Recensione martin regia di George A. Romero USA 1978
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Recensione martin (1978)

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locandina del film MARTIN

Immagine tratta dal film MARTIN

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Il bel diciassettenne Martin (John Amplas), dopo il suicidio della madre Elena, va ad abitare presso il prozio Cuda (Lincoln Maazel), un negoziante di alimentari di Pittsburgh, sobborgo di Braddock in Pennsylvania.
Cuda è un uomo anziano, cattolico, fanatico e superstizioso che considera il nipote un vampiro, un posseduto dal demonio, un nosferatu (non morto) nato nel 1892 proprio in Transilvania come il primo Dracula della letteratura.

Martin, nonostante la sua straordinaria lucidità mentale che lo porta a muoversi tra la gente in modo scaltro, è in realtà un malato psichico, uno psicopatico necrofilo, i cui disturbi, già presenti nell'infanzia, anziché essere stati analizzati e curati da qualche psichiatra esperto, sono divenuti oggetto del più bieco e folle fanatismo religioso.

Cuda avvisa Martin, o meglio avverte l'alter ego del ragazzo (quella parte di lui che il prozio ritiene posseduta dal demonio), che in casa sua non avrà scampo: o si redime da un passato omicida convertendosi integralmente all'etica del cattolicesimo o, per il bene della sua anima, verrà annientato, distrutto per sempre come si fa tradizionalmente con i vampiri della letteratura classica.

Martin si ritiene solo un malato psichico, ma a nulla varranno le sue sensate e razionali difese dalle accuse di Cuda che lo porteranno a dimostrare tenacemente, con insistenza, come sia l'aglio che la croce su di lui non abbiano alcun effetto.
Martin seda le donne che lo colpiscono visivamente per qualche misteriosa particolarità estetica, lo fa con una siringa contenente della droga. Una volta addormentatele taglia loro i polsi con una lametta da barba, bevendone poi il sangue.

Quando a Pittsburgh, con una donna sposata, il ragazzo scopre la bellezza dell'erotismo e del piacevole dialogo post-orgasmo, avvengono in lui degli importanti cambiamenti contraddistinti da nuovi pensieri che sembrano preannunciare un miglioramento della sua malattia psichica.
Questo avviene nonostante Martin continui a provare oscuri desideri di morte verso le donne tra le quali però, quasi a sorpresa, non riesce più a trovare volti che destino in lui pulsioni omicide.

Ma l'amante di Martin, promotrice del suo cambiamento, è affetta da una grave forma di depressione e un giorno si uccide mettendo nei guai il ragazzo, che diventa per il prozio Cuda il principale indiziato della morte della donna.
Riuscirà Martin, nonostante le nuove complicazioni della sua vita, a sfuggire al potere dispotico del prozio e a trovare una via di salvezza dal suo male psichico?

La prima parte del film è la più sconvolgente e terrorizzante, paurosa perché priva di quelle mezze tinte cromatiche, luminose, capaci di distrarre la vista e diluire le apprensioni visive per i dettagli di un omicidio in corso. E' una prima parte assente di ogni dettaglio ironico e si svolge in una cuccetta di un convoglio ferroviario, occupata da una ragazza che aveva colpito in precedenza Martin per lo stile riservato e la sua morbida e soave bellezza.
Sul treno che porta Martin dal suo prozio Cuda il ragazzo assale con una siringa la ragazza ingaggiando una lunga lotta, corpo a corpo e, dopo aver avuto la meglio su di lei, Martin addormenta la vittima e la uccide, bevendone il sangue dai polsi tagliati.

Questa prima parte della pellicola è in netto contrasto stilistico con il resto del film perché, usando un gergo cinematografico, è come se telefonasse a vuoto preannunciando - malgrado la bravura di Romero e paradossalmente proprio in virtù di una sua estrema cura nella composizione - forme espressive per il futuro immediato della narrazione che non avverranno.
Nel seguito della narrazione prevarranno infatti aspetti ironici e di costume, con tratti anche farseschi, come quando Martin spaventa a morte il prozio mascherato da vampiro o quando il ragazzo anticipa, nelle intenzioni, le mosse della prima amante della sua vita dicendole di aver capito da alcuni dettagli che voleva fare sesso.

Il film oscilla fastidiosamente tra il serioso e il beffardo, tra il grave e il sarcastico, ma tutto sommato si salva, piace, impressiona soprattutto per i contenuti, come accade raramente nel cinema, che sono di per sé di forte impatto visivo-inconscio ed emozionale.
Nel complesso il film, nonostante lo scarso successo di pubblico, è da considerare un apprezzabile film horror che brilla per originalità sopratutto perché in esso, a differenza di altri, tutto è realistico: soggetto e fenomeni psichici, quest'ultimi facilmente riconoscibili, identificabili tramite il tradizionale vocabolario psichiatrico di turno, edizioni fine anni '70.

Romero è molto bravo principalmente nel riuscire a fare a meno, senza indebolire la qualità del film, di certi modelli horror alquanto frusti, tipici degli anni '70, che consentivano, usando tradizionali cliché, un incasso sicuro, senza infamia e senza lode, con un livello professionale del cast non necessariamente alto, anzi spesso medio basso.

Romero con questa sua opera, da grande autore qual è, improvvisamente cambia tutto, sia lo stile espressivo sia quei contenuti simbolici che erano divenuti esemplari; modifica quasi tutte le forme proprie dei suoi film, calandosi in una realtà più palpabile che dimostra quanto questo brillante autore sia anche un artista molto versatile, creativo, anticonformista, non influenzabile dalla mediocrità dell'industria cinematografica media.

Ma il film non è imparziale, vuole colpire, provocare qualcosa o qualcuno che è all'esterno dell'opera, in virtù di un'autorità di Romero conquistata a fatica grazie alla sua scaltrezza critica e alla bravura tecnica; il regista lancia una provocazione intelligente che è ben presente nel film ma in una sorta di messaggio criptato, leggibile solo tra le righe della narrazione, e con il quale attraverso i suoi contenuti sembra proprio che Romero voglia sminuire, snobbare il successo tuttora vigente, nell'immaginario collettivo, del fantasioso vampiresco, quello legato in qualche modo alla letteratura, o alle fiction di altri mezzi espressivi, già allora in voga, che mettevano al centro del racconto il surreale della figura del vampiro, dolcificandola di modernità ma senza variare le più comuni tematiche mitiche in gioco che rimanevano fisse, diventando col tempo stereotipate, prevedibili, noiose.

In questo film l'irrazionale, l'irreale, incarnati in figure torve e rivestite di poteri sopranaturali - per alcuni considerate addirittura forme carnali vicine al mondo demoniaco - a differenza delle pellicole precedenti non sono protagonisti della narrazione, non sono verità possibili, oscure, macerate da ossessioni nevrotiche, produzioni fantasmagoriche dell'inconscio, ma semplici equivoci, esteriorità filosofiche e poetiche rivestite di delirio, debolezze della fantasia malata di angosce da traumi, frutti di malattie psichiche gravi tra le quali vanno riconosciute anche quelle a carattere nevrotico di tipo religioso a sfondo ossessivo, di cui nonostante l'apparente normalità era affetto l'anziano Cuda.

Romero non finisce di sorprenderci quando in questo film sospende ogni forma letteraria per mettere l'accento sulla questione psichiatrica che sta dietro a molti casi di omicidi a sfondo sintomatico, vampiresco e necrofilo.

Il famoso regista fa spettacolo con il gioco delle verità negative più palesi, studiandole nella fase più critica, quando vengono occultate dal pudore e dalla vergogna, dal pregiudizio della gente comune e dagli odi tra famiglie, proponendo per certi disagi psichici delle sue diagnosi analitiche precise, a volte acute, comunque sempre ben dettagliate che, nonostante la brevità espressiva del mezzo filmico, riescono lo stesso a coinvolgere gli spettatori suscitando interrogativi e domande riverberate dalla realtà, da un vero proposto da Romero con arguzia, ben riconoscibile, per certi aspetti, dagli stessi spettatori come proprio, perché molto comune, quasi familiare, che non appare mai straniante neanche quando è dominato da classi sociali diverse perché esse si muovono insieme, quasi riconciliate dalla comune asprezza della vita e dal bisogno di solidarietà, interagendo tra loro anche nella ricerca del piacere più spicciolo, occasionale, lungo una rinuncia, forse un po' provinciale, a emozioni finemente ricercate, raffinate.
Sono scenari sempre ben accompagnati da uno sfondo ben curato, interessante, levigato, rappresentato da un mondo del lavoro semplice e artigianale che dà ai personaggi del film aspetti psicologici subdoli, capaci di sequestrare alla vista per lunghi periodi la follia più profonda che racchiudono.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 20/10/2010 11.18.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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