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Simon, 36 enne alla deriva, separato con un bambino piccolo e senza un lavoro fisso, è costretto a tornare a vivere con suo padre, ebreo di tradizione, fissato con la Shoah e molto opprimente. Alla sua morte, il ragazzo cercherà di esaudire il suo ultimo desiderio: essere seppellito accanto al primo amore della sua vita, della cui esistenza il figlio non sapeva nulla. Partirà, insieme al figlioletto e agli zii petulanti, in un viaggio in auto per portare a termine la sua missione.
Carinissima avventura on the road, "Simon Konianski" si fa apprezzare soprattutto per lo statuto dei suoi personaggi (a partire dall'irresistibile protagonista) poiché è caratterizzato nel migliore dei modi e interpretato stupendamente da Jonathan Zaccai. Eterno sfaccendato, ossessionato dalla figura della compagna che l'ha lasciato per un uomo più prestante, padre amorevole ma poco responsabile, disoccupato, ipocondriaco e cavia per medicinali vari in cambio di pochi soldi, Simon è il perfetto centro di questa storia attorno al quale ruotano poi le altre figure che si correlano a lui in un modo o nell'altro.
A partire dal padre, che tenta di inculcargli quella cultura ebraica a lui insopportabile (indossa sempre una felpa con scritto Baghdad) e che cerca in tutti i modi di cacciarlo di casa per fare in modo che prenda la sua strada; passando per il figlio, molto simile a lui fisicamente e deciso a restargli vicino il più possibile; arrivando agli strambi zii (al centro di numerose sequenze spassose ed esilaranti) che lo accompagneranno nello sgangherato viaggio per portare la salma del padre nel luogo da lui desiderato. La zia si rivelerà ciarlona e oltremodo fastidiosa, lo zio farà sentire il peso della sua ossessione per la Stasi e per i travestimenti (il parrucchino che indossa durante il viaggio o la corsa notturna con l'auto del nipote sono momenti altamente divertenti).
Al di là della prevedibilità del plot e dei messaggi in esso contenuti (il viaggio come conoscenza, riconciliazione e consapevolezza, come da tipico road-movie che si rispetti), ciò che soddisfa in "Simon Konianski" è lo stile al tempo stesso scanzonato ma molto delicato col quale si mettono in tavola temi come l'unità familiare, il peso delle proprie origini e, ovviamente, gli effetti di un evento storico così importante come quello della Shoah. Il tutto raccontato con un equilibrio apprezzabile che non cede mai a patetismi o alla retorica del dramma e si assesta, invece, su una sorta di tragicommedia dai sapori agrodolci che accompagna lo spettatore in un viaggio strampalato ma al tempo stesso necessario.
Al di là dei caratteristici personaggi, è possibile godere di alcune sequenze davvero irresistibili, come quella in cui Simon, portato a cena dagli zii per fargli conoscere un ragazza di buona famiglia ebrea con cui magari sistemarsi, all'improvviso comincia a parlare del conflitto israelo-palestinese e a parteggiare sempre più veementemente per i palestinesi, difendendo il loro diritto ad avere una terra. Le reazioni dei convitati, tutti ebrei fino al midollo, saranno davvero paradossali. Altra sequenza dalla squisita fattura comica, oltre che dal carattere prettamente grottesco, è quella in cui Simon immagina la sua compagna, una goy (cioè una non ebrea), mentre si esibisce in rapporti sessuali funamboleschi con il suo nuovo amante. Irresistibile anche la scena in cui il padre di Simon, che accoglie suo fratello giunto a fargli visita, prepara il tè utilizzando delle bustine lasciate ad asciugare sul termosifone.
"Simon Konianski", dunque, risulta essere un film diviso sostanzialmente in due tronconi: nel primo si propone l'inevitabile conflitto generazionale tra "padri" e "figli", nel secondo si tenta un congiungimento delle due entità, che arriva al suo culmine nella poetica sequenza della visita di Simon col figlio al campo di concentramento, nel quale il padre era stato prigioniero e al quale è riuscito a sopravvivere solo grazie ad uno stratagemma che gli è stato raccontato tantissime volte, anche se ascoltato con superficialità. Alla conclusione del viaggio, molte cose saranno ancora confuse nella vita di Simon, ma in qualche sarà raggiunta l'accettazione delle proprie origini.
Forse poco originali e denotanti una sorta di volontà di accostarsi a pellicole di maggior successo e spessore, tutti i vari elementi che accomunano "Simon Konianski" a film quali "Litte Miss Sunshine" (il viaggio in macchina con il nonno morto, foriero poi di riunioni familiari e non), "I Tenenbaum" (le tute indossate dai protagonisti), e molte delle pellicole, sarcastiche, autoironiche e beffarde dei Coen e di Allen, che sul mondo dell'ebraismo hanno sicuramente già raccontato.
Al di là di questo, però, la pellicola, nata dall'estensione di un cortometraggio di successo del regista, "Alice et moi", risulta essere piacevole, gradevole e soprattutto divertente e spassosa. Non ci si può dunque lamentare, considerando anche che in certi frangenti il regista, senza ruffianerie o pietismi di sorta, riesce anche a restituirci qualche tocco di emozionante poesia.
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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 02/02/2011 11.42.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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