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1916, un battaglione francese dislocato lungo una lunga linea di trincea al fronte, nel Nord della Francia, già stressato da numerosi scontri, viene costretto da un generale ambizioso e senza scrupoli, di nome Mireau, a tentare un assalto al Formicaio, un agglomerato di case sparse situato in cima ad una collina e posseduto dai tedeschi. Il colonnello del battaglione, Dax (Kirk Douglas), idealista, molto preoccupato per le difficoltà che potrebbe avere quell'attacco, contesta al generale Mireau due cose, primo, il cinismo della sua decisione, che non tiene conto delle perdite di uomini previste dal comando per centrare l'obiettivo: oltre il 50 % circa del reparto; secondo, le condizioni molto elevate di stanchezza fisica e morale dei soldati che andrebbero sostituiti con forze fresche.
Il generale Mireau ascolta il colonnello Dax ma non appare propenso a recedere dalle sue posizioni, e conferma quindi per il mattino successivo l'attacco. Le prime truppe d'assalto, comandate dallo stesso colonnello Dax, che non si risparmia rimanendo sempre a capo della prima linea al ritmo drammatico della corsa a baionetta, vengono dai tedeschi falcidiate spaventosamente, il secondo gruppo anziché uscire rimane in trincea perché il fuoco nemico nel frattempo è triplicato impedendo ogni sortita. Il colonnello Dax torna nella linea trincerata per stimolare l'uscita degli altri soldati, ma si rende conto che il fuoco nemico è troppo fitto per poter condurre gli uomini all'attacco.
Il generale Mireau, constatato il fallimento dell'impresa, attribuisce tutto il peso dell'insuccesso alla codardia del battaglione, cosa che in seguito non riuscirà a certificare, e afferrato da una rabbia furiosa tenta di far bombardare tutta la zona in cui si trovano i pochi soldati francesi scampati al primo assalto. Il generale vuol punire i suoi uomini per l'oltraggio al suo onore patito con l'insuccesso. Ricevuto dal capitano responsabile delle armi pesanti un deciso rifiuto a cannoneggiare i soldati di stessa appartenenza, il generale Mireau convoca per il giorno dopo la Corte marziale per giudicare i codardi e tutti i disubbidienti agli ordini; il colonnello Dax già ottimo avvocato nella vita civile si propone di difendere i suoi uomini, quelli più gravemente accusati.
"Orizzonti di gloria" è un capolavoro antimilitarista del 1957, ambientato nella prima parte al fronte, durante la guerra mondiale del 14-18. L'invasione tedesca, nel primo periodo della guerra, era giunta alle porte di Parigi a 30 chilometri circa dalla capitale, ma nel settembre del 1916 i francesi avevano già recuperato molte posizioni e trasformato il territorio, dalla Manica al confine svizzero, in un interminabile zigzag di trincee.
Il film si svolge nel 1916 e vede in gioco la conquista di un nuovo obiettivo strategico che è in mano ai tedeschi: il Formicaio, un punto chiave per la tenuta di alcuni battaglioni germanici, che tramite esso controllavano dall'alto un nodo di trincee francesi molto importante. La seconda parte del film invece è ambientata in uno sfarzoso palazzo, sede a Parigi degli alti ufficiali della divisione che operava in quel Nord Est della Francia dove si svolgevano le scene di guerra.
"Orizzonti di gloria" è un ottimo film bellico, ricco di invenzioni letterarie di pregio, tra cui sorprende per effetto spettacolare la suspense che scaturisce dall'incognita dell'esito dei pensieri-dialogo tra i protagonisti: parole-immagini prese in un rapporto polemico estremo e diretto, dai contenuti chiari di alta efficacia moralistica soprattutto per lo spettatore desideroso di schierarsi sul piano delle scelte dei valori umani, quelli messi in gioco dai personaggi del film. Come ad esempio quando il colonnello Dax mette sotto accusa il modo (senza testimoni) con cui la Corte marziale giudica i sospettati di codardia, i suoi pensieri idealisti si snodano in tutta la loro potenza spirituale influenzando fulmineamente alcune coscienze e incidendo nel reale della vita militare più oscura, pur tra sconfitte, umiliazioni, ingiuste fucilazioni; la vittoria consisterà soprattutto nell'aprire, nel cinismo delle coscienze dei più alti generali, brecce di sensibilità etica superiore che porteranno al processo anche l'alto ufficiale francese Mireau che aveva dato l'ordine assurdo di sparare sulle proprie truppe.
Film eccezionale per empatia recitativa trasmessa dagli attori al pubblico, soprattutto per quelle espressioni molto contrastate che riguardano virtù umane precarie, sempre in bilico tra vigliaccheria, paura, forza idealistica, molto familiari perché sembrano attraversare ogni tempo ripresentandosi puntuali nei nodi relazionali etici presenti immancabilmente in numerosi intrecci umani nelle guerre.
Perciò il film tuttora non si può considerare datato, proprio grazie all'atemporalità delle questioni morali che appaiono virtualmente convalidate da ogni cultura occidentale: esse dando l'impressione di toccare aspetti etici statutari essenziali che hanno regolato, pur tra immani difficoltà, il comportamento umano in ciascuna guerra.
Buone le capacità drammaturgiche di Kubrick, evidenti nel saper creare una tensione teatrale efficace con conversazioni accese che tengono alto l'interesse del film, una tensione validamente supportata da una non facile fotografia di guerra; quest'ultima non appare mai generica bensì ricca di specificità minuziose e dettagli suggestivi che attraggono l'occhio e il pensiero come una potente calamita di tipo artistico.
Kubrick appone subito la sua prestigiosa firma via via che la costruzione visiva del narrare prende forma, grazie alla sua qualità inconfondibile nel ricercare una composizione fotografica di pregio, in grado cioè di esaltare alcuni modi stilistici innovativi, come ad esempio quello della ripresa dei soldati nei corridoi della trincea, che avviene con lunghi piani sequenza intervallati da sguardi in primo piano di alto effetto drammatico.
La scena che vede il colonnello francese a passi decisi, avanzare gravemente tra i suoi soldati posti ai lati interni della trincea mentre lo osservano con sguardi disperati che sembrano cercare ancora una speranza e un incoraggiamento tra le pieghe scure del volto di Dax come per dimenticare il dolore procurato da una probabile e imminente morte, è una scena di alto lirismo bellico, indimenticabile, struggente, da antologia del cinema. Una sorta di pathos tragico d'attesa, emotivamente moltiplicato dal numero di sguardi che si succedono velocemente e vertiginosamente sempre più addossati alla maschera straniante del volto del colonnello Dax che non può sbagliare la modulazione della recitazione muscolare del suo viso pena una disfatta psicologica delle truppe.
Il tutto ha un effetto di precipitazione visiva del senso che va verso un annullamento di ogni sensazione umana, una specie di follia glaciale ottenuta con angolazioni fotografiche sempre più strette che danno l'idea della claustrofobia da battaglia, dall'effetto di una roulette russa che incombe su tutti, una forma di delirio di morte in cui sono ormai precipitati i soldati. Kubrick con il suo genio espressivo fotografico trasmette brillantemente allo spettatore quel gelido delirio dando a questo film di guerra un tono artistico decisamente superiore alla media.
Da sottolineare ancora in "Orizzonti di gloria" la non visibilità del nemico, che sembra diventare in qualche modo metafora di una più estesa mancanza, cioè l'assenza di logica chiara nelle guerre: i soldati e gli ufficiali di uno schieramento non combattono in una condizione di odio contro alte formazioni nemiche, per la semplice ragione che non capiscono le vere ragioni della guerra, il loro è un odio falso, indotto, forzato dall'alto con motivazioni schematiche, oscure, che nascondono altre ragioni di guerra, spesso personali annidate nella mente dei politici, dei governatori intesi come potenti di turno; inconsciamente il soldato di ogni schieramento bellico questo lo sa e non riesce quindi a sentire chi ha di fronte come un vero e proprio nemico.
Il processo che si svolge a Parigi nello sfarzoso palazzo degli alti ufficiali risente anch'esso dell'oscurità di fondo delle logiche di guerra, ha il pavimento a scacchi, un modo questo per Kubrick di mettere in evidenza la casualità che regola i più tragici eventi bellici; come in una partita reale i personaggi si muovono sulla scacchiera con una logica di gerarchia umana articolata in funzioni, rappresentati dai singoli pezzi, ma qualcun altro invisibile li muove dall'alto, sollecitando le loro più meschine ambizioni o i desideri più irrefrenabili di giustizia personale per scopi che rimangono del tutto ignoti.
Con questo film di Kubrick la vecchia questione posta da alcuni filosofi, tra cui Adorno, intorno alla considerazione convenzionale o meno del cinema come forma artistica, viene per diversi aspetti a cadere. L'accusa mossa da alcuni filosofi secondo i quali il cinema non si può reputare arte a tutti gli effetti perché in esso la quota di intrattenimento è elevata e la pellicola viene prodotta con criteri di mercato che confermano come il cinema sia soprattutto industria, viene da Kubrick fatta in buona parte cadere.
Il grande regista americano dimostrerà, soprattutto con questo film, che l'intrattenimento può essere elevato a interesse artistico, se la cultura e i modi espressivi del teatro entrano con un certo equilibrio verbale nell'arte fotografica posta a base dei film. Il cinema con Kubrick diventa allora una felice simbiosi tra rappresentazione teatrale, linguaggio fotografico vivo altamente comunicativo e massima valorizzazione tecnica dei mezzi-strumenti: i suoi film conquisteranno subito il mercato per qualità artistica e non per altri aspetti.
L'arte di Kubrick va intesa nella sua migliore accezione: riverbero di desideri soggettivi legati al sociale, ma anche il frutto di una estetica, aprioristica, presente nell'uomo che si pone al di là di ogni condizionamento sociale, divenendo caratteristica unica della persona.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 16/05/2012 16.24.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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