Recensione outlander - l'ultimo vichingo regia di Howard McCain USA 2008
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Recensione outlander - l'ultimo vichingo (2008)

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locandina del film OUTLANDER - L'ULTIMO VICHINGO

Immagine tratta dal film OUTLANDER - L'ULTIMO VICHINGO

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Nell'anno 709, l'astronave di Kainan precipita in un lago norvegese. Resosi conto di essere l'unico sopravvissuto, l'uomo viene ben presto fatto prigioniero dai Vichinghi di Re Rothgar, che lo conducono ad Herot per interrogarlo, sospettandolo di aver preso parte alla distruzione di un vicino villaggio. Sull'astronave era infatti presente anche un Moorwen, una creatura proveniente da un altro pianeta, che, libera sulla terra, inizia a mietere morte e distruzione. Vinta l'iniziale diffidenza reciproca, Kainan si unirà ai Vichinghi per sconfiggere il mostro.

L'idea di un virtuale crossover tra "Beowulf" ed "Alien", dove si mette in scena uno scontro all'ultimo sangue tra nerboruti vichinghi e alieni dallo sviluppato istinto predatorio, era suscettibile di risolversi in un sottoprodotto alla Uwe Boll, destinato ad un rapido oblio. E invece questo "Outlander" è una spanna sopra rispetto a consimile immondizia, come il "Pathfinder" di Marcus Nispel, il tremendo "Wolfhound" del russo Nikolai Lebedev, e persino del ridicolissimo "Beowulf" di Zemeckis, nefasto trionfo di kitsch digitale.

Sembra che l'idea del film sia venuta al regista Howard McCain, autore di un paio di Tv-movie negli anni '90 e in seguito sceneggiatore del discutibilissimo "Underworld: Rise of the Lycans", proprio dopo la lettura del "Beowulf", ma che soltanto dopo l'incontro con lo sceneggiatore Dirk Blackman, che si è premurato di inserire elementi fantascientifici, lo script abbia assunto una forma definitiva. Una volta ridimensionate le ambizioni iniziali (location in Nuova Zelanda, effetti speciali della Weta Workshop), McCain si è dovuto accontentare del Canada (Halifax e Nuova Scozia) e del character design di Patrick Tatopolous ("I Am Legend", "Silent Hill"), che qui appare meno ispirato del solito. Sul versante strettamente teratologico, infatti, il Moorwen appare derivativo: una sorta di parente povero delle prodigiose cucciolate xenomorfe di H.R.Giger.
Nonostante questo, la creatura svolge dignitosamente il suo compito, anche nella sua versione notturna, policroma e luminescente, e dimostra un'invidiabile competenza quando si tratta di predare esseri umani. Senza contare che il Moorwen riscuote anche una certa simpatia, essendo l'ultimo superstite della sua razza dopo uno sconsiderato genocidio ad opera degli uomini, in cerca dell'ennesimo pianeta da colonizzare.

Il cotè fantascientifico, oltre a giustificare la presenza del mostro nella Norvegia dell'VIII secolo e a donare al tutto il giusto grado di eccentricità, offre anche alcuni vantaggi non disprezzabili: per esempio, complici ordigni cibernetici alla "Matrix", Kainan non deve sopportare l'incombenza di apprendere la lingua norrena in 24 ore, come faceva l'improbabile Banderas de "Il 13° Guerriero".

L'impianto della sceneggiatura è di una rassicurante banalità: Kainan è in competizione con Wulfric, l'erede designato di Re Rothgar, non solo perché quest'ultimo vede nello straniero una minaccia alla sua supremazia di maschio dominante, ma anche per l'amore di Freya, unica figlia del Re. Non è certo l'imprevedibilità il pregio di "Outlander", ma è proprio il volgere i luoghi comuni a proprio vantaggio e l'adagiarsi con una certa grazia su una struttura consolidata, senza annoiare o provocare ripulsa. Lo spettatore accorto potrà infatti indovinare tutte le svolte di sceneggiatura, finale compreso, senza timore di essere smentito. L'inaspettato triangolo pseudo-fantasy sarà vivacizzato da gustose sfide (la corsa sugli scudi), intermezzi romantici, lacrimosi flashback, acerrimi scontri tra tribù nemiche, una buona dose di amicizia virile e eroici sacrifici con la benedizione di Odino, il tutto inseguendo un respiro epico che non viene mai raggiunto, se non a buon mercato.

McCain, considerati gli evidenti limiti di budget, fa miracoli senza mai cadere nella cialtroneria, anche grazie alle convincenti scenografie di David Hackl, povere senza essere raffazzonate, e ai credibilissimi costumi di Debra Hanson ("Beowulf & Grendel"). Certo, la regia inanella una serie di citazioni con fervore enciclopedico, da "Alien" a "Predator" passando per "The Descent" e per il "Rogue" di Greg McLean, ma le scene di azione risultano tutto sommato convincenti e McCain riesce a mantenere un minimo di tensione, anche nell'ovvietà generale.

Jim Caviezel (il famigerato Cristo di Mel Gibson) è un Kainan eccessivamente granitico e sofferente, mentre più persuasivi sono Jack Huston (Wulfric) e Sophia Myles (Freya). Ron Perlman appare sprecato nel breve ruolo di Gunnar, nemico giurato di Rothgar, ma naturalmente è proprio John Hurt, nei panni del re, a mangiarsi tutti a colazione. Considerato il livello non eccelso dei dialoghi, Hurt riesce nell'arduo compito di vivacizzarli, dando mostra di classe sopraffina.

Se "Outlander", con il suo gusto per l'ibridazione dei generi, fosse stato diretto da un regista più talentuoso, avremmo avuto un risultato simile al "Doomsday" di Neil Marshall. Invece ci si trova in presenza di un decoroso B-Movie, ideale per una serata estiva.

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Recensione a cura di Nicola Picchi - aggiornata al 18/06/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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