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Sir Alfred Hitchcock fu uno dei massimi esponenti (nonchè uno dei primi) del cinema giallo-thriller. Iniziò a lavorare nel mondo dello spettacolo negli anni venti ma la sua carriera ebbe una svolta decisiva in America dove operò a partire dagli anni quaranta sino a metà degli anni settanta. Nel 1960 diresse il suo film, forse più famoso: "Psycho", tratto da un romanzo di Robert Bloch.
La storia narra di una giovane donna, Marion (Janet Leigh), che scappa dalla sua città con quarantamila dollari rubati e si rifugia in un motel dove la attenderà una sorte crudele. Più tardi il suo fidanzato (John Gavin), insieme a sua sorella (Vera Miles), svolgeranno indagini per scoprire cosa sia accaduto.
Psycho premiò con il successo l'ottima interpretazione di Anthony Perkins perfettamente immedesimato nel ruolo dello psicopatico Norman Bates, ruolo che gli rimase incollato tanto che lo ritroviamo successivamente in altri film dove interpreta per l'appunto un pazzo pericoloso. Janet Leigh era allora l'attrice più nota del cast e rese questo film un po' particolare poiché ella moriva dopo soli quaranta minuti dall'inizio della pellicola. Il resto del cast era all'altezza del film e Hitchcock fece come di consueto la sua solita comparsa scaramantica all'inizio della vicenda. Una piccola curiosità è l'interpretazione, come collega di Marion, della figlia del regista (Patricia Hitchcock).
Il film, girato in bianco e nero, era molto ben realizzato dal punto di vista della suspense; oltre la scena della doccia, che è una pietra miliare nella storia del thriller cinematografico riprodotta in altri film minori di altri registi, ci sono altri elementi che sono importanti per fare cinema di questo tipo come il fatto che più o meno tutta la vicenda si svolga in questo cupo, tetro, isolato motel che dà quasi l'impressione di essere abbandonato, così come Vera Miles (la sorella di Marion), entrando nella casa, appare estremamente indifesa; infine l'inquadratura della porta della cantina che al personaggio sembra la via migliore per nascondersi, agli occhi dello spettatore è semplicemente il peggior posto dove potrebbe rifugiarsi. Tutti questi elementi messi insieme fanno di Psycho un capolavoro del thriller, infatti il film non è ricordato tanto per le interpretazioni, anche se quella di Perkins è magistrale, non è ricordato per il libro da cui è tratto e nemmeno per la storia in se ma per la suspense, per l'inquietudine, per l'angoscia che suscita.
Psycho può essere considerato anche un film imprevedibile nel quale lo spettatore non sa bene per chi "tifare": dapprima si teme per una ladra, poi per un assassino e quando si scopre che questo assassino ha un segreto si spera che lo prendano per avere la spiegazione della storia.
Hitchcock fa largo uso del red harring (un pretesto che serve per far concentrare lo spettatore su vicende che hanno poca importanza nella trama del film), infatti nella prima mezz'ora l'attenzione viene concentrata sul furto, sull'inseguimento in macchina, sul cambio dell'automobile e via discorrendo; e poi all'improvviso questo omicidio, per l'epoca assai crudo, che lascia lo spettatore di stucco; via via che il film va avanti diventa sempre meno macabro poiché il pubblico ricorderà per tutta la durata della pellicola la crudezza del primo assassinio senza aver bisogno di vedere altre scene violente.
Il regista utilizza un particolare tipo di inquadratura in due sequenze differenti del film:
1) l'assassinio dell'investigatore
2) Il momento in cui Norman trasporta la madre in cantina
Entrambe le scene si svolgono nello stesso punto (in cima alle scale) ed ambedue sono realizzate con un'inquadratura dall'alto per celare il viso della vecchia madre; tutto ciò accade senza che lo spettatore se ne renda conto. Nella prima scena l'investigatore sale le scale e l'effetto di suspense è notevole poiché il pubblico sa che in quella casa c'è un assassino, tale effetto è aumentato dallo spiraglio di luce proveniente dalla camera da letto. In quel momento lo spettatore è al culmine della tensione e di conseguenza non fa caso al fatto che la telecamera si è spostata in alto per far vedere l'omicidio da una prospettiva in cui non si nota il volto dell'assassino. Nella scena del trasporto della madre si ripete lo stesso espediente con la differenza però che qui lo spettatore non si accorge del cambio dell'inquadratura, non per la suspense ma per l'attenzione prestata al dialogo tra Perkins e la "madre".
Stranamente il film costò relativamente poco (800.000 dollari) ma fu la pellicola che in quell'anno incassò maggiormente (13 milioni di dollari) dopo Ben Hur.
Straordinario che il film riesca a suscitare ancora tensione nonostante i suoi 45 anni. Ottima la scelta del bianco e nero e personalmente ritengo che il colore avrebbe reso molto meno il fenomeno della suspence. Oltre a questo il bianco e nero si può considerare parte integrante della scenografia accentuando l'atmosfera cupa che suscita inquietudine nello spettatore.
Personalmente posso affermare che il film non lo dimenticherò e lo considererò sempre un cult e il numero uno del genere. Anche per questo posso dire di non essere d'accordo col Mereghetti nell'affermare che Psycho perda la sua suspense negli ultimi 40 minuti e in fin dei conti mi trovo in disaccordo anche col Rondolino: egli dice che il film in questione possa essere visto anche sotto altre chiavi di lettura al di fuori del thriller. Secondo me invece Psycho è fine a se stesso: vuole solamente incutere tensione nello spettatore e ci riesce magistralmente.
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Recensione a cura di bodego - aggiornata al 23/08/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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