Recensione pane, amore e fantasia regia di Luigi Comencini Italia 1953
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Recensione pane, amore e fantasia (1953)

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Miglior attore (Vittorio De Sica)
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locandina del film PANE, AMORE E FANTASIA

Immagine tratta dal film PANE, AMORE E FANTASIA

Immagine tratta dal film PANE, AMORE E FANTASIA

Immagine tratta dal film PANE, AMORE E FANTASIA

Immagine tratta dal film PANE, AMORE E FANTASIA
 

Il film, uscito nel 1953, segna la fortuna di molti dei protagonisti coinvolti a cominciare da Luigi Comencini, il suo regista, che gli deve il suo primo grande successo, per andare poi a Gina Lollobrigida consacrata diva grazie a questa pellicola e a Vittorio De Sica che dopo un periodo incolore come interprete seppe riciclarsi in grande stile come caratterista leggero.
I nomi destinati a rimanere nella memoria collettiva sono comunque diversi: come non ricordare la caratterista napoletana di razza Tina Pica, allora settantenne, la bella attrice romana Marisa Merlini e Gigi Reder (in seguito diventato l'indimenticabile Filini nel ciclo di film di Fantozzi)? Un film dalla trama esile, realizzato senza grossi spiegamenti di mezzi diventa così un vero e proprio cult nella storia del cinema italiano.

Per analizzare meglio la storia occorre dire che l'Italia dei primi anni Cinquanta usciva faticosamente dal dopoguerra (nel film ci sono ancora tracce dei recenti bombardamenti) mentre il grande schermo conosceva i trionfali successi del Neorealismo. Questa pellicola può essere considerata a metà strada tra il Neorealismo e la commedia all'italiana ancora "in nuce".
Neorealismo perché si privilegia l'uso della presa diretta, ci sono prevalentemente delle scene in esterni e l'ambientazione è misera: i protagonisti sono persone semplici, di bassa cultura e bassissimo censo, inoltre accanto agli attori professionisti figurano in piccoli ruoli degli attori presi dalla strada come era pratica comune per molte pellicole realizzate in quel periodo.
Un'altra caratteristica fondamentale di questa scuola di pensiero privilegia l'uso del dialetto o dell'italiano con forte cadenza dialettale, proprio a marcare fortemente il contrasto tra finzione (in questo caso rappresentata dalla dizione neutra tipica della cinematografia precedente con storie ambientate nell'alta borghesia, secondo i canoni dei "telefoni bianchi" anni Trenta) e lingua parlata dalla gente, in particolare dal popolino.

In genere gli intrecci delle pellicole neorealiste sono a sfondo tragico, anche se ad esempio "Due soldi di speranza" realizzato nel 1951 e al quale si ispira nettamente Comencini apre a una visione più ottimistica, simbolo di una rinascita più evidente della nazione dopo le brutture della guerra.
Accanto a queste peculiarità il regista aggiunge però degli elementi più leggeri a partire dalla storia, lieve e affatto drammatica unendo poi gustosi siparietti ben gestiti dai vari caratteristi al servizio. Memorabili rimangono i battibecchi tra la burbera domestica Caramella (Tina Pica) e il fanfarone maresciallo Carotenuto (un Vittorio De Sica in piena forma) mentre suscita ancora oggi tenerezza il giovane carabiniere Pietro Stelluti (Roberto Risso, in seguito scomparso dalla scena cinematografica pochi anni dopo e con tre o quattro film all'attivo).
Sono passati più di cinquanta anni dall'uscita sul grande schermo di questo film eppure le vicende narrate risultano ancora oggi gradevoli ed attuali, testimonianza di un momento di grazia del nostro cinema destinato, visti i tempi attuali, a non perdurare...

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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 15/06/2006

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