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Nel 1871 Paul Verlaine è un poeta affermato, malridotto per l'abuso d'assenzio e costretto dall'indigenza ad abitare a Parigi con i genitori di Mathilde, la giovane moglie incinta. Quando riceve le poesie di Jean-Arthur Rimbaud, egli vi trova qualcosa di unico e inesplorato. Rimbaud non è un artista che esprime le proprie sensazioni in modo convenzionale: animato da un'esasperata tensione nella ricerca del vero, sfoga questo suo bisogno manifestando senza alcun limite la propria filosofia della vita. Paul lo ospita in città e il sedicenne Jean-Arthur, arrogante e spregiudicato, gli sconvolge l'imborghesimento. Accettata la proposta di condividere arte e alcova, lascia Mathilde e se ne va con lui a Londra. Però le circostanze diventano difficili: il denaro è scarso e una profonda crisi depressiva impedisce a Rimbaud di continuare a scrivere, la sua esuberante frenesia cede il posto alla delusione e al desiderio di trasferirsi in Africa per spingersi ai confini dell'esperienza umana. Questa volta Verlaine abbandona Rimbaud e torna dalla moglie a Bruxelles. Poi, dopo aver sparato alla mano dell'amico, è arrestato per l'accusa di sodomia lanciatagli da Mathilde e viene condannato a due anni di galera. Lì in prigione trova Cristo. Invece Rimbaud scrive solo per tre anni, quindi si trasferisce ad Harrar in Africa, dove era stato spesso in sogno. Compie traffici più o meno leciti fino a che, affetto da un tumore al ginocchio e dopo aver perduto per amputazione la gamba, tormentato dal dolore e in preda al delirio, muore consumato dalla malattia. Paul, opponendosi alla richiesta della sorella di Rimbaud, non le consegna le opere di Jean-Arthur da lei ritenute blasfeme.
Cosa avviene quando una regista polacca, fresca della collaborazione con un altro regista polacco, il Kieslowski di "Tre colori" (1993-'94), si pone tanto quanto costui al servizio della "inculturazione della fede", alias "nuova evangelizzazione", promossa da un ulteriore polacco, assiso sul soglio pontificio? Si arriva alla falsificazione, alla mistificazione, alla distorsione sistematica degli eventi realmente accaduti, propinati invece come un biopic documentato e attendibile. Anche nell'ultimo lavoro della Holland, "Io e Beethoven" (2006-7), soltanto se si ascoltano negli extra del dvd le interviste ai due attori principali si scopre che la figura femminile protagonista del film non è mai esistita, "è la sintesi d'una decina di donne dal ruolo marginale nella vita del compositore".
Chissà, forse la Holland avrà pensato a una trasposizione proiettiva del proprio rapporto con Kieslowski, ma è un fatto che Beethoven non hai mai scritto musica coadiuvato da assistenti ispiratrici d'alcun genere. Perché mentire in modo così spudorato e fazioso, senza la minima avvertenza per cautelare lo spettatore ignaro? Perché non ammettere con onestà che la fedeltà al veridico è stata sacrificata in nome del proprio fideismo?
"Poeti dall'inferno": se Leopardi è passato alla storia come lo Schopenhauer italiano per il pessimismo cosmico, ma a scuola, università inclusa, l'accento si sposta sull'insegnamento de "L'infinito", scivolone nel sentimento panico da romanticismo ottocentesco, l'opera di Rimbaud non se la passa meglio. Il suo capolavoro è "Una stagione all'inferno", ma i docenti inculcano le sue innocue filastrocche come "Le bateau ivre" e "Le buffet". Si vuol far credere che la sua importanza consista in un presunto uragano introdotto nell'arte poetica, così come scritto nell'epigrafe di questo film, quando invece non c'è letterato del Novecento che non sia pronto a indicare la grandiosità di Rimbaud nella sua opera in PROSA, appunto "Une saison en enfer". La pellicola della Holland ne cancella ogni traccia, e già una cosa simile dice pressoché tutto. Si è spinti a supporre e a sperare di trovarne un qualche residuo partendo dal titolo stesso, che però è un'invenzione della distribuzione italiana: il titolo originale è infatti "Total Eclipse", adattissimo per veicolare la tesi che la vita dei due poeti sia stata nient'altro che una buia, oscura e tormentata odissea personale per approdare alla conversione, al ripiegamento verso il Crocifisso, posto in bella evidenza nel capezzale di Rimbaud.
La sorella si premura che non vengano pubblicati i componimenti sacrileghi di Jean-Arthur, ma la regista ce li nega per circa due ore, è già intervenuta lei a ometterli, insabbiarli, obliarli. Il film inizia con il minorenne che deride subito il poeta adulto troppo facile ai compromessi: "L'amore non esiste", "L'amour est à réinventer", e termina con l'amore sottoforma del compromesso più grande, quello con l'Eterno: "Elle est retrouvée!/Quoi? l'éternité./C'est la mer mêlée/Au soleil". È uno dei pochissimi versi riscontrabili in "Una stagione all'inferno", ma soprattutto è una semplice ripetizione quasi identica de "L'éternité" già presente in "Ultimi versi". Insomma la Holland edulcora, canonizza e beatifica per conto terzi l'esistenza e le intuizioni d'un giovincello oggi più che mai al centro del dibattito sulle massime espressioni della crisi teistica (si veda, a es., la voce "Altro" introdotta nell'ultima edizione 2004 della Garzantina di Filosofia coordinata da Vattimo: parte proprio dal Rimbaud di "Je est un autre").
Detto altrimenti: è IRRILEVANTE se sia vero che Verlaine fosse "un ubriacone da operetta", Rimbaud "un adolescente esaltato dall'assenzio", i due assieme dei "gay sciroccati e ridicoli", inquadrati in "un maledettismo d'accatto" (frasario del Meregehetti); è altrettanto irrilevante se la Holland possa dimostrare la fondatezza del suo racconto di poeti dissoluti salvati più o meno in extremis dal Dio cristiano.
Rimbaud è entrato in un'altra "eternità", fragilissima, quella della storia della letteratura, per ciò che durante l'intera lunghezza del film non viene mai enunciato o mostrato. Forse davvero i due artisti, dopo essersi scontrati con le fanìe del male (la mortifera Madre "bocca della menzogna", l'aureola sacra della Moglie trasformata in un incendio appiccato ai suoi capelli), si sono rifugiati nel conformismo fino al coma iperglicemico, storditi come gli spettatori dalle imperterrite sviolinate della colonna sonora.
Forse davvero le due rispettive ferite alla mano consentono una lettura cristologica da stigmatizzati. Forse davvero il voler "sperimentare ogni cosa sul mio corpo" è un'inconsapevole emulazione di Rimbaud nei riguardi del Gesù "Verbum caro factum est". Comunque sia, non svanisce l'imperdonabile: senza dar voce a un solo frammento di "Una stagione all'inferno", diventa incomprensibile come l'adolescente e lo sposato fossero diversi da quei "pedanti sciocchi e scrittori senza talento" che essi cercavano d'evitare, dagli "artisti ancora più borghesi della miserabile borghesia", da chi non fosse capace d'autocomandarsi: "Indurisciti, rigetta il romanticismo, abbandona la retorica". La Holland, autenticità o meno della duplice conversione, ne ha fatto dei personaggi anonimi, insignificanti, bolliti stracotti esattamente nel romanticismo e nella retorica più flaccidi. Per farla breve: in nome della Fede, li ha traditi come peggio non si sarebbe potuto.
"Doux comme le Seigneur du cèdre et des hysopes,
Je pisse vers le cieux bruns, très haut et très loin,
Avec l'assentiment des grands heliotropes."
("Mite come il Signore del cedro e dell'issòpo,
Piscio verso il cielo bruno, altissimo e lontano,
Con l'assenso dei grandi girasoli": "Oraison du soir", "Preghiera vespertina", A. Rimbaud, pp. 84-5, Opere, 1998)
"Sarò ozioso e brutale. […] Salvo": "Cattivo Sangue" (p. 205)
"Quali cuori spezzerò? […] In quale sangue camminare?": "Cattivo Sangue" (p. 207)
"Ah! la scienza non va avanti abbastanza svelta per noi!": "Cattivo Sangue" (p. 237)
"Ho cercato d'inventare nuovi fiori, nuovi astri, nuove carni, nuove lingue": "Cattivo Sangue" (p. 241)
"L'amour est à réinventer": "Cattivo Sangue" (p. 218)
Mauro Lanari
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Recensione a cura di Hal Dullea - aggiornata al 03/02/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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