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Secondo film a sfondo "antropologico" del regista Giorgio Diritti, già autore del premiato e bellissimo "Il vento fa il suo giro","L'uomo che verrà" è ambientato nei dintorni del Monte Sole, sui colli appenninici vicino Bologna, tra la fine del 1943 e la metà del 1944, all'epoca del famigerato eccidio di Marzabotto.
E' possibile dividere il film in due parti distinte: da un lato l'interesse del regista per la cultura, gli usi e i costumi della popolazione locale, dall'altra l'inquadramento storico.
Diritti parte da un episodio reale (l'occupazione nazi-fascista e le sue tragiche conseguenze) per inserire accanto a personaggi realmente vissuti all'epoca dei fatti altre storie fittizie che sono altrettanto esplicative della situazione.
Accuratissimo, come già nella precedente pellicola, lo studio dei costumi e del dialetto locale. Il regista si serve prevalentemente di gente del luogo, attori non professionisti anche contadini che "recitano" la loro vita, mostrando gli antichi mestieri e parlando.
Accanto a loro due attrici note al pubblico del grande schermo per diverse e interessanti interpretazioni: Maya Sansa e Alba Rohrwacher che, pur non essendo emiliane, hanno recitato eccellentemente in dialetto. Altro volto noto Stefano Bicocchi che ha ormai messo da parte la buffa maschera comica per diventare un valido caratterista.
Il "filo rosso" della storia, inconsapevole testimone di quanto accade e sta per accadere, è la piccola Martina, traumatizzata dalla morte di un fratellino. La bimba non parla ma i suoi occhi e i suoi scritti spiegano più di mille parole.
I nove mesi di gestazione della madre (Maya Sansa) sono seguiti con attenzione da Martina. Il suo sguardo attento si posa sulla quotidianità, i piccoli gesti di ogni giorno comuni ad ogni famiglia contadina: la ritualità del bucato, la macellazione del maiale, i primi amori degli adolescenti della comunità, la benedizione della statua di Gesù Bambino a Natale, la "fatica" di raggiungere la scuola con il mondo circostante coperto di neve e indosso pochi panni che non coprono nemmeno le esili gambette.
Martina riflette con occhio attento e innocente anche su avvenimenti più grandi di lei, che non riesce a comprendere: L'arrivo di una spaurita famigliola di città, i continui forzosi approvvigionamenti della soldataglia tedesca, costituita principalmente da giovani poco più che adolescenti induriti dalla guerra.
Drammatiche e agghiaccianti le scene relative all'eccidio.
Diritti non vuole fare cronaca ma cerca di entrare, di condividere i singoli momenti: scene di gruppo lente, addirittura statiche, e a seguire le inquadrature sui corpi agonizzanti, non solo corpi esanimi ma persone, e su tutti Martina presente e miracolata, riuscita a fuggire ed a prendendosi in carico il fratellino neonato venuto alla luce poche ore prima dell'inizio della strage (accostamento di vita e morte).
Non è più sguardo, testimonianza, ma attrice della sua e dell'altrui vita.
La bambina e la popolazione inerme e innocente sono i simboli della Storia perché i veri eroi non sono i partigiani o i soldati ma chi, giorno per giorno, continuando a vivere faticosamente, si è trovato ad affrontare una situazione ignota e incomprensibile, nascendo, vivendo ,morendo, testimoniando.
Imperdibile.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 07/09/2010 15.11.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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