Recensione le leggi del desiderio regia di Silvio Muccino Italia 2015
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Recensione le leggi del desiderio (2015)

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locandina del film LE LEGGI DEL DESIDERIO

Immagine tratta dal film LE LEGGI DEL DESIDERIO

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Giovanni Canton (Silvio Muccino, "Il cartaio" e "L'ultimo bacio") è il life coach del momento, uno di quei trainer motivazionali che spingono ad ottenere il massimo dalla vita. A lui si rivolgono, tra gli altri, Ernesto Colapicchioni (Maurizio Mattioli, "Fratelli d'Italia" e "Nel continente nero") e Luciana Marino (Carla Signoris, "Ex" e "Happy family"), oltre a Matilde Silvestri (Nicole Grimaudo, "Liberi" e "Baaria"), che viene scelta da Canton stesso come sfida personale. La "sfida" consiste nel trasformare queste tre personalità sopite, represse, da dottor Jekyll a mister Hyde nel giro di pochi mesi. Nel particolare: Ernesto dovrà raccogliere le soddisfazioni che merita in ambito lavorativo, Luciana dovrà trovare il coraggio di pubblicare i suoi romanzi erotici e rivelarsi ai propri familiari per questa dote tenuta da sempre nascosta, e infine Matilde dovrà cambiare il suo carattere mite e dimesso per diventare la "dominatrix" che farà finalmente innamorare il suo capo, Paolo Rubens (Luca Ward, "Buona giornata"), uomo già sposato che la sfrutta come amante riempiendola delle solite promesse mai mantenute. Tra cambiamenti sofferti e difficili bugie, non solo le tre cavie, ma anche il loro occulto regista arriveranno alla serata finale del giorno di San Valentino con tanti punti di domanda da risolvere.

Si prenda uno dei peggiori cani urlanti di Hollywood, ad esempio Tom Cruise, lo si ponga in uno dei suoi personaggi meno convincenti, ad esempio il T.J. Mackey di "Magnolia", lo si privi di quelle tre o quattro scene in cui il suddetto quadrupede, per qualche miracolo, riesce ad indurre lo spettatore a non recitare il calendario con scopo terapeutico, mischiare e versare freddo: il risultato è Silvio Muccino che spara una serie di fesserie motivazionali (già fastidiose per definizione, a prescindere da chi le dice), in un film che alla pellicola di Paul Thomas Anderson non può nemmeno avvicinarsi nemmeno negli scaffali puzzolenti di qualche videoteca di San Basilio (nota zona dell'entroterra romano non propriamente definibile di élite).

Ora si prenda un giovane attore, incapace al limite dell'irritante, messo nel "giro che conta" solo in quanto fratello di un riconosciuto regista, che però, si badi bene, è uno dei più sopravvalutati, supponenti e inutili direttori che la storia del cinema ricordi, e che è stato messo a sua volta nel grande giro in virtù di... va beh, si prosegua per amor di cronaca. Si ritorni al suddetto giovane attore, lo si convinca di essere anche scrittore nonché sceneggiatore, in modo da potersi creare le battute egli stesso, si completi l'opera convincendolo di poter essere financo regista, mischiare e versare freddo: il risultato, anche in questo meraviglioso cocktail, è Silvio Muccino, che non contento di essere arrivato dove altri meriterebbero, si è messo in testa di dover arrivare ai piani più alti. Per la seconda volta coadiuvato nella stesura da Carla Vangelista (che aveva adattato, tra gli altri, proprio "Magnolia"...), con cui si narrano storie da prima pagina rosa, mette in scena una commedia il cui risultato è imbarazzante.

Ai tempi dei temi del liceo c'era un escamotage sempre valido per cominciare un compito in classe che aveva bisogno del famoso inizio accattivante: la citazione dallo Zanichelli. Si prendeva la parola chiave del titolo, la si cercava nel suddetto vocabolario, e col padre di tutti i copia/incolla era bello e pronto l'incipit. La premiata ditta Muccino/Vangelista opta proprio per l'apertura con la spiegazione della parola "desiderio", alternando le parole alle immagini di un tizio che balla in controluce che potrebbe essere la reincarnazione di Michael Jackson, e invece è solo baby Silvio che ha preso lezioni di ballo da Don Lurio. Dopo una decina di minuti ecco che il protagonista compare in tutto il suo alone di mistero, un'entrata come sarebbe piaciuta a quel gigione di Orson Welles, una sorta di Grande Gatsby, solo che l'attesa non la sentiva nessuno e quello che blatera è, al solito, incomprensibile. E infatti le prime parole di Canton con una delle protagoniste sono semplici esercizi fonetici, e qui forse c'è molta autocitazione, potendo immaginare quanti ne sono stati fatti per eliminare quel lievissimo difetto di pronuncia che aveva reso famoso e spernacchiato il giovin Muccino: la zeppola. Fortuna che, nel delirio collettivo, c'è quel raggio di sole che risponde al nome di Carla Signoris, una boccata d'aria fresca ogni volta che compare sulla scena. Divertente anche il buon Mattioli, nonostante sia sempre uguale a se stesso, e meravigliosa come sempre Nicole Grimaudo, che purtroppo nessun regista ha mai valorizzato come si deve. In una scena da "dominatrix" è vestita in pelle con le scarpe a tacco alto. Ci fosse una mezza scosciata, un'apertura degna di nota, niente, tanto lattice per nulla. E infine buona anche la colonna sonora.

Purtroppo nulla salva questo "Le leggi del desiderio" da buchi di sceneggiatura grandi quanto i wormhole di Nolan. Ad esempio le storie dei tre personaggi terminano a Natale con tutte le loro perplessità e, insolute, vengono riprese a San Valentino per la serata finale. E nel frattempo? Che hanno fatto coi familiari? E nella vita? Soprattutto la storia di Mattioli era di facile sviluppo, come gli viene in mente al regista di portarla insoluta per mesi, risolvendola poi con pochi secondi di girato? Se nei film del fratello il problema è la morale a tutti i costi, le frasi create ad arte per le facili citazioni su facebook, qui è... tutto, perché non c'è nulla, perché va bene la commedia, ma capire ogni soluzione di finale dopo nemmeno dieci minuti è segno che anche un bambino avrebbe potuto scrivere qualcosa di meglio.

Grazie per questi centocinque minuti di poche e scontate risate e tanti sbadigli.

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Recensione a cura di marcoscafu - aggiornata al 27/02/2015 16.40.00

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