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Prima metà del diciannovesimo secolo. Giovane e bellissimo, il principe Ludwig sale al trono di Baviera. L'infelice amore per l'affascinante cugina Elizabeth, e l'altrettanto infausta passione per il geniale compositore Richard Wagner, porteranno il giovane Ludwig ad un lento processo di decadimento fisico e morale. Rinchiuso nei suoi castelli, costruiti sotto sua pressante e febbrile richiesta, trascorrerà gli ultimi anni della sua breve e tormentata esistenza nel più totale isolamento, morbosamente incline ad ogni sorta di piacere, vittima della propria follia degenerativa, spaventato ed attratto dalla perversione del proprio desiderio e dell'annientamento del proprio Io frantumato, mentre il consiglio di corte trama alle sue spalle. Rinchiuso in una clinica psichiatrica, dopo essere stato deposto e dichiarato insano di mente, egli si affogherà nel lago del parco, durante una passeggiata notturna.
Acclamato dalla critica, mai realmente capito ed amato, Ludwig è uno dei massimi capolavori di Visconti. Come in La morte a Venezia, l'apparato filmico è imperneato su quattro elementi portanti: la parabola di decadimento graduale ed inesorabile, che ha il suo apice nella morte del protagonista; il triofalismo scenografico, monumentale e a tratti barocco; una sessualità apertamente perversa e una sensibilità mistica e conturbante, di cui vengono sottolineati i tratti grotteschi e morbosi, che fungono da canali per evidenziare il desiderio acuto di una vitalità e di una passionalità incontenibili e distruttive.
Un magistrale uso della fotografia accompagna ad arte il sottile percorso del protagonista, la sua iniziale bellezza, le sue delusioni, l'insorgere della paranoia, l'ascesa alla follia (ascesa, e non decorso, per Visconti essa è indubbiamente nobilitante, se pur devastante), le sue perversioni, il suo decadimento, e infine la sua morte.
Il simbolismo erotico è incessante e sapientemente disturbante: Ludwig, con il volto gonfio, i denti scoperti e rovinati e la barba incolta, negli ultimi spasimi della sua ferita anima di artista, costringe a sé un giovane attore, applaudito a Monaco per l'abile interpretazione di Romeo nel Romeo e Giulietta di Shakespeare. Lo costringe a recitare notte e giorno, senza tregua, le stesse battute, morbosamente, mentre la sua coscienza si disgrega gradualmente, lasciandolo in uno stato di estasi autisticamente spiritiuale.
In seguito a non implicitati rapporti orgiastici con i suoi scudieri, nelle segrete del castello, la telecamera si sofferma su i sui occhi assenti e contemporaneamente maniacali. La sua disintegrazione è imminente.
Nelle emerge il quadro, fortemente autobiografico, di un uomo privato del proprio sentire, stanco di una vita poco empatica, e immerso in un vortice di decadimento e dissoluzione psichica graduale.
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Recensione a cura di Baba o'Riley - aggiornata al 05/12/2003
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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