio inesorabile.
Chiudiamo il cerchio. Vi ricordate da dove eravamo partiti? Esatto, da un'analisi sul tempo... Perché? Non sapremmo... Vuoi perché sono stati i nove anni di realizzazione a convincerci a vedere questo film; vuoi perché la durata complessiva dell'opera è di 86' (percepiti come 86 giorni); vuoi perché è il tempo, protagonista di tutta la vicenda, a influenzare le scelte di Olaf nell'incedere "narrativo".
In realtà, in ultima analisi, crediamo che la scelta di aprire la recensione di questo film con l'esame della relazione tra tempo e cinema sia dovuta al verbo che abbiamo associato al sostantivo "TEMPO" conclusa la visione di questo film: buttato.
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Recensione a cura di Aenima - aggiornata al 02/10/2012 15.11.00
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