Recensione rachel sta per sposarsi regia di Jonathan Demme USA 2008
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Recensione rachel sta per sposarsi (2008)

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locandina del film RACHEL STA PER SPOSARSI

Immagine tratta dal film RACHEL STA PER SPOSARSI

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Immagine tratta dal film RACHEL STA PER SPOSARSI
 

"She used to work in a diner
never saw a woman look finer
I used to order just to watch her float across the floor
she grew up in a small town
never put her roots down
daddy always kept moving, so she did too.

Somewhere on a desert highway
she rides a harley-davidson
her long blonde hair flyin' in the wind
she's been runnin' half her life
the chrome and steel she rides
collidin' with the very air she breathes,
the air she breathes.

You know it ain't easy
you got to hold on
she was an unknown legend in her time
now she's dressin' two kids
lookin' for a magic kiss
she gets the far-away look in her eyes.

Somewhere on a desert highway
she rides a harley-davidson
her long blonde hair flyin' in the wind
she's been runnin' half her life
the chrome and steel she rides
collidin' with the very air she breathes
the air she breathes.
"

("Unknown legend" by Neil Young)

Una specie di ritorno a casa: quello di Kym, cover-girl (ex) tossicodipendente, reduce dall'esperienza squallida del carcere e in balìa di una via di salvezza dopo la comunità, con i gruppi di incontro e invitata, quasi come una guest-star, all'imminente matrimonio della sorella.
Sono i fasti e preparativi del matrimonio di Rachel, lo stesso del titolo originale del film, con un afroamericano di bella presenza e dal brillante avvenire, e questo consegna al film di Demme la sua autentica e rivelatrice verità: il party è il definitivo riscatto dal "guasto" di una famiglia "quasi" perbene.
Il disagio di Kym viene pertanto avvertito dagli spettatori, testimoni della sua presenza "scomoda", del suo blandamente idilliaco homecoming, dal tormento di un segreto familiare (la responsabilità più o meno indiretta di Kym sulla morte del fratellino, anni prima), dell'occultamento volontario della ragione sulle ferite mai davvero rimarginate.
C'è una "sottrazione affettiva" che implica prima di tutto la capacità occulta e interiore di dire a qualcuno che niente sarà come prima, che prima di tutto arrivano i parametri rassicuranti della virtù (la purezza, lo splendore, la perfezione dei gesti e delle maniere) che si identificano con quelli, incolori ma innoqui, della sorella Rachel.

Il modello di riferimento di Demme è ovviamente il compianto Robert Altman di "Un matrimonio", ritualistica e corale metafora atta a sovvertire anch'essa i meccanismi della soap-opera, mettendo in auge la scorrettezza politica e amorale della tipica famiglia americana dalle dubbie origini; ma se Altman sfonda tutti i parametri della dissacrazione Demme sconcerta lo spettatore inoculando proprio certi parametri tradizionali prima di sovvertirli e irriderli definitivamente: ne esce un ritratto che riesce ad ammiccare alle commedie made in the Usa di Julia Roberts e affini, o, nel finale, a un certo tipo di melodramma furbetto all'americana, ma che al momento giusto riesce quasi completamente a tradire il classicismo più in voga, e a diventare qualcos'altro.

La stessa vena apparentemente rassicurante della post-cerimonia rende ancora più netta la divergenza tra Kym e la sua famiglia: si direbbe uscita dai mostruosi parametri di "Le correzioni" di Franzen questo defilé di manichini benpensanti, di tardone adultere o (ex?) repubblicani pronti a plaudire il matrimonio della figlia (quella "buona brava e coscienziosa") con un uomo di colore (ovviamente perfettamente e odiosamente inserito nel contesto della white class made in the Usa).
Non è così scontato come sembra: e tantomeno lo è il film di Demme, uno dei pochi titoli davvero felici della recente mostra del cinema di Venezia, apparentemente tutto concentrato su Kym, pecora nera della famiglia e modello "scomodo" per qualsiasi novella sposa, ma in verità ricco di sfumature che alla lunga occupano un posto di riguardo nelle intenzioni del regista e nella riuscita del film.
Se Kym è l'elemento "disturbante" di un nucleo familiare apparentemente perfetto, "Rachel getting married" è anche il vero primo film hollywoodiano dell'era-Obama, indipendentemente da come si evolveranno i risultati delle elezioni per il neo-presidente degli States.

Demme, spesso associato al cinema hollywoodiano più nobile, riesce a muoversi abbastanza liberamente nel terreno minato del "prodotto autoriale per le masse", e non si tratta affatto di un paradosso.
Le pecularietà di Demme vanno ben oltre una Hollywood spesso recidiva, incapace di interrogarsi sulle qualità individuali di ciascun cineasta, e sugli spunti che un regista come questo sa offrire ormai da oltre vent'anni.
Il cinema di Demme ha spesso attraversato i rapporti familiari o coniugali anche attraverso le rassicurazioni di un fatalismo visivo piuttosto ingannevole e per nulla neutrale: per questo e altre ragioni, "Rachel getting married" esplode a distanza, ricordando che la forza di questo film non sta tanto nella rappresentazione (im)perfetta di un Rito, dell'allegria forzata e nella spensierata comunicativa del monolitismo vigente, ma nella capacità persuasiva e quasi imbarazzante di "occultare il disagio", fino a favorire l'esistenza di una ferita morale più grande e lunga della stessa vita.
Se poi i tempi di Stanley Kramer e del suo "Indovina chi viene a cena?" - con i suoi genitori apparentemente liberali e progressisti, subiscono una mutazione ideologica assai sconcertante, ben venga: ma del resto il Sidney Poitier di oggi è conscio di aderire ai princìpi della società Wasp, e magari dichiarare il suo amore (sincero) per Rachel intonando un brano di Neil Young anzichè - poniamo - di Otis Redding o Marvin Gaye.
Credere che Neil Young costituisca il perno del mondo di Demme e nient'altro (sua la regia di "Heart of gold", documentario sul musicista canadese) è limitativo: in realtà la presenza di Robyn Hitchcock, leader dei Soft Boys, imporrebbe ben altri orizzonti musicali, ma non c'è alcun afroamericano a cantarne le gesta.

Va detto inoltre che la stessa dimensione "anarchica" di Kym suscita simpatia per la sua inadattabilità, che poi è la medesima in cui si troverebbe qualsiasi essere umano provvisto di buon senso, davanti a tutta la rappresentazione falsata di una realtà meno distinta e più distante.
È una realtà che non esiste, proprio perchè inutilmente perfetta. È il "mondo sommerso",con le lacrime da occultare, l'ostacolo da omertare, che vince: solo accettare di insabbiarlo nell'odio e nei rancori mai rimossi si trova la stolta sopravvivenza ideologica e culturale dell'America borghese di oggi.
Da segnalare l'ottimo cast, in particolare la memorabile prova di Anne Hathaway, in un ruolo non facile, e il ritorno della rediviva Debra Winger, dopo tredici anni di assenza dagli schermi.

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 16/10/2008

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