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Il sublime e il ridicolo: il senso della vita.
Uno degli episodi più esilaranti del film dei Monty Python ha luogo nell'appartamento di una coppia. Due uomini che si occupano di "trapianti di organi" suonano il campanello e chiedono il fegato del marito. Il poveretto fa resistenza, essi hanno diritto a prelevargli il fegato solo se muore e quindi vorrebbero farlo schiattare, adducendo come giustificazione che se gli asportassero il fegato da vivo probabilmente egli non sopravvivrebbe ugualmente. Cogliendolo in un attimo di smarrimento, lo accoppano e si mettono al lavoro, strappando organi sanguinolenti dalle viscere della vittima. La moglie non può sopportare la vista di tutto ciò e lascia la stanza per recarsi in cucina; uno degli uomini la segue e chiede anche a lei il fegato. Lei si rifiuta, tuttavia un tizio esce dal frigorifero della signora e la conduce fuori dalla cucina, in una passeggiata surreale per l'Universo, mostrandole l'immensità dello stesso e il danzare ritmico dei pianeti tra loro. Di fronte a cotanta meraviglia la meschina si rende conto di quanto sia piccolo e insignificante il suo fegato e acconsente a donarlo, facendoselo asportare da viva.
Questa scena non è forse letteralmente kantiana?
Non evoca forse l'idea kantiana del sublime, che mette in rilievo come la "vista di un insieme innumerabile di mondi annienta, per così dire, la mia importanza di creatura animale, che dovrà restituire la materia di cui è fatta al pianeta (un semplice punto nell'universo), dopo essere stata dotata per breve tempo di forza vitale" (Kant 1788)?
Il sentimento del sublime sembra sorgere dalla distanza tra la nullità dell'uomo, come essere naturale, e l'infinito potere della sua dimensione spirituale.
In un altro episodio de "Il senso della vita" dei Monty Python sull'educazione sessuale, l'insegnante chiede agli alunni come stimolare la vagina; colti nella loro ignoranza, gli imbarazzati alunni evitano lo sguardo dell'insegnante e farfugliano mezze risposte, mentre egli li sgrida severamente per non essersi esercitati sull'argomento a casa. Con l'assistenza di sua moglie allora mostra loro come il pene penetra la vagina; annoiato dall' argomento uno degli scolari getta un'occhiata furtiva fuori dalla finestra, e l'insegnante gli domanda sarcasticamente: "Vuoi essere così gentile da dirci cosa c'è di così affascinante giù in cortile?"... L'interrogazione da parte dell'insegnante dei disinteressati ragazzi è così irreale proprio per il fatto che mostra, alla luce del sole, la verità dello stato delle cose: il godimento non è un'immediata condizione spontanea, ma è sostenuto da un imperativo categorico: "Godi!".
Per essere chiari il modo più conciso per rendere questo paradosso è l'imperativo: "Ti piaccia o no, divertiti!". In vacanza, ad esempio, è abbastanza comune sentire l'obbligo di divertirsi (pensate solo un attimo alle 'noiosissime' notti di Capodanno): "bisogna divertirsi" ci si sente in colpa se non ci si diverte.
Negli USA questo obbligo sembra elevato a quotidiano dovere patriottico e come ebbe a dire un consigliere della Casa Bianca: "Non essere felici oggi è anti-americano". I giapponesi, forse, hanno trovato una singolare via di uscita da questo vicolo cieco: essi si confrontano coraggiosamente con il paradosso organizzando direttamente il "divertimento" come parte del proprio dovere quotidiano, così che, quando il divertimento ufficiale organizzato è finito, si è dispensati dal proprio dovere e si è liberi di divertirsi davvero, di rilassarsi sul serio e di godersela.
L'ideale sarebbe allora quello di una prostituzione perfetta, in cui il soddisfacimento sessuale e gli affari coincidessero in modo assoluto: facendolo per soldi (in modo totalmente esteriore, senza essere coinvolti soggettivamente) compio il mio dovere di divertirmi. Finita la 'dura' giornata lavorativa sarò finalmente veramente libero, sgravato dalla pressione di guadagnare denaro per la mia sussistenza.
Il gesto di portare alla luce questo paradosso del godimento basato sull'imperativo superegoico, per cui la libertà non è libertà 'di' divertirsi ma libertà 'dal' divertirsi, è ciò che ci permette di inserire i Monty Python nella serie di autori "iperconformisti". Essi sovvertono l'ideologia dominante, prendendola più alla lettera di quanto essa stessa sia pronta a fare, procurano allo spettatore quello stato di eccitazione tutta mentale legata alla visione di un prodotto, al tempo stesso, sublime e ridicolo.
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Recensione a cura di maremare - aggiornata al 27/10/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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