Recensione radiofreccia regia di Luciano Ligabue Italia 1998
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Recensione radiofreccia (1998)

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Migliore regista esordienteMiglior attore protagonista (Stefano Accorsi)Miglior sonoro
VINCITORE DI 3 PREMI DAVID DI DONATELLO:
Migliore regista esordiente, Miglior attore protagonista (Stefano Accorsi), Miglior sonoro
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locandina del film RADIOFRECCIA

Immagine tratta dal film RADIOFRECCIA

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Dalle canzoni, fin troppo ambientate "in riva al fosso", Luciano Ligabue passa alla regia mettendosi alla prova con l'immagine in movimento per descrivere la provincia, per figurare i fossi ed il bar, che può chiamarsi Mario o Sport o Laika senza cambiare sostanza. Anzi racconta molto di più di questo: narra la fine di una stagione, di quegli anni '70 vissuti sul filo tra voglia di libertà, bramosia di comunicare col mondo, sete di nuove idee, tra eroina e bombe, tra violenza e tradizione, lo racconta con un pizzico di retorica, qualche lungaggine e tanta nostalgia.

Della vita in provincia Ligabue ha un'esperienza diretta, come altrettanto bene conosce la nascita delle radio libere, quelle che effondevano un senso di affrancamento simile ad un profondo respiro che allarga i polmoni, quelle che erano sciolte da vincoli commerciali e di censura; illustra tutte queste emozioni attraverso il vissuto di un gruppo di amici, un microcosmo composto da ragazzi che hanno nome cognome e soprannome, che hanno sogni che si trasformano in realtà per mutare in impegni, che hanno genitori con i quali confrontarsi ed amori da cercare, personaggi a volte stereotipati, ma molto convincenti nelle loro caratterizzazioni.
Le macchiette nel film sono altre, sono gli strambi esseri umani in cui si può incappare in molti paesi scarsamente popolati: c'è Bonanza, fissato eccessivamente con il cinema, e Kingo, che sente di avere fin troppe affinità con Elvis; ancora Virus, che cerca di attirare l'attenzione dei compaesani ingurgitando qualsiasi cosa gli capiti a tiro... Fosse anche una Cinquecento!
E poi c'è il barista, che è anche l'allenatore della squadra di calcio del paese, interpretato senza studio ma con molto cuore da Francesco Guccini, che ha il ruolo chiave di fare scoprire la libera comunicazione al gruppo di protagonisti.

Il primo a prendere sul serio le parole del barista/filosofo è Bruno, che con impegno, passione e coinvolgendo qualche amico cerca di creare il proprio spazio on air.
Finalmente Bruno riesce ad avere la radio, la sua radio - "Oh ce l'ha, c'ha davvero la radio" - che i suoi amici Iena, Boris, Tito e Freccia riescono a sentire anche a Brescello, più di 30 km da Correggio; finalmente Bruno può trasmettere la sua musica, le sue canzoni perché le canzoni, sono quelle che non tradiscono.
Bruno all'Fm ci crede, perché in qualcosa bisogna credere o no? Si può confidare in Dio, si può credere nella famiglia, nel posto di lavoro fisso, oppure si può credere che la vita vada come deve andare, che ci sono tanti segreti che scavano dentro e che fanno male, ma occorre non pensarci e proseguire il cammino.
Freccia ed i suoi amici vanno avanti, ognuno per la sua strada, chi passando dalla galera, chi giudicando il prossimo, chi sposandosi, chi raccontando e chi cadendo nella "nuova" moda dell'eroina per poi uscirne, ma per poi cadere ancora, per amore, per ossessione, per rabbia o perché non ci si è nascosti a sufficienza dal mondo. Già perché come afferma Freccia il mondo fuori è brutto, nel senso di pericoloso, nel senso che "la vita non è perfetta, solo nei film la vita è perfetta, nei film la vita non ha tempi morti". Mentre la vita reale di cui ci parla Ligabue ha tempi morti e momenti oscuri, è piena di incomprensioni e di segreti; ma la speranza non viene per questo negata, anzi è garantita dal fatto che si va' avanti, dal fatto che la musica resiste, che le cose cambiano velocemente, ma è sufficiente capire quale sia il proprio passo e continuare a tenerlo per far sì che possano avverarsi vecchie speranze e nuove attraenti esperienze.

Ligabue racconta con i ritmi della commedia questa storia tratta dalla sua raccolta di racconti "Fuori e dentro il borgo", storia semplice, ritmata dall'accento emiliano e attraversata da qualche venatura onirica. In questo si avvale di un cast formato da giovani attori che recitano con spontaneità e genuinità; meno convincenti, anzi al limite del sopportabile le interpreti femminili, note fuori dal coro.

La colonna sonora di un film di tale fattura è fondamentale e in questo la scelta del cantautore emiliano coglie nel segno, passando da David Bowie ai Doobie Brothers, a Lou Reed ai Creedence Clerawater Revival; aggiungendo il suo tocco personale con "Ho perso le parole" e "Metti in circolo il tuo amore", per passare alla scelta improbabile di accompagnare l'ultimo cammino di Freccia, il vero protagonista, con "Can't help falling in love" suonata dalla banda di Correggio.

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Recensione a cura di foxycleo - aggiornata al 19/04/2007

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