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Shangai, 1942: durante l'Occupazione Giapponese, una giovane universitaria, Wang Chiah-Chih, lavora in una Compagnia Teatrale con alcuni studenti alleati nella Resistenza, allo scopo di convincere gli spettatori, o meglio la cittadinanza, della necessità di stanare i collaborazionisti, ritrovando l'orgoglio ed il coraggio perduti.
Durante uno spettacolo di un certo rigore ideologico, la folla in toto esulta e grida "La Cina non cadrà", preannunciando quanto le intenzioni di catturare il popolo siano state giustificate e accolte positivamente.
La ragazza cambia identità con il preciso scopo di conoscere e imbrogliare il temuto Mr.Yee, un cinese collaborazionista dei Servizi Segreti.
Entra perciò, con un altro nome, in contatto con un gruppo di signore borghesi (dove gioca spesso a "Mahjongg") fra cui la moglie di Mr. Yee (il carismatico Tony Leung Chiu Wai) informando i "compagni" di ogni sua mossa. Il gioco diventa pericoloso nel momento in cui l'uomo, che non le è mai stato indifferente, finisce per innamorarsi di lei, arrivando anche a pagare un anello in una gioielleria dove la donna doveva "misteriosamente consegnare una lettera a suo nome".
Nonostante il (contestatissimo) Leone d'Oro a Venezia, il cinema orientale non sta vivendo un momento del tutto positivo: è in questa fase di transizione che continuiamo a leggere critiche sulla vena perduta di Wong Kar-Wai (di cui Leung è, come molti sanno, attore- feticcio) e Kim-Ki-Duk.
Al Festival di Venezia si sono viste opere dispersive e pretenziose (come il nuovo film di Jiang Wen) ma soprattutto prive di personalità. Anche un eccellente prodotto come "Tiantang kou" ("Blood Brothers") di Alexi Tan, sceneggiato da John Woo, alla fine è soprattutto un omaggio al cinema occidentale di Leone o Scorsese.
La sensazione è stata di aver assistito di recente (a parte il formidabile approccio documentaristico di Zhang-kè) a una transizione in cui il cinema cinese, giapponese e coreano rischiano di spersonalizzare la propria cultura.
Probabilmente è lo stesso problema che ha diviso gli addetti ai lavori davanti all'ultimo film di Ang Lee, tratto dal romanzo della scrittrice Eileen Chang (in Italia meglio conosciuta come Zhang Ailing) e sceneggiato da quel James Schames già produttore e autore del soggetto de "I segreti di Brokeback Mountain".
"Lust, caution", che sta per "lussuria e cautela", due opposti antitetici ma efficaci all'intreccio del film, sembra un tipico prodotto da esportazione, un sontuoso affresco storico-ideologico sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale, un colossale melò da "amour fou", come direbbero i francesi, che di orientale conserva soprattutto la Storia.
A ragione di ciò, è eloquente che la protagonista del film vada al cinema per commuoversi davanti ai classici film americani, come "Casablanca" di Curtiz o "Il sospetto" di Hitchcock.
Lo stesso script di "Lust, caution" sembra uno strano melange tra il "Black book" di Verhoeven e il celeberrimo "Notorius" di Hitchcock, senza dimenticare il glamour fascinoso di Tony Leung che, brillantina nei capelli e volto da seduttore, sembra riprodurre i tic e le movenze (quando si accende l'ennesima sigaretta, per esempio) di Bogart o di John Garfield.
Arriva dopo due soli anni, quindi, un nuovo Leone d'Oro ad Ang Lee, contestato dai più ma decisamente funzionale ai fini commerciali di un'opera che, pur accontentando una vasta fetta di spettatori, ambisce a qualcosa di più.
I toni enfatici, ma anche lo stile freddo con cui il regista racconta le vicissitudini della protagonista (una notevole Tang Wei, attrice di teatro esordiente al cinema) e il suo ruolo non facile, riscattano il proverbiale dissenso anche di chi non ha mai amato completamente "I segreti di Brokeback Mountain" e il suo moralismo, e nel confronto "impossibile" tra i due film "Lust, caution" è indubbiamente più curato e maturo.
E' facile, dunque, obiettare che questo film non è un capolavoro (ma nessuno lo pensa), ma non si può non riconoscere la capacità del cineasta orientale di aver assimilato la lezione del melodramma americano più classico, senza tuttavia inserire una direzione più personale e interiore al modulo espressivo e narrativo della vicenda.
Il film, tuttavia, alterna momenti di grande cinema ad altri che, purtroppo, si perdono in un oceano di buone intenzioni: tra questi ultimi, la sequenza del teatro, in cui tutti gli spettatori urlano in coro "La Cina non cadrà", sarebbe dovuta essere epica ma risulta soltanto enfatica e magniloquente.
Non convince poi l'uso delle musiche, mediante il quale l'ennesimo melodramma ("Casta Diva") diventa un inutile e forse abusato pretesto per inasprire i toni drammatici (in stile "The Untouchables" di De Palma).
Ma, appena spenta l'eco del clamore suscitato a Venezia (a cominciare dallo "scandalo annunciato" per alcune scene hard), bisogna riconoscere a "Lust, caution", fin dal titolo, una maturità emotiva, una direzione degli attori, una ricostruzione ambientale e temporale davvero notevoli.
Memorabili, anche se francamente un po' tediosi, i lunghi momenti dedicati al mahjongg, con una descrizione forse patinata ma sincera di certi ambienti borghesi della Cina degli anni Quaranta, e straordinaria soprattutto la sequenza in cui Tang Wei attende invano Tony Leung al bar, in un processo di decodifazione e confusione delle sue stesse scelte. Altrettanto efficace l'assassinio di un collaborazionista, scena di rara violenza che richiama indirettamente ai delitto di Quadri ne "Il conformista" di Bertolucci.
Perno della vicenda è una storia d'amore apparentemente convenzionale, ma descritta con un pathos coinvolgente che mette indubbiamente in moto la sua stessa evidente ambiguità: Mr. Yee è ora un gentlemen ora un assassino, ora un marito modello ("Quello che piace a me non piace a mia moglie"), ora un amante appassionato e un adultero.
La stessa Wang Chiau-Chih, quando si abbandona alle passioni, non riesce a empatizzare con le sue scelte, e diventa preda e predatrice di un uomo che ama, benchè sia consapevole di poter essere la fautrice della sua morte.
Benchè ampiamente legato a una tipologia di cinema classico, "Lust, caution" verrà ricordato per alcune bollenti scene osè in cui l'eros dei due "amanti" non è affatto antitetico, se non formalmente, rispetto all'ambiguità della vicenda.
In un film che si fonda sullo smascheramento e sul doppiogiochismo, sulla verità e le bugie, la sessualità, mai gioiosa ma spesso "espiazione e redenzione" di un fortissimo potere inconscio, diventa il pretesto per un'ennesima esibizione del potere sessuale come sfera di razionalizzazione individuale.
In conclusione, al di là delle polemiche e delle facili strumentalizzazioni su un film tanto acclamato e (forse) odiato, "Lust, caution" resta un'ottima prova autoriale, sicuramente non determinante per il cinema cinese, ma indicativa di un autore prolifico e talvolta sorprendente come Ang Lee, il cui maggior difetto è di essere alquanto ingessato e monolitico: ma quando Mr. Yee cova il sospetto e riesce miracolosamente a sopravvivere a una trappola, quando è costretto a cedere alla ragione e non ai sentimenti, l'emozione dello spettatore prende il sopravvento.
E questo non è necessariamente un male.
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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 12/09/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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