Recensione l'uomo nell'ombra regia di Roman Polanski Germania, USA 2010
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Recensione l'uomo nell'ombra (2010)

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Migliore regiaMigliore sceneggiatura non originaleMiglior montaggioMiglior colonna sonora
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locandina del film L'UOMO NELL'OMBRA

Immagine tratta dal film L'UOMO NELL'OMBRA

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Prima di essere stato chiamato a fare i conti con i fantasmi del suo passato, il regista Roman Polanski ha fatto in tempo a dirigere questo suo nuovo e forse ultimo film, "L'uomo nell'ombra", un thriller fantapolitico totalmente e compiutamente polanskiano fin dalla prima inquadratura: complesso, teso, claustrofobico, paranoico, dalle atmosfere inquietanti e il ritmo serrato. Un po' come tutta la sua vita: dall'infanzia pervasa dagli incubi nazisti, alla giovinezza segnata dalla tragedia della bellissima moglie in attesa di un bambino, massacrata dal folle capo di una setta satanica; dalla maturità macchiata dall'accusa di violenza sessuale nei confronti di una minorenne fino all'arresto, arrivato inaspettato lo scorso settembre nell'aeroporto di Zurigo, 32 anni dopo quella terribile accusa che lo ha portato a fuggire il più lontano possibile dall'America, un po' ovunque, fino in Francia, dove ha ritrovato le sue lontane radici e un nuovo amore che ha lenito i suoi incubi e che adesso lo assiste nella prigionia dorata del suo chalet sulle montagne elvetiche (dove è detenuto agli arresti domiciliari), forse una ritorsione per questa denuncia sui crimini di Stato.
Ed è in Francia che Polanski ha ritrovato la voglia di vivere e a liberarsi dalle ossessioni e dalle paranoie della sua vita, riversandole nei suoi film, dal cupissimo "Chinatown" all'angosciante "Rosemary's Baby", fino quell'affresco insuperato sulla barbarie nazista di "Il pianista".

Ma è con L'uomo nell'ombra che Polanski, dopo un ventennio, torna ad occuparsi in maniera evidente ed efficace, di temi legati alla contemporaneità, quali i loschi affari della politica e la fine delle ideologie, sostituiti dalla forza dei media con la loro capacità di manipolare la realtà e condizionare scelte e comportamenti.

È questa la caratteristica della filmografia di Roman Polaski: un cinema complesso e diseguale, capace di grandi picchi e di inspiegabili cadute, mai uguale a se stesso, che si intreccia e si dispiega con la sua vita, in cui il filo conduttore si dipana insieme al motivo ricorrente della solitudine dei protagonisti. Come quella che avvolge il ghost writer di "L'uomo nell'ombra": un uomo qualunque la cui pacata quotidianità viene sconvolta dalle macchinazioni della politica, dalle ostilità della natura, dalla paura e dall'angoscia.

A lui, scrittore fantasma, viene offerta l'opportunità di continuare a scrivere le memorie biografiche dell'ex primo ministro britannico, Adam Lang, interrotte a causa della misteriosa morte del predecessore, deceduto in seguito alla caduta (non si sa quanto accidentale) da un traghetto, in circostanze rimaste tuttora oscure.
Sembra l'occasione della sua vita (almeno così gli assicura il suo agente), anche se il progetto pare frutto della maledizione che ha colpito il predecessore.
Allettato dal "quarto di milione" che gli viene offerto, lo scrittore fantasma (non ne sapremo mai il nome nel corso dell'intero film) si imbarca, in pieno inverno, alla volta di un non luogo, una sperduta isola al largo delle coste americane dell'Atlantico, dove l'ex Premier risiede, quasi in esilio, in compagnia della bellissima moglie, Ruth, e della segretaria/amante, Amelia.
Appena messo piede nella lussuosa e tetra residenza americana e aver ricevuto in consegna, dalla segretaria, la bozza originale delle memorie, da lei gelosamente custodite, il ghost writer finisce, pian piano, con lo scoprire ciò che non avrebbe dovuto scoprire e capisce che l'uomo politico e il suo staff (moglie e segretaria comprese) hanno parecchi scheletri nell'armadio (costituiti da intrighi, segreti, scandali politici, tradimenti e ovviamente i servizi segreti, onnipresenti, complottisti, manipolatori anche a costo di lasciarsi dietro una lunga scia di cadaveri), e di essersi così cacciato in una situazione estremamente pericolosa, dalla quale farà bene a guardarsi se non vuol correre il rischio di finire nello stesso ingranaggio che ha già stritolato il suo predecessore.
La situazione si fa insostenibile quando un ministro del Governo britannico accusa pubblicamente Lang di essersi "venduto" agli americani e di aver, nel corso del suo mandato, autorizzato illegalmente la cattura in Pakistan di sospetti terroristi e di averli consegnati alle torture della CIA. Uno scandalo di proporzioni enormi che porta sull'isola giornalisti e pacifisti che intralciano il lavoro dello scrittore e lo portano a rinchiudersi nella lussuosa residenza, insieme al manoscritto del predecessore, in cui non tarda a scoprire oscuri e scottanti segreti che riguardano l'uomo politico, e probabilmente il movente che lo ha portato alla morte e che ora rischia di mettere a repentaglio la sua stessa vita. In un epilogo bellissimo e a sorpresa, ma anche enigmatico e criptico, in cui nulla è come sembra e la verità è un anagramma indecifrabile.

Roman Polanski ha girato un thriller intenso e inquietante nel suo rileggere l'attualità e gli intrighi dei potenti, che deve molto dei classici del genere, senza per questo rinunciare a una sua personale originalità, che si evidenzia nel sarcastico uso di un sense of humour sapientemente dosato, assolutamente non consueto nella cinematografia noir, eccezion fatta per quella hitchockiana, a cui la pellicola apertamente si ispira nei meccanismi narrativi e negli stilemi visivi.
L'astrattismo geografico, quasi fantastico, contribuisce a rendere la storia un dramma sfuggente e ambiguo, per raccontare il grande tema contemporaneo della condizione umana che ha attraversato tutto lo spettro della possibile immoralità.

Il film pur essendo molto aderente al libro da cui è tratto ("Il Ghost Writer" di Robert Harris, ex giornalista della Bbc ed ex grande amico e collaboratore di Tony e Cherie Blair, che ora non gli rivolgono più la parola, sulla cui falsariga pare abbia costruito le figure dei coniugi Lang) mescola sapientemente gli elementi del thriller e la tensione specifica del genere spy-story, coinvolgendo lo spettatore nella psicologia che anima il protagonista e lo porta a vivere con lui il senso di spaesamento, di paura, di isolamento e mistero, in un percorso dark che lo accompagna per tutta la durata del film e lo porta a percepire ma non a decifrare il pericolo cui sta andando incontro a mano a mano che si svelano segreti top secret, che ambizioni umane e cinismo politico cercano di proteggere e tenere nascosti.
Ma le cose che colpiscono maggiormente sono la forza comunicativa delle inquadrature, in perfetto stile polanskiano, che connotano il film attraverso immagini "sporche", oltre ad una luce costantemente funerea che ci fa dubitare di tutto e trasmette inquietudine e disagio: sensazioni che si sedimentano nella memoria e contribuiscono a creare quel clima di suspense paranoica e avvincente, senza peraltro far ricorso a clamorosi colpi di scena o ad effetti eccessivamente efferati e violenti.

Per questo "L'uomo nell'ombra" rimane un thriller politico atipico e inconsueto, che fonda il suo coinvolgimento in poche ma precisi elementi, come quella straordinaria villa postmoderna in riva all'oceano burrascoso dove si è rifugiato l'ex premier mentre è indagato per presunti crimini di guerra; quell'inizio intriso di mistero e quel cadavere affiorante sulla spiaggia dell'isola, battuta dal vento; e poi la solitudine interiore che avvolge lo scrittore fin dal suo arrivo sull'isola, sottolineata dalla impudente consapevolezza che la storia la scrive chi riesce a restare vivo, ma che l'impresa si fa sempre più del pericolosa a mano a mano che la sua sete di verità lo avvicina al muro di bugie, all'ombra del quale si è scritta la storia più recente del proprio paese, impegnato insieme agli altri "paesi volenterosi" (come li chiamava Bush jr.) ad esportare la democrazia con la potenza delle armi e la forza dell'inganno.

Troppo facile pensare all'ex premier laburista per il personaggio di Lang, e alla sua parabola politica, cominciata sotto il segno della speranza di cambiamento, che il suo paese aspettava dopo 18 anni di governi conservatori, e conclusa con l'ingiuria di essersi venduto a Bush, quando decise di appoggiare incondizionatamente la "sua" guerra all'Iraq, adducendo come scusa che là si nascondevano armi di distruzione di massa.

Ad interpretare il ruolo principale dello scrittore, Polanski ha voluto il sempre più stropicciato Ewan McGregory, sempre molto convincente e poliedrico, in grado di imprimere al suo personaggio quell'aria sperduta e incredula di bravo ragazzo, un po' ingenuo e un po' incosciente, alle prese con un "affaire" più grande di lui, un antieroe intrappolato in una spirale di intrighi e tradimenti, che cercherà di scoprire anche a rischio della sua incolumità personale.
Adam Lang ha il volto raffinato di Pierce Brosnan, un interprete che più invecchia e più diventa bravo, qui alle prese con un ruolo difficile e ambiguo, affascinante e carismatico, affrontato con sicurezza e grande padronanza delle sue capacità espressive.
Nel cast figurano anche Olivia William (bravissima e a suo agio come ex first lady, e Kim Cattral, reduce da "Six Feet Under".
Completano il cast, in ruoli di contorno, Thimoty Hutton, Tom Wilkinson, Eli Wallach e un quasi irriconoscibile James Belushi.

La pellicola di Polanski che ha vinto l'Orso d'argento per la miglior regia (premio che l'autore di "Frantic" non ha potuto ritirare personalmente, a causa delle note vicende giudiziarie che l'hanno colpito) a Berlino 2010, contiene un finale da non perdere assolutamente, e offre un'istantanea della società di oggi, dove riaffiorano vecchie paure e mondi piene di ombre.
Un po' come tutta la sua vita.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 14/04/2010

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