Recensione sapore di te regia di Carlo Vanzina Italia 2014
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Recensione sapore di te (2014)

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locandina del film SAPORE DI TE

Immagine tratta dal film SAPORE DI TE

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Immagine tratta dal film SAPORE DI TE
 

Tante sono le storie che si intrecciano a Forte dei Marmi nell'estate del 1983. Alberto (Maurizio Mattioli, "Fratelli d'Italia") e Elena (Nancy Brilli, "Femmine contro maschi") con la figlia Rossella (Katy Sounders, "Tre metri sopra il cielo"), innamorata di Luca (Eugenio Franceschini, "Bianca come il latte, rossa come il sangue"), che però è fidanzato con una bella ragazza tedesca, ed è il migliore amico di Chicco, a sua volta innamorato proprio di Rossella. Non può mancare un onorevole, ed infatti c'è il Ministro De Marco (Vincenzo Salemme, "Baaria") e la moglie Leonetta (Valentina Sperlì, "Ho visto le stelle"), che tenta ogni avventura extra coniugale possibile, in particolare con la bella soubrette del "Drive In", Susy (Serena Autieri, "Femmine contro maschi "). Infine il playboy di turno, Armando (Giorgio Pasotti, "Dopo mezzanotte"), intenzionato a mettere la testa a posto dopo aver conosciuto la bella Anna (Martina Stella, "L'ultimo bacio").
Non mancheranno tradimenti, ripensamenti, serate in discoteca, saluti alla stazione del treno con la promessa di rivedersi nell' estate del 1984. E l'immancabile finale in cui vedremo la conclusione di ogni storia con un significativo salto temporale.

Se questa non fosse una recensione ma un volo su un aereo di linea, a questo punto la voce dagli altoparlanti direbbe di allacciare le cinture, perché si sa, il decollo è sempre un momento particolare, in cui gli scossoni possono essere forti e provocare rovinose cadute dei passeggeri. Ebbene, anche in questo caso si invitano i signori fruitori della presente, di allacciare le proprie cinture perché le prossime considerazioni sul nuovo film dei Vanzina brothers (e qui urge una lunga pausa di riflessione, durante la quale sono concesse bestemmie di vario genere) sono alquanto clamorose. Citando il grande Maestro Paolo Villaggio nella sua celebre considerazione tecnica a proposito del capolavoro immortale "La corazzata Potemkin", questo "Sapore di te" non è (attimo di suspance) una "cagata pazzesca".

Altra pausa. Serve.

Le premesse c'erano tutte. Intanto perché doveva uscire a San Valentino, in modo da non lasciare più buchi di calendario dopo il cinepanettone, il cinepasqualone, il cineferragostone e il cinemascherone, ed invece è stato anticipato a inizio gennaio, ossia con la temperatura meno estiva possibile, probabilmente con la scusa di "eh ma abbiamo tutti voglia di caldo, di mare, di meduse, di pinne fucili ed occhiali", e menate del genere.
Poi, e questo era il motivo di preoccupazione principale, perché i Vanzina non capiscono che certi classici degli anni '80 non vanno toccati, stando bene dove si trovano. Troppe le pellicole riprese e massacrate: "Febbre da cavallo", "L'allenatore nel pallone", "Vacanze di Natale", e via dicendo, i cui seguiti non meritano nemmeno menzione per quanto sono brutti, inutili e insulsi. Cari fratellini, lo volete capire che ogni cosa ha un suo tempo? Se Manzoni avesse scritto oggi "I promessi sposi", sarebbe stato preso come sceneggiatura per una soap opera sudamericana di infimo ordine con Grecia Colmenares nei panni di Lucia e Gabriel Garko in quelli di Renzo. Guardate oltre e lasciate perdere i lavori del povero Steno, che ormai non sa nemmeno più come rigirarsi nel suo loculo, e che probabilmente s'era firmato con un nome d'arte per distinguersi dalla prole, dimostrando grande capacità di prevedere il futuro.

Tornando al film, stavolta, come premesso tante righe sopra, il risultato finale non è una schifezza inguardabile. Intanto non c'è il solito abuso di parolacce, le battute sono pulite, e non si vedono tette al vento in modo gratuito. Anzi non se ne vedono proprio. Il che sarebbe un male, di massima, però in un contesto così sobrio la scelta è comprensibile, anzi più che giusta. Certo che questi dovevano fare i santi proprio quando avevano a disposizione Martina Stella, Katy Sounders e Serena Autieri, maledizione a loro...
Non solo la sceneggiatura è pulita, ma riesce addirittura a mandare ai posteri alcune chicche. E questa è la notizia più clamorosa, sicuramente, visti i soggetti in questione.
Intanto il monologo calcistico romanista di Mattioli che dichiara il suo sogno: mandare indietro il film della vita e tornare alla notte del 30 maggio 1984, stadio Olimpico, finale Roma - Liverpool di Coppa dei Campioni, guardare negli occhi Graziani e veder sollevare la coppa dalle grandi orecchie (come dicono quelli bravi) dalla sua squadra del cuore. Poi il desiderio dell'onorevole interpretato da Salemme che spera in un'Europa unita con necessario crollo del muro. Per carità: facilone, magari scontato, ma in una commedia all'italiana è esattamente quello che ci si aspetta di sentire, perché a volte proprio la semplicità è la via più giusta.

Funzionano anche gli hommage al vecchio "Sapore di mare", come ad esempio le voci narranti dei protagonisti, che, a turno, raccontano gli eventi, nonostante alcuni di loro siano dei terribili cani anche in quello (tipo Eugenio Franceschini, bravino nella recitazione, irritante quando è lui a parlare fuori campo), oppure il salto nel tempo in avanti a concludere il film, ma soprattutto l' interpretazione del comico Andrea Pucci che, nei panni del papà di Luca, rifà il verso allo scomparso e amatissimo Guido Nicheli, il "bauscia" per antonomasia di un cinema nostrano che non c'è più, uno che sapeva far ridere semplicemente con l'esasperazione del dialetto milanese.
Ma soprattutto si apprezza l'autocritica sul set del film girato in spiaggia, dove vengono chiamati a "recitare" la raccomandata dell' onorevole, Susy, e il bagnino belloccio. "Come è caduto in basso il nostro cinema" dice De Marco (Salemme), che vogliamo sperare essere anche rivolto ai Vanzina stessi, visto che di quadrupedi ne hanno utilizzati tanti. Uno dei quali, Conticini, è appunto il bagnino belloccio, a cui il finto regista grida di essere un cane. Come contraddirlo? Sempre in tema di levrieri si segnala la sgradevolissima presenza di Fiammetta Cicogna. La sua erre moscia, fastidiosa in TV, diventa da sedia elettrica su grande schermo e, nei 5 minuti in cui compare, ogni spettatore preferirebbe probabilmente ricevere un calcio nelle parti intime piuttosto che sopportarla, e sentirla disquisire con battute politiche su Mao Tse-tung, cosa che fa insorgere un terribile dubbio: sa almeno di cosa sta parlando? La risposta, a guardarla in faccia, pende verso un clamoroso no.

Infine chiudono i titoli di coda alcune fotografie dal sapore di antico, che unite alle note di "Una lunga storia d'amore" di Gino Paoli e "Se m'innamoro" dei Ricchi e Poveri trova tutta una generazione, e non solo, a canticchiare e ricordare estati passate. Decisamente azzeccato.

A proposito di canzoni non si capisce la scelta iniziale: "True" degli Spandau Ballet, "I just called to say I love you" di Stevie Wonder, "Time after time" di Cyndi Lauper e "Sunshine reggae" dei Laid Back, tutte straniere... per trovarne una italiana bisogna aspettare ben oltre metà film quando finalmente arriva "Non voglio mica la luna" di Fiordaliso. Solo poco prima si era sentita anche "Fiore di maggio", ma non quella originale di Concato, bensì una cover. Perché? Eppure di canzoni belle anni ‘80 ce ne sono a iosa.

Per concludere: stavolta un film piacevole, i cui difetti principali vanno ricercati negli attori. Soprattutto nelle presenze femminili: Marina Suma, Isabella Ferrari e Virna Lisi sono di un'altra galassia rispetto alle belle ma inespressive attrici di oggi. E se allora il peggior interprete maschile era Massimo Ciavarro, al confronto di alcuni (niente nomi, per pietà, sarebbe come sparare sulla croce rossa, poveracci) qui presenti, sarebbe degno della statuetta dorata.

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Recensione a cura di marcoscafu - aggiornata al 14/05/2014 18.29.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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