Voto Visitatori: | 7,31 / 10 (182 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,00 / 10 | ||
C'era una volta il West con i suoi paesaggi, le sue metafore ed il suo manicheismo ben netto: Bene da una parte, Male dall'altra. Questo era il West all'epoca del primo "Quel treno per Yuma", film del 1957 con interpreti Glenn Ford e Van Heflin; film dalla trama semplice perché semplici erano gli spettatori e rapidamente diventato un cult nel genere.
Complice la cronica mancanza di idee che affligge il cinema internazionale, "Quel treno per Yuma" ritorna dopo cinquant'anni portandosi ovviamente dietro tutto quello che in questo tempo è successo.
Il genere western classico di una volta è mutato: non ci sono più i cowboys dalle camicie linde di bucato e freschi di barbiere; adesso (e Leone ha molto insegnato) gli uomini sono sporchi e sudati, i villaggi di frontiera assolati e polverosi, le donne stanche e non più tanto devote, i loro figli imparano a crescere in fretta e portano in viso la fatica dei loro genitori.
La vicenda del film è facilmente riassumibile: il contadino Dan Evans deve scortare il bandito Ben Wade fino alla coincidenza del treno per Yuma: occasione per conoscersi e per imparare che Bene e Male non sono tutti da una sola parte.
Il regista James Mangold, prima di arrivare al fulcro della storia, fa in modo che lo spettatore si faccia un'idea dei due antagonisti (curiosamente interpretati da due attori non propriamente yankee, il neozelandese Russell Crowe ed il gallese Christian Bale, come annota sarcasticamente il critico cinematografico del New York Times) e cerchi già di tirare le conseguenze sui loro caratteri, sulle loro scelte di vita.
La vita del secondo, il povero contadino Evans, è mostrata in tutta la sua amarezza di reduce reso disabile dalla Guerra di Secessione e costretto ora a fare a pugni con la propria grama esistenza, mentre da un paio di frasi dette a mezza bocca e di inquadrature azzeccate si evince che Crowe/Wade non è così "bastardo" come vorrebbe.
Il paesaggio come altro protagonista, desolato e spiazzante, poco western classico e più orientato verso Sergio Leone, da cui il regista ha attinto a piene mani considerandolo (parole sue) il vero padre del cinema di frontiera. Tra i due un terzo ex ribelle ex figlio d'arte, Peter Fonda, dai capelli bianchi e dalla parola tagliente, grande tra due altri ottimi attori.
La dualità Crowe-Bale occupa tutta la seconda parte della storia, tra antagonismo, odio e stima silenziosa; due personaggi spezzati che le vicissitudini della vita portano a diventare infami: l'onesto è smunto, il bandito sembra sicuramente ben nutrito e la scelta di Crowe è giustificata.
Ci si aspetta l'happy end come in tutti i vecchi western che si rispettano: il Buono, l'Eroe vince, il Cattivo è sconfitto.
Ma se il Cattivo non è un vero villain deve cadere in piedi.
Finale spiazzante e amaro come solo gli italiani (accanto a Leone c'è Corbucci) sapevano fare. E tra padri del cinema western yankee e padri italiani si può dire che ne è valsa la pena, bisognava proprio prenderlo questo treno.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 09/11/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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