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"Ognuno porta il suo Anchise sulle spalle" diceva sempre un caro amico, che mi leggerà lusingandosi per la espressa citazione (ciao, Angelo!).
In effetti non è facile liberarsi dai vincoli delle nostre origini, cui dobbiamo sì certe nostre fortune, ma pure un pesante fardello per l'intera esistenza. E questo vale non solo per i destini degli individui, ma pure a livello di paesi, nazioni, popoli, società e culture, vastamente intese. Da cui l'imprescindibile connotazione "originaria" anche dell'opera d'arte, che vive bensì all'interno di un autore come identità aliena, "altra da lui", (come avviene nelle psicosi), ma che non può non risentire dei condizionamenti culturali di base.
La premessa per introdurci all'esame non solo e non tanto di "Million Dollar Baby", quanto invece al personaggio Clint Eastwood nel suo complesso, che amo da sempre, per due motivi antitetici: da un canto l'aria maschia e fiera del cow-boy del western amato nell'infanzia, novello Gary Cooper, duro ma buono. Dall'altro, per il fatto di aver saputo riscattarsi da questo personaggio di maniera passando personalmente alla regia con vicende reali, e storie drammatiche, fortemente introspettive: meno inseguimenti in auto... e più psicologia! Tali meriti vanno indubbiamente riconosciuti anche al film in oggetto, Million Dollar Baby, osannato da tutta la critica come un vero capolavoro. E in effetti il delineare crudamente il destino di individui vessati dal caso, eternamente perdenti, rende la storia drammaticamente credibile, come pure l'amicizia tra Clint e il nero semicieco, cementata dalla pluriennale frequentazione e costellata di tragici eventi. Lo stesso, ancor più, va detto del personaggio femminile, astro nascente della box muliebre, novella Diana del mito, che cerca attraverso uno sport disumano il riscatto improbabile da tristi destini personali.
Ciò detto, però, torneremmo a quanto detto in apertura sui condizionamenti originari.
Abbiamo l'impressione che, per quanto diverso e alternativo, neppure il magnifico Clint possa liberarsi davvero della sua eredità genetica; c'è nel DNA degli americani un gusto imprescindibile per il mito del successo e per la violenza-spettacolo, cui il regista fa sempre ricorso, fin dalla scelta del soggetto. La box è spettacolo crudele, che forse ai nostri figli sarà giustamente interdetto; eppure, guarda caso, qui viene declinato addirittura al femminile e con crudele compiacimento (come peraltro succede nell'America di tutti i giorni... e le vicende irachene confermano). Altrettanto potrebbe dirsi di certi personaggi di contorno, come la famiglia vampiresca della giovane pugilatrice, i manager opportunisti e spietati, il pubblico assetato di sangue o il giovane border-line in preda a sogni schizoidi di successo.
Tinte forse troppo forti, se pur controbilanciate da scelte tematiche credibili e profonde.
Punti vincenti del film sono in effetti la velata storia d'amore tra la giovane pugile e l'anziano maestro, imperniata sui canoni più classici dell'Edipo, a compensazione, per lui, del mancato amore della figlia di sangue, e, per lei, del vuoto lasciatole dalla morte del padre naturale; e, secondo elemento di fondo, la spinosa questione della scelta di una morte dolce, per la giovane, paralizzata ed amputata. Grandi temi, quelli della eutanasia e dell'amore edipico, trattati entrambi con una estrema delicatezza di tocco, nel più poetico e sfumato dei modi, con accenti davvero commoventi. Di qui, forse, deriva il favore incondizionato di pubblico e critica verso il film; secondo me eccessivo, perché i giudizi pilotati dall'emotività, senza il supporto di analisi più ragionate e riflessive, rischiano di penalizzare gli effettivi valori estetici di un'opera, laddove dovrebbe prevalere un giusto mix di forma e sostanza, ragione e sentimento.
Ciò malgrado il film ha diversi aspetti pregevoli, e, in primis, una performance eccezionale: la superba e incomparabile interpretazione di Hilary Swank, nella parte della sfortunata campionessa.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 21/02/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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