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Darren Aronofsky, regista newyorkese classe 1969, dopo aver diretto con successo alcuni film come "The Wrestler" e "Il Cigno Nero", ottenendo un discreto seguito da parte della critica, si butta a capofitto in un'impresa che assomiglia più ad una montagna da scalare senza protezioni: costruire sulla storia biblica di Noè un kolossal holliwoodiano. Dare vita ad una storia di cui la Genesi da voce solo per poche pagine (dal capitolo cinque al nove) fornendo pochissimi spunti descrittivi e narrativi non è certo impresa semplice, oltretutto se quello che ne esce fuori è un film della durata che supera le 2 ore. Se in più si ci aggiunge il peso dell'argomento trattato dal punto di vista teologico e le conseguenze di rendere commerciale ed accessibile a tutti una storia del genere, difficilmente se ne esce fuori senza avere le ossa rotte.
Provateci voi a mettere d'accordo credenti, praticanti, atei, indecisi in un colpo solo. E forse questa risulta essere l'unica giustificazione, non da poco, alle tante scelte intraprese dal regista più, o meno, discutibili.
Quindi cosa ne esce fuori?
Beh, il tentativo nemmeno troppo nascosto di fare un film "per tutti", accomodando ogni particolare all'interpretazione personale del regista, evidentemente pervasa da un estro smodato e molto spesso eccessivo.
Il primo aspetto che salta all'occhio è sicuramente il mondo su cui Aronofsky poggia l'intera vicenda. Si ha subito l'impressione di essere catapultati nel "Signore degli Anelli", piuttosto che in un contesto biblico.
Dopo la narrazione del mito della creazione, ci ritroviamo in una terra in cui i discendenti di Caino hanno prosperato costruendo città con alcune tecnologie basate su metalli e una pietra speciale chiamata Zohar e, col tempo, saccheggiato il pianeta, rovinandolo. Contrariamente, i discendenti di Seth hanno sempre vissuto rispettando ogni cosa messa al mondo dal "Creatore" (è così che viene appellato Dio per tutta la durata del film) mangiando bacche e vegetali, senza strappare nemmeno un fiore dalla terra, atto considerato quasi come un peccato.
E già qui Aronofsky dà una risposta personale sicuramente originale a chi si domandasse dove saltasse fuori la moda dei vegani.
La storia vera e propria inizia con un Noah bambino, che vaga per le terre selvagge insieme al padre. Accade così che il piccolo assiste all'uccisione dello stesso padre da parte dei discendenti di Caino, padre il quale aveva appena cercato di salvare un cane con le squame corazzate (ma c'era davvero bisogno?!). La ripresa continua con Noah,ormai adulto, che vaga per le stesse terre con la famiglia, cercando di sopravvivere alla violenza e alla follia che li circonda. Il quadro fantasy prende sempre più il piede durante la storia e si deve addirittura accettare il fatto che esistessero angeli, "i Vigilanti", che per punizione divina vengono imprigionati dal Creatore in colossi di pietra vivente.
Dopo una visione in sogno e la visita al nonno Matusalemme, Noah, aiutato dai Giganti che vedono in lui una scintilla di Adamo, inizia la costruzione dell'Arca per salvare gli animali e la propria famiglia. L'inizio del diluvio coincide con la chiusura del primo atto della narrazione, culminata con una battaglia tra Giganti e discendenti di Caino, che a livello visivo risulta sicuramente spettacolare e che segna in qualche modo la conclusione del filone fantasy della narrazione.
Nella seconda parte del film, infatti, si passa ad un tono drammatico, che risulta in più punti un po' forzato. La narrazione procede molto più lentamente e si raggiungono non poche volte picchi di follia e ossessione. Noah passa da essere il protagonista buono all'antagonista vero e proprio, arrivando al punto di voler uccidere i suoi stessi famigliari per non fare continuare la stirpe umana sulla terra. Il nemico, rappresentato da Tubal, discendente di Caino e omicida del padre di Noah, viene salvato dal secondogenito del protagonista, che lo nasconde sull'Arca. Motivo: organizzare l'omicidio di Noah, colpevole di aver lasciato indietro una ragazza conosciuta poche ore prima. Noah, dopo avere sconfitto Tubal, alla fine si redime guidato dall'amore e si riconcilia con la propria famiglia, iniziando la vita nel nuovo mondo.
L'esperimento di Aronofsky è ardito, il che è l'unica sebbene non indifferente attenuante che gli si può concedere. Dato che nella Genesi non c'è traccia di alcuna introspezione psicologica, Aronofsky fornisce una sua interpretazione personale degli eventi. Da qui i richiami al Peccato Originale, dunque al dualismo dell'uomo internamente diviso tra Bene e Male, che emerge soprattutto proprio in quel momento descritto in precedenza, in cui Noah passa da protagonista ad antagonista. Tutto ciò non riesce però ad evitare la comicità in cui sprofondano molte scene. Il secondogenito in calore che snobba totalmente il diluvio con l'unico pensiero di farsi una ragazza prima della catastrofe, arrivando addirittura al punto da desiderare la morte del padre che glielo impedisce; gli ormoni impazziti che coinvolgono anche gli altri due giovani di famiglia, che rientrano visibilmente soddisfatti dalla scappatella nel bosco; il cattivo che fa breccia nell'Arca sterminando intere razze animali; Matusalemme che sembra un po' il Gandalf della situazione con una fissazione per le bacche; la sbornia colossale di Noah dopo aver risparmiato le due nipoti.
Il montaggio appare spesso frettoloso, le ottime panoramiche dall'alto e la chicca visiva dello sviluppo della Creazione non salvano la situazione a pieno. Gli animali, disegnati totalmente al computer, appaiano fintissimi anche ai più disattenti e alcune scelte alla Peter Jackson servono più a giustificare il budget da 130 milioni piuttosto che a dare un senso alla narrazione. Appare invece ben riuscita la seconda parte, dove il diluvio prende piede e si arriva allo sbarco sulla terra, inscenato nelle terre d'Islanda.
La trama è tenuta in piedi da un cast stellare che non delude le aspettative. Veramente ottimi i due premi oscar Crowe-Connelly, dopo quel capolavoro che è stato "A Beautiful Mind", e la giovane Emma Watson, che conferma il suo grande talento.
In conclusione il mondo messo in piedi da Aronofsky appare scialbo, messo insieme totalmente in funzione di alcuni punti ben focalizzati, su cui il regista vuole esprimersi senza riserva. Emerge un insieme visivo di spunti, idee, intuizioni che partono bene per poi perdersi poco dopo. Eppure, nonostante tutto, il film non risulta totalmente noioso; certo la visione sproporzionata e maniacale del regista americano impregna tutte le 2 ore a livello invasivo e, come citato precedentemente, si fa davvero fatica a passare oltre a determinati punti. Ma sarà per il cast, o forse per il primo tentativo di fare un lavoro del genere, resta il fatto che ne esce fuori un delirio di onnipotenza che vale la pena di visionare almeno una volta.
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Recensione a cura di lastmik - aggiornata al 16/04/2014 15.54.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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