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Il terrore supremo della morte o la più agghiacciante delle sciagure non provocano la stessa disperazione che deriva dalla perdita d'identità, dalla consapevolezza di esistere e tuttavia far parte del regno dei morti in eterno. L'immortalità può costituire un'indicibile apoteosi di agonia e di orrore, essere costretti a nutrirsi del sangue degli esseri umani per raggiungere l'essenza vivificatrice della forza infinita dell'esistenza, quella forza che supera ogni confine e oltrepassa qualsiasi immaginazione fino a raggiungere un dolore insopportabile, quel dolore che appartiene soltanto a ciò che non è umano, indecifrabile; è questo il destino di una delle figure più inquietanti e terrificanti di tutti i tempi: il vampiro.
È il 1890 quando nella mente di Bram Stoker cominciano ad addensarsi questi pensieri angoscianti; le letture di racconti su antiche leggende indù e la frequentazione di avventurieri viaggiatori e appassionati cultori della tradizione gotica completano il quadro, dando vita al "non-morto" più conosciuto della letteratura e della filmografia dell'ultimo secolo, l'unico in grado di contendere ad un'altra celebre creatura, il Frankenstein di Mary Shelley, lo scettro di monarca dell' orrore: Dracula.
Pochi giorni prima della pubblicazione del romanzo (siamo nel maggio 1897), sul palcoscenico del Lyceum Theatre si svolge la prima riduzione teatrale intitolata "Dracula or the undead", un dramma di quattro ore scritto dallo stesso Stoker; l'opera non riscuote alcun successo, e l'autore muore nel 1912 nella più totale povertà senza aver potuto assaporare l'immensa fortuna che la sua creatura avrebbe in seguito conseguito.
Innumerevoli sono stati gli adattamenti e le trasposizioni teatrali e cinematografiche dell'opera di Stoker; se fu l'attore irlandese Hamilton Deane il responsabile dell'iconografia cinematografica di Dracula, con tanto di smoking e mantello dal colletto alzato, il primo vero protagonista a dare un volto al vampiro fu l'allora sconosciuto attore di origine ungherese Bela Lugosi nel "Dracula" di Tod Browning per la Universal Pictures, lo stesso attore che, rifiutando il ruolo di coprotagonista nel "Frankenstein" di James Whale, permetterà in seguito a Boris Karloff di diventare il mostro più celebre di tutti i tempi.
Sono migliaia i film girati sul tema del vampirismo, da "Vampyr" di Carl T. Dreyer agli oltre venti interpretati dal vampiro per eccellenza Christopher Lee; da "I vampiri" di Riccardo Freda alle parodie come "Per favore non mordermi il collo" di Roman Polanski; da "Leonor" di Luis Bunuel al celebre "Dracula di Bram Stoker" di Francis Ford Coppola; ma preferiamo tornare indietro nel tempo e soffermarci su una pellicola del lontano 1922, quando Friedrich W. Murnau porta sugli schermi europei la storia del famoso vampiro con un film muto in cui Max Schreck interpreta il ruolo di protagonista: "Nosferatu".
Raffinato esploratore dell'animo umano, artista poliedrico dotato di una forte quanto complicata personalità, Murnau si può considerare uno dei maggiori registi di tutti i tempi. Il suo genio gli permise di spaziare tra generi completamente diversi (dalla commedia all'horror) senza mai cadere nello scontato o nel banale, tra le sue opere più famose possiamo ricordare "L'ultima risata" del 1924; "Aurora" del 1927; "Tartufo" e "Faust" entrambi del 1926. Chissà quanti altri capolavori avrebbe potuto realizzare se non ci fosse stato un incidente d'auto ad interrompere, a soli 43 anni, una carriera che in quel momento si trovava ad un bivio fondamentale.
Girato in brevissimo tempo e con un budget limitato "Nosferatu" alla sua uscita ottenne un enorme successo nonostante i problemi che gli causò inizialmente la vedova di Bram Stoker; non avendo ottenuto i diritti del libro, Murnau operò alcuni ritocchi alla pellicola arrivando anche a modificare il finale, ma ciò non bastò a metterlo al riparo dall'accusa di plagio intentata da Florence Stoker, tanto che il tribunale diede ragione alla donna e ordinò di distruggere tutte le copie del film. Fortunatamente la condanna non fu eseguita del tutto, e nonostante il fallimento della casa di produzione Prana Films alcune copie furono messe in salvo.
La storia del conte Dracula la conoscono anche i sassi, anche se, come abbiamo detto, Murnau fu costretto ad operare alcune ma significative modifiche.
Nel film ci troviamo nel 1838 in Germania. Il giovane Hutter riceve dalla sua agenzia immobiliare l'incarico di recarsi dal conte Orlok in Transilvania, visto che questi è intenzionato a comprare una casa a Wisborg proprio dove vivono Hutter con la moglie Ellen. Arrivato nel castello del conte, Hutter scopre presto che l'uomo altri non è che un Nosferatu, un non-morto che semina il terrore nel villaggio.
Imbarcatosi su una nave all'interno di una cassa, il vampiro arriva a Wisborg portando con sé altre casse in cui ci sono dei topi contagiati dalla peste; dopo aver lasciato una scia di morti sulla nave il suo passaggio decima anche la popolazione della città: il vampiro per sopravvivere ha bisogno di sangue ma può succhiarlo dalle sue vittime soltanto di notte, poiché le luci dell'alba porrebbero fine alla sua tormentata esistenza. Ellen viene a conoscenza di tale circostanza sfogliando il libro dei vampiri, e per salvare il fidanzato ed il resto degli abitanti della città non le rimane che agire di conseguenza.
In quale genere cinematografico si può collocare "Nosferatu"? Si potrebbe azzardare un'identificazione tra cinema horror e fantastico, anche se i due generi non necessariamente sono legati tra di loro; il senso di ripugnanza che scatta di fronte alle deformità come normale conseguenza all' orrore (Nosferatu appare come un essere dal volto esangue, cadaverico, con le orecchie aguzze e la dita artigliate), contrasta con l'ambientazione, le atmosfere misteriose, i giochi di luci ed ombre, elementi tipici degli inquietanti chiaro-scuri dell'espressionismo tedesco e quindi prevalentemente fantastici. Se il cinema espressionista ricorreva in maniera preponderante ad ambientazioni artificiali, Murnau preferì orientarsi su scenari decisamente più naturali, reinventando un linguaggio cinematografico più straniante ed inquietante.
Lo stile del film fa perno sul contro luce e sul gioco di ombre, fantastico, sapientemente utilizzato per mostrare ciò che non è visibile, per dare corpo al nulla, per identificare il mistero; d'altra parte di lì a poco Hollywood avrebbe sviluppato il vero e proprio cinema horror e tutti gli elementi tipici dell'espressionismo (le atmosfere, le ambientazioni, i giochi di luci ed ombre) cominciarono a cedere il posto alla spettacolarizzazione della paura, le ombre vennero relegate in un angolo dal sangue, il sonoro ed il colore fecero il resto.
Come tutti i grandi film del cinema muto "Nosferatu" va approcciato senza l'ossessione del confronto; è fondamentale immergersi nelle atmosfere che questi film creavano e trasmettevano agli spettatori degli anni '20 e comprendere lo sforzo che facevano i registi, con i modesti mezzi a disposizione, a realizzarli; allo stesso modo in cui mentre oggi leggendo un libro di letteratura dell'800 materializziamo l'immagine dello scrittore mentre su un tavolo di legno con fogli, manoscritti, candela accesa, inchiostro e pennino, nel freddo di una stanza, sta realizzando la sua opera. Pensate ai caldi uffici con l'aiuto del pc degli scrittori di oggi.
Quindi godetevi il bianco e nero di questo gioiello: non c'è sangue, ma è di sicuro ancora in grado di raggelarlo.
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Recensione a cura di Marco Iafrate - aggiornata al 05/02/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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